Claggart – sottratto per il momento all’esame scrutatore dell’altro – studiava attento l’espressione del capitano con uno sguardo difficile da definire: uno sguardo curioso delle reazioni provocate dalla sua tattica, uno sguardo simile a quello del portavoce dei figli invidiosi di Giacobbe, che ingannevolmente mostravano allo sconvolto patriarca la veste macchiata di sangue del giovane Giuseppe.
Sebbene ci fosse nella statura morale del capitano Vere qualcosa di eccezionale che, in un rapporto serio con un suo simile, lo rendeva un’autentica pietra di paragone della vera natura di quest’uomo, tuttavia nei confronti di Claggart e di quanto si svolgeva dentro di lui, i suoi sentimenti scaturivano più da forti sospetti attanagliati da strani dubbi che da una convinzione intuitiva. La perplessità da lui dimostrata non discendeva da qualcosa concernente l’accusato – come di sicuro pensava Claggart – ma da considerazioni sul miglior atteggiamento da adottare nei confronti dell’accusatore. In un primo momento, invero, fu tentato naturalmente di chiedere le prove concrete delle accuse che Claggart aveva detto essere a portata di mano. Ma una tale procedura avrebbe finito col diffondere la faccenda, che nella situazione attuale, a suo parere, avrebbe potuto influire negativamente sull’equipaggio. Se Claggart era un testimone falso, l’affare era chiuso. Perciò, prima di verificare l’accusa, avrebbe in pratica messo alla prova l’accusatore, e questo – era convinto – si poteva fare senza chiasso, con discrezione.
Le misure che decise di prendere comportavano un mutamento di scena, uno spostamento in un luogo meno in vista di quanto non fosse l’ampio ponte di poppa. Sebbene infatti i pochi ufficiali di batteria presenti si fossero ritirati sottovento in debito ossequio alle norme dell’etichetta marinara, nel momento in cui il capitano Vere aveva iniziato la sua passeggiata sul lato sopravvento, e sebbene durante il colloquio con Claggart non si fossero naturalmente avventurati a diminuire la distanza, e nel corso dell’incontro la voce del capitano Vere non fosse stata affatto alta e quella di Claggart fosse rimasta bassa e argentina, e il vento fra le sartie e lo sciabordio del mare avessero contribuito a metterli fuori portata d’orecchio, tuttavia il perdurare del colloquio aveva già attirato l’attenzione di alcuni gabbieri in coffa e di altri marinai che si trovavano nella parte centrale della nave o più oltre.
Decise le misure da prendere, capitan Vere le mise subito in atto. Rivolto bruscamente a Claggart, chiese:
— Maestro d’armi, Budd è di guardia in coffa?
— No, vostro onore.
Al che — Signor Wilkes! — chiamò convocando il guardiamarina più prossimo. — Dite ad Albert di venire da me. — Albert era l’attendente del capitano, una specie di valletto nella cui discrezione e fedeltà il suo padrone aveva grande fiducia. Il ragazzo comparve.
— Conosci Budd, il gabbiere?
— Sì, signore.
— Va’ a cercarlo. È fuori servizio. Vedi di dirgli, senza farti sentire, che è atteso a poppa. Attento a che non parli con nessuno. Fallo chiacchierare con te. E finché non arriva qui a poppa, fino ad allora non dirgli che lo voglio nella mia cabina Hai capito? Va’. Maestro d’armi, mostratevi sui ponti inferiori e, quando ritenete che Albert stia ritornando con il suo uomo, tenetevi pronto, senza darlo a vedere, a seguire il marinaio da me.
19
Ora quando si trovò nella cabina, rinchiuso, per così dire, con il capitano e Claggart, il gabbiere fu non poco sorpreso. Ma non era una sorpresa accompagnata da apprensione o diffidenza. A un’indole immatura, essenzialmente onesta e umana, il presentimento di un insidioso pericolo da parte di un proprio simile giunge tardivamente, se mai vi giunge. L’unico pensiero che prese forma nella mente del giovane marinaio fu questo: sì, il capitano, come ho sempre ritenuto, mi guarda con occhio benevolo. Chissà che non voglia farmi suo timoniere. Mi piacerebbe. E forse ora chiederà di me al maestro d’armi.
— Chiudi la porta, sentinella, — disse il comandante. — Rimani fuori e non lasciar entrare nessuno. Adesso, maestro d’armi, dite in faccia a quest’uomo quello che mi avete riferito, — e si preparò a scrutare i due volti in reciproco confronto.
Con il passo misurato e l’aria calma e composta di uno psichiatra che nella sala comune si avvicini a un paziente che mostra i sintomi di una prossima crisi parossistica, Claggart, dopo essere avanzato deliberatamente fino a trovarsi a breve distanza da Billy e guardandolo ipnoticamente negli occhi, riassunse in breve l’accusa.
Non di primo acchito Billy capì. Quando comprese, il rosa abbronzato delle sue guance parve colpito come da una lebbra bianca. Rimase immobile, quasi fosse impalato e imbavagliato. Nel frattempo gli occhi dell’accusatore, che non avevano ancora abbandonato quelli blu dilatati di Billy, ebbero uno straordinario mutamento: il consueto viola intenso si intorbidò in un porpora fosco. Queste luci dell’intelligenza umana, persa ogni espressione umana, sporgevano gelidamente come gli occhi alieni di certe creature sconosciute degli abissi. La prima occhiata magnetica fu quella incantatrice del serpente; l’ultima fu lo scarto paralizzante del pesce torpedine.
— Parla, ragazzo! — disse il capitano Vere all’uomo che pare va trafitto, colpito dal suo aspetto ancora più che da quello di Claggart.
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