Non riusciva proprio a capire cosa potesse essere successo. Si trovava forse in una bottega? E quella era davvero - era davvero una pecora quella che si trovava seduta dall’altra parte del banco? Per quanto si sfregasse, non c’era niente da fare: si trovava in una piccola bottega buia, coi gomiti appoggiati al banco, e aveva davanti una vecchia Pecora, seduta su una poltrona, che sferruzzava a maglia e che di tanto in tanto si interrompeva per guardarla attraverso un grosso paio di occhiali.

«Vuoi comprare qualcosa?» le chiese infine la Pecora, alzando gli occhi per un momento dal suo lavoro.

«Per ora non glielo so dire» rispose Alice molto cortesemente. «Vorrei prima dare un’occhiata in giro, se posso».

«Puoi dare un’occhiata a quello che hai davanti, e a quello che hai di lato, se vuoi» rispose la Pecora, «ma non puoi guardarti in giro — a meno che tu non abbia un paio di occhi anche dietro».

Ma Alice, chiaramente, non ce li aveva: allora si accontentò di girarsi su se stessa e di andare a guardare gli scaffali da vicino.

Il negozio era pieno di ogni tipo di cose curiose - ma il fatto più strano era che ogni volta che Alice fissava lo sguardo su uno scaffale per vedere cosa contenesse, era sempre vuoto, benché tutti gli altri attorno fossero pieni zeppi di cose. «Ma qui le cose fluttuano!» gemette Alice con tono piagnucoloso, dopo aver speso circa un minuto a rincorrere una grossa cosa chiara, che a volte sembrava una bambola e a volte un cestino da lavoro, e che era sempre sullo scaffale immediatamente sopra quello che lei stava guardando. «Questa poi è una vera provocazione - ma adesso l’aggiusto io -» aggiunse, mentre un pensiero improvviso le attraversava la mente. «La inseguo fin sull’ultimo scaffale. Voglio proprio vedere come farà a passare attraverso il soffitto!»

Ma anche questo progetto fallì: la «cosa» passò attraverso il soffitto con assoluta tranquillità, come se ci fosse abituata.

«Sei una bambina o una trottola?» disse la Pecora, mentre prendeva un altro paio di ferri. «Mi farai venire le vertigini se non la smetti di rigirarti». In quel momento stava lavorando con quattordici paia di ferri contemporaneamente, e Alice non poté fare a meno di guardarla sbalordita.

«Come fa a lavorare con così tanti ferri?» pensò fra sé e sé l’attonita bambina. «Ogni minuto che passa, va assomigliando sempre di più a un porcospino!»

«Sai remare?» chiese la Pecora, porgendole un paio di ferri.

«Sì, un po’ - ma non a terra - e non con i ferri da calza -» stava per dire Alice, quando improvvisamente i ferri nelle sue mani si trasformarono in remi, e si ritrovò con la pecora su una barchetta, che scivolava fra le due sponde di un fiume: sicché non le rimase che arrangiarsi alla meglio.

«Spala!» disse la Pecora, aggiungendo un altro paio di ferri.

Siccome quella non sembrava un’osservazione che sollecitasse una risposta, Alice non disse nulla e continuò a remare. C’era qualcosa di molto strano in quell’acqua, pensò perché di tanto in tanto i remi vi restavano conficcati dentro e non c’era verso di ritirarli fuori.

«Spala! Spala!» esclamò ancora una volta la Pecora, aggiungendo altri ferri. «Ti beccherai presto un gran sgrugnone!»

«Un gamberone!» pensò Alice. «Oh sì, che bello!»

«Non hai sentito che ti ho detto “Spala!”?» esclamò la Pecora, irritata, aggiungendo un intero mazzo di ferri.

«Ho sentito, ho sentito» rispose Alice. «L’ha detto più di una volta - e a voce alta. Per favore, dove sono i gamberoni?»

«In acqua, naturalmente!» rispose la Pecora, infilandosi qualche ferro tra i capelli, poiché ne aveva già troppi tra le mani. «Spala, ti dico!»

«Perché continua a dirmi “Spala! Spala!”?» domandò infine Alice, piuttosto seccata. «Per chi mi ha preso?»

«Ti ho preso per quello che sei» disse la Pecora. «Un’oca!»

Alice si offese un poco, e non ci fu più alcun dialogo per un minuto o due, mentre la barchetta scivolava leggera sull’acqua, a volte fra banchi di erbacce (dove i remi si impigliavano peggio che mai) e a volte passando sotto gli alberi, mentre le sponde del fiume erano sempre alte e minacciose sopra le loro teste.

«Oh, la prego! Ci sono dei giunchi profumati!» esclamò Alice in un’improvvisa esplosione di gioia. «Eccoli lì - come sono belli!»

«Non devi pregare me» rispose la Pecora, senza alzare gli occhi dal lavoro a maglia. «Non ce li ho messi io, e non sarò io a toglierli».

«No, volevo dire - la prego, possiamo fermarci a coglierne un po’?» implorò Alice. «Non le dispiace fermare la barca per un minuto?»

«Come faccio a fermarla io?» disse la Pecora. «Se smetti di remare, si fermerà da sola».

Allora la barca venne lasciata scivolare sull’acqua alla deriva, finché non si arenò lentamente tra i giunchi profumati. E allora le maniche del grembiulino vennero accuratamente rimboccate e le braccine tuffate fino al gomito dentro all’acqua per afferrare i giunchi il più in basso possibile prima di spezzarli - e per un poco Alice dimenticò totalmente la Pecora e il suo lavoro a maglia, mentre sporgendosi dal fianco della barca, con la punta degli arruffati capelli che lambiva la superficie dell’acqua, gli occhi luccicanti accesi di desiderio, coglieva un mazzo dietro l’altro dei suoi adorati giunchi profumati.

«Spero solo che la barca non si capovolga!» diceva a se stessa. «Oh, com’è bello quello! Ma non riesco a prenderlo». E sembrava proprio una provocazione («come se lo facessero apposta», pensava), perché, sebbene riuscisse a cogliere una gran quantità di bellissimi giunchi mentre la barca fluttuava sull’acqua, ce n’era sempre uno più bello al quale non arrivava.

«I più belli sono sempre quelli più lontani!» esclamò infine, tirando un sospiro per quei giunchi che si ostinavano a crescere tanto lontani, mentre, con le guance rosse e i capelli e le mani gocciolanti, ritornava gattoni al suo posto e si accingeva a sistemare il suo nuovo tesoro.

Che gliene importava in quel momento se i giunchi appena colti avevano già cominciato ad appassire e a perdere il loro profumo e la loro fragranza? Perfino i veri giunchi profumati durano un tempo assai limitato, capite - e questi, essendo giunchi del sogno, si scioglievano quasi come se fossero neve, tutti lì ammucchiati ai suoi piedi - ma forse Alice nemmeno se ne accorse; c’erano tante altre cose curiose a cui pensare.

Non erano andate molto avanti quando la pala di un remo si conficcò nell’acqua e non ne volle più sapere di venir fuori (questo è quanto Alice spiegò in seguito), e la conseguenza fu che il manico la colpì sotto il mento e nonostante la serie di gridolini «Oh, ohi, ohi!» la povera Alice fu sbalzata via dal sedile e andò a cadere sul mucchio di giunchi.

Ma non si fece alcun male e si rialzò subito: la Pecora aveva continuato a lavorare a maglia per tutto il tempo, come se niente fosse. «Te lo sei beccato un gran bello sgrugnone, eh?» osservò mentre Alice si rimetteva al suo posto, con un gran senso di sollievo per essere ancora dentro la barca.

«Davvero? Non l’ho visto» disse Alice, sbirciando cautamente oltre il fianco della barca dentro all’acqua scura. «Peccato che mi sia scappato - lo vorrei tanto un gamberone, per portarlo a casa!» Ma la Pecora si limitò a fare una risatina sarcastica, e riprese a sferruzzare.

«Ci sono molti gamberoni qui?»

«Gamberoni, e ogni genere di cose» rispose la Pecora. «C’è una grande varietà: devi solo scegliere. Be’, che cosa vuoi comprare?»

«Comprare!» le fece eco Alice con un tono che era mezzo sbalordito e mezzo spaventato - poiché i remi, la barca e il fiume, tutto era svanito in un attimo, e ora si ritrovava di nuovo nella botteguccia scura.

«Vorrei un uovo, prego» disse timidamente. «Quanto costa?»

«Cinque soldi per uno - e due soldi per due» rispose la Pecora.

«Allora due costano meno di uno?» disse Alice sorpresa, tirando fuori il borsellino.

«Ma se ne compri due, li devi mangiare tutti e due»76 rispose la Pecora.

«Allora ne compro uno, per favore» fece Alice, mentre metteva i soldi sul banco.