Questa tattica avrebbe avuto, in grado straordinario, tutto l’aspetto di una espulsione. Non era possibile che Bartleby riuscisse a sopportare una tale applicazione della dottrina dei presupposti. Ma, ripensandoci, il successo del piano pareva piuttosto dubbio. Decisi di discutere ancora la faccenda con lui.

«Bartleby», dissi entrando nell’ufficio con un’espressione pacatamente severa, «sono profondamente dispiaciuto. Sono addolorato, Bartleby. Avevo un’opinione migliore di lei. L’avevo ritenuta un gentiluomo con il quale sarebbe bastato fare un semplice accenno in un qualsiasi frangente delicato - un’allusione, insomma. Ma, a quanto sembra, mi sono ingannato. Come?», aggiunsi con un sussulto di sincera sorpresa. «Non ha ancora toccato quel denaro», indicandoglielo là dove lo avevo lasciato la sera prima.

Non rispose nulla.

«Intende lasciarmi oppure no?», chiesi a questo punto con impeto improvviso, avvicinandomi a lui.

«Preferirei non lasciarla», rispose sottolineando leggermente il non.

«Quale diritto al mondo ha mai di restare qui? Paga l’affitto? Mi paga le tasse? Questa casa le appartiene?».

Non rispose nulla.

«È disposto a riprendere a scrivere adesso? I suoi occhi sono guariti? Potrebbe copiarmi un breve documento questa mattina? Oppure aiutarmi a controllare qualche riga? Oppure fare un salto all’ufficio postale? In una parola, fare una cosa qualsiasi che giustifichi il suo rifiuto di lasciare l’ufficio?».

In silenzio si ritrasse nel suo eremo.

Mi trovavo in uno stato tale di risentita irritazione che ritenni prudente trattenermi per il momento dal dire altro. Io e Bartleby eravamo soli. Mi sovvenne la tragica fine dello sventurato Adams e dell’ancor più sventurato Colt nell’ufficio solitario di quest’ultimo; come il povero Colt, portato da Adams a un punto di esasperazione estrema, abbandonandosi imprudentemente a un furore selvaggio, fosse trascinato a commettere il suo fatale gesto senza esserne consapevole, un gesto che nessuno avrebbe potuto deplorare più di lui che lo aveva compiuto. Spesso, nel riflettere sul caso, mi aveva assalito il pensiero che se l’alterco fosse scoppiato nella pubblica via o in un’abitazione privata, non si sarebbe concluso in quel modo. Era stata la circostanza di trovarsi da solo nell’ufficio deserto, al primo piano di uno stabile mai benedetto dall’influsso umanizzante dei rapporti familiari, un ufficio dall’assito nudo, indubbiamente polveroso e squallido - ecco che cosa doveva aver contribuito a esacerbare la rabbia disperata dello sfortunato Colt.

Ma quando in me sorse questo rancore, quando in me si svegliò il vecchio Adamo, per tentarmi contro Bartleby, lo abbrancai e lo respinsi. Come? Limitandomi a ricordare il comando divino: «Un nuovo comandamento io do a tutti voi, che vi amiate l’un l’altro».? Sì, fu questo a salvarmi. A prescindere da nobili considerazioni, la carità spesso opera alla stregua di un principio saggio e prudente - una grande salvaguardia per chi la possiede. Gli uomini hanno ucciso per gelosia, per rabbia, per odio, per egoismo, per orgoglio spirituale, ma nessun uomo, per quanto ne sappia, ha mai ucciso per la dolce carità. Per mero interesse personale allora, in mancanza di un motivo migliore, tutti, specie le persone colleriche, dovrebbero praticare la carità e la filantropia. In ogni modo, nell’attuale situazione, cercai con tutte le forze di soffocare la mia esasperazione nei confronti dello scrivano interpretando benevolmente la sua condotta. «Poveretto, poveretto!», pensai. «Non ha cattive intenzioni, senza contare che ne ha conosciuti di momenti difficili e bisogna aver pazienza con lui».

Mi sforzai anche di trovare subito qualcosa da fare e, nello stesso tempo, di dare sollievo al mio sconforto. Cercai di cullarmi nella fantasia che, nel corso della mattinata, in un momento che gli fosse andato a genio, Bartleby, di sua spontanea volontà, sarebbe emerso dal suo cantuccio per imboccare con decisione la direzione della porta. Niente da fare. Venne la mezza; Tacchino cominciò a irradiare luce dal volto, a rovesciare il calamaio, a farsi insofferente; Pince- Nez si acquietò in una cortese compostezza; Zenzero prese a rosicchiare la mela del pranzo; Bartleby, in piedi davanti alla finestra, era immerso in una delle sue più profonde fantasticherie sul muro cieco. Lo si crederà? Dovrei ammetterlo? Quel pomeriggio lasciai l’ufficio senza rivolgergli altra parola.

Trascorsero alcuni giorni, durante i quali, negli intervalli liberi, leggiucchiavo il trattato di Edwards Sulla volontà e quello di Priestley Sulla necessità. Date le circostanze, quei libri mi ispirarono sentimenti salutari. A poco a poco mi abbandonai alla convinzione che i miei affanni, riguardanti lo scrivano, fossero stati predestinati dall’eternità e che Bartleby mi fosse stato assegnato per qualche misterioso scopo da una onnisciente Provvidenza, imperscrutabile per un semplice mortale come me. «Sì Bartleby, stattene lì, dietro il tuo paravento», pensavo. «Non ti perseguiterò più; sei innocuo e silenzioso come una di queste vecchie sedie. In breve, non mi sento mai così solo come quando so che sei lì.