«Così non va».
Alice ci pensò ma non le venne niente. «Per favore, mi puoi dire che nome porti tu?» chiese timidamente. «Potrebbe essermi di qualche aiuto».
«Te lo dirò se vieni con me un poco più avanti» le rispose il Cerbiatto. «Qui non me lo ricordo».
E camminarono insieme attraverso il bosco, Alice con le braccia avvinte teneramente al morbido collo del Cerbiatto, finché non giunsero a un altro campo aperto, e qui il Cerbiatto fece un balzo improvviso e si liberò della stretta di Alice. «Sono un Cerbiatto!» gridò con voce piena di gioia. «E tu, o povero me! sei una bambina dell’Uomo!» Un’espressione impaurita apparve all’improvviso nei suoi splendidi occhi marroni, e un attimo dopo era schizzato via a tutta velocità.
Alice rimase ferma a guardarlo, ed era lì lì per scoppiare a piangere dal dolore di aver perso il suo caro piccolo compagno di viaggio così all’improvviso. «Però adesso so il mio nome» disse: «è già qualcosa. Alice - Alice - non me lo dimenticherò mai più. E adesso, quale di questi cartelli dovrò seguire?»
Non era una domanda troppo difficile alla quale rispondere, dal momento che c’era soltanto una strada in mezzo al bosco, e che i due cartelli indicavano entrambi la stessa direzione. «Deciderò» disse Alice a se stessa, «quando la strada si biforcherà e i cartelli indicheranno due direzioni diverse».
Ma le cose non stavano esattamente così. Lei continuò a camminare e a camminare, per un lungo pezzo, ma quando la strada si biforcava, c’erano immancabilmente due cartelli che indicavano la stessa direzione, uno che diceva
ALLA
CASA DI TUIDOLDÀM
e l’altro
A
LA CASA DI TUIDOLDÌI
«È chiaro!» disse Alice alla fine. «Abitano nella stessa casa! Chissà perché non ci ho pensato prima - Ma non posso fermarmi troppo. Busso e dico “Come state?” e poi chiedo la strada per uscire dal bosco. Se solo riuscissi ad arrivare all’Ottava Casella prima che faccia buio!» Riprese dunque il cammino, continuando a parlare da sola mentre andava, finché, subito dopo aver superato una curva stretta, si imbatté in due ometti grassocci, e la cosa accadde così all’improvviso che non poté fare a meno di trasalire e di fare un passo indietro, ma subito si riprese, poiché era certa che si trattava di
CAPITOLO IV · TUIDOLDÀM E TUIDOLDÌI
Erano in piedi sotto un albero, tutti e due con un braccio che passava dietro al collo dell’altro, e Alice capì subito chi fosse l’uno e chi fosse l’altro, perchè uno aveva DAM ricamato sul colletto e l’altro DII. «Immagino che dietro ci sia scritto TUIDOL sul colletto di tutti e due» disse Alice tra sé e sé.
Se ne stavano così dritti e fermi che Alice si dimenticò che erano vivi, e stava già per andare a vedere se dietro avessero la parola TUIDOL scritta sul colletto, quando una voce la fece sobbalzare: proveniva da quello segnato DAM.
«Se pensi che siamo fatti di cera» disse, «devi pagare il biglietto. Le statue di cera non le fanno mica perché la gente le guardi gratis. Non si dà in alcun modo possibile!»
«A dirla alla rovescia» aggiunse quello segnato DII, «se pensi che siamo vivi, devi dire qualcosa».
«Vi assicuro che sono molto dispiaciuta» fu tutto quello che Alice riuscì a dire; infatti continuavano a tornarle in mente le parole della vecchia canzone, insistenti come il ticchettìo di un orologio, e a stento poté evitare di ripeterle a voce alta:
Voglion fare aspro duello
Tuidoldàm e Tuidoldìi;
Non gli dà il sonaglio bello
Tuidoldàm a Tuidoldìi.
Ma un’enorme cornacchia
Tanto li spaurisce,
Sbucando da una macchia,
Che la lite finisce.
«Lo so a cosa stai pensando» disse Tuidoldàm, «ma non è così. Non si dà in alcun modo possibile!»
«Per dirla alla rovescia» soggiunse Tuidoldìi, «se fosse così, lo sarebbe; e se era così, lo potrebbe essere; ma dato che non è così, allora non lo è. È la logica».
«Stavo pensando» disse Alice con molto garbo, «quale può essere la strada migliore per uscire dal bosco: si sta facendo buio. Volete indicarmela voi, per piacere?»
Ma i due ometti grassocci si limitarono a guardarsi in faccia l’un l’altro e a sorridere.
Tutti e due avevano talmente l’aria dello scolaro all’ultimo anno di scuola, che Alice non poté fare a meno di puntare il dito su Tuidoldàm e di esclamare: «Prima tu!»
«Non è possibile!» replicò Tuidoldàm in modo spiccio, e richiuse la bocca con uno schiocco.
«Poi tu!» disse Alice, passando a Tuidoldìi, benché fosse più che sicura che quello avrebbe gridato «Alla rovescia!» come infatti fece.
«Hai sbagliato tutto fin dall’inizio!» esclamò Tuidoldàm. «Quando si va in visita, prima di tutto si dice «Come state?» e poi si stringono le mani!» E qui i due fratelli si scambiarono un abbraccio e poi tesero ciascuno la mano che aveva libera per stringere quella di Alice.
Alice non sapeva a quale dei due stringere la mano per primo, per paura di urtare i sentimenti dell’altro; e allora come unica soluzione per togliersi dal dilemma, strinse tutte e due le mani contemporaneamente: un istante dopo, stavano ballando tutti e tre in tondo. La cosa parve perfettamente naturale (ricordò Alice in seguito) e non fu sorpresa di sentire che c’era anche una musica che aleggiava intorno e che sembrava provenisse dall’albero sotto il quale stavano ballando: poteva essere prodotta (per quel che ne sapeva Alice) dai rami che si sfregavano l’uno contro l’altro, come archetti sul violino.
«Certo però fu buffo» (disse Alice, in seguito, quando raccontò alla sorella l’intera storia), «trovarmi a cantare Su, balliamo attorno all’albero di gelso. Non so quando cominciai, ma, chissà come, mi sembra di averla cantata per un tempo lunghissimo!»
Gli altri due ballerini erano grassocci e rimasero presto senza fiato. «Quattro giri bastano per un ballo» ansimò Tuidoldàm, e interruppero il ballo di colpo, così come l’avevano cominciato: la musica cessò nello stesso istante.
Poi lasciarono andare le mani di Alice, e rimasero a guardarla per un minuto: fu una pausa piuttosto imbarazzante, perché Alice non sapeva come si fa ad avviare la conversazione con delle persone con le quali si è appena smesso di ballare. «Se lo dico adesso “Come state?” non va bene» diceva fra sé e sé, «dovremmo aver già superato questo stadio!»
«Spero che non siate troppo stanchi» disse infine.
«Non si dà in alcun modo possibile. E grazie tante per l’interessamento» disse Tuidoldàm.
«Grazie infinite» aggiunse Tuidoldìi. «Ti piacciono le poesie?»
«Si-ì, abbastanza - certe poesie» rispose Alice, dubbiosa. «Volete indicarmi la strada per uscire dal bosco?»
«Che poesia le recito?» chiese Tuidoldìi, volgendosi a guardare Tuidoldàm coi grandi occhioni solenni, e senza far caso alla domanda di Alice.
«Il Tricheco e il Carpentiere è la più lunga» rispose Tuidoldàm, dando un affettuoso abbraccio al fratello.
Tuidoldìi cominciò immediatamente:
«Il sole risplendeva -»
Qui, Alice si azzardò a interromperlo. «Se è molto lunga» disse, «volete indicarmi prima la strada -».
Tuidoldìi fece un sorriso gentile e ricominciò:
«Il sole risplendeva alto sul mare,
Splendeva forte forte:
Cercava a più non posso di tirare
Liscia e lucida l’onda -
Il che era un fatto mica male strano,
Poiché era notte fonda.
La luna splendeva imbronciata:
Quel sole scimunito,
Non era mestier suo restare lì,
Proprio a giorno finito!
“Che sgarbato!” sbuffava. “Tutto il bello
Ormai se n’è svanito!”
Il mare era bagnato più che mai,
Secca la sabbia, lei.
Non si vedeva una nuvola: infatti
Nuvole non ce n’era.
Nessun volo nel cielo, perché uccelli
In aria non ce n’era.
Il Tricheco accoppiato al Carpentiere
passava per di là;
Piangeva nel veder di quella sabbia
L’enorme quantità.
“Se sol si potesse spazzarla via,
Somma felicità!”
“Ma sette ragazze con sette scope,
sei mesi a lavorare”
Disse il Tricheco, “tutta questa spiaggia,
La possono spazzare?”
“Ne dubito” rispose il Carpentiere,
E giù lacrime amare.
Le Ostriche belle il Tricheco implorava,
“Solo una passeggiata!
Una bella chiacchierata! Venite
sulla spiaggia assolata!
Venite, sù, con noi! A quattro di voi,
La mano sarà data!”
Un’Ostrica vecchissima aprì gli occhi,
Non fece un’obiezione.
Poi l’Ostrica vecchissima ammiccò
Scosse molle il testone -
Il senso era che non lo lascia,
L’ostrica, il suo lettone.
Ma quattro Ostrichette giovani e liete
Accorrono impazienti,
Grembiule stirato, faccia pulita,
E scarpette lucenti -
Strano, perché, sui piedi delle ostriche,
Non si sa proprio niente.
Altre quattro Ostricotte usciron fuori,
E poi ancora quattro,
Tante e tante ne venivano ancora,
Ma sempre a quattro a quattro,
A salti, a balzi e a balzelloni,
O strisciando carponi.
Tricheco e Carpentiere allor si fanno
Un chilometro buono.
E si siedono infine sopra un sasso,
Perché là stanchi sono.
Le Ostrichelle, allineate per benino,
Cercan di darsi un tono.
“Noi parleremo, allor, di quelle cose
Che son fondamentali”
Disse il Tricheco, “di cavoli - e re -
Di navi e di stivali -
Se il mar non scotta forse un poco troppo -
Se i porci hanno le ali.”
“Va piano!” protestarono le Ostriche.
“Suvvia, che esagitato!
Non vedi, siamo tutte grassottelle,
Qualcuna è senza fiato!”
“Sì” disse il Carpentiere, “Non c’è fretta!”
E venne ringraziato.
“Prima il pane” calcolava il Tricheco,
“Ne tagliamo una fetta;
Poi il pepe e due gocce di limone,
Strizzate senza fretta -
Possiamo incominciare anche a mangiare
La cena che ci aspetta.”
“Chi vi aspetta? Vogliamo ben sperare
Di non venir mangiate!
E basta con gli scherzi!” esclamarono
Le Ostriche agghiacciate.
“Che bella nottata!” disse il Tricheco,
“Che stellata! Guardate!
“Quanto siete belle! E che gentili!
Siete venute in molte!”
Ma il Carpentiere evitò che le sue parole
Fossero a lor rivolte,
“Taglia un’altra fetta! Sei sordo?
Te l’ho detto due volte!”
“Ho quasi vergogna” disse il Tricheco.
“Un simile tranello!
Farle correre e sudare fino a qui!
Non mi par punto bello!”
Ma il Carpentiere si limitò a dire,
“Col burro, usa il coltello!”
“Piango con voi” si lagnava il Tricheco,
“Per solidarietà!”
Ma le più grosse, tra singhiozzi e lacrime,
L’avea mangiate già,
Tirando il fazzoletto sopra gli occhi,
Per sensibilità.
“Ostriche belle” disse il Carpentiere,
“È tardi e abbruna.
Vogliamo tornarcene a casa di buon passo?”
Non ne rispose alcuna -
Niente di strano: le avevan mangiate
Tutte, una per una».
«Mi è più simpatico il Tricheco» disse Alice, «lui era almeno un po’ addolorato per le povere ostriche».
«Però ne ha mangiate di più del Carpentiere» osservò Tuidoldìi.
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