Ma era un modo di disporre della roba altrui, perché agli altri bisognava poi dire: “Ho disposto già altrimenti di quanto vi spettava”. Egli era veramente generoso solo talvolta, per volontà della moglie, com'era molte altre cose ancora quando essa lo voleva.
In viaggio bisognava conquistarsi degli amici, perché altrimenti si percorre questa terra ch'è la vera, la grande nostra patria, col cipiglio dello straniero. Ed il signor Aghios sfruttava le sue piccole mance da vero avaro e voleva con esse comperare non molta, ma un'amicizia duratura. Perciò cominciava col pagare un prezzo inferiore alla tariffa. Di solito l'altro non protestava, ma restava a guardare, interdetto, il poco denaro che teneva nella mano aperta. Allora appena il signor Aghios metteva in quella mano una moneta alla volta, finché essa si chiudeva e sulla faccia del facchino appariva un sorriso. Così quel sorriso, che aveva tardato a nascere, si stampava meglio nel ricordo del signor Aghios e gli appianava qualche miglio di strada. Talvolta, prima ch'egli arrivasse a dare tutta la mancia, il facchino si stancava e se ne andava con una brutta parola. Il signor Aghios se ne andava allora con la mancia in tasca, ma aveva avuto tuttavia la sua soddisfazione perché egli si divideva da un nemico bensì, ma non da uno straniero.
Bisognò scendere per uno scalone sotto terra e risalire, dopo aver percorso un corridoio, alla banchina sulla quale bisognava aspettare il treno non ancora giunto da Torino.
Il facchino domandò al signor Aghios se doveva aspettare con lui. Se non fosse stato necessario di parlare in meneghino il signor Aghios avrebbe trattenuto l'amico dell'ultima ora. Così invece lo congedò e restò nella solitudine allietata dall'ultimo suo sorriso di ringraziamento. S'erano guardati per un istante negli occhi quasi a dichiararsi la loro reciproca benevolenza. E il signor Aghios, per aumentare tale benevolenza, aggiunse alla mancia una sigaretta.
Molta gente aspettava sulla banchina. Accanto ad una colonna erano accatastati molti poveri bagagli, una sola valigia chiusa, due ceste legate, di cui una chiusa da un panno rosso e l'altra verde sbiadito. Una donna sedeva sulla valigia con un poppante in grembo e una fanciullina di dieci anni, ben difesa dal freddo da un vestitino consunto, dormiva su una cesta, la testa appoggiata sul fianco della madre.
“Sloggiano?” pensò il signor Aghios. Vide poi avvicinarsi un contadino che, mentre correva, esaminava dei biglietti ferroviari certo allora acquistati. La giovine donna ebbe un respiro vedendolo. Doveva aver sofferto di essere rimasta sola tanto a lungo. Quello non era un viaggio con tutta quella famiglia. Un'emigrazione, una fuga.
Poi il signor Aghios non guardò più la gente che lo circondava e s'incantò per qualche minuto a guardare il fumo che denso usciva dal camino di una locomotiva fuori della stazione. Il vento lo spingeva. Uscendo dal camino a nuclei, veniva subito diminuito e diffuso dal vento. Ogni nucleo, nell'atto che subiva tale distruzione, pareva si spogliasse e tradisse l'esistenza entro di lui di una testa, un grugno, un essere animato. E tale testa, prima di disfarsi, spalancava degli occhi smisurati per guardare meglio e per guardare meglio finiva con lo spalancarsi tutta. Una processione di teste spaventate e minacciose. “Poche linee di vita bastano a significare l'essenza della vita, la paura o minaccia” moralizzò il signor Aghios.
Il treno entrò sbuffando in stazione. In quell'istante il signor Aghios sentì la voce della moglie che lo chiamava: “Giacomo!”.
Si volse a lei e forse non seppe celare un gesto d'impazienza. Egli l'amava com'essa meritava, ma la sua assenza non era stata lunga abbastanza per fargli desiderare di rivederla. Proprio era bastato il suono della sua voce per strapparlo a quella lieta benevolenza ch'egli riversava su tutte e cose e persone. Eppoi gli portava essa forse l'annunzio che non poteva più viaggiare solo? Ma egli sarebbe partito tuttavia.
La signora dovette indovinare parte del suo stato d'animo perché, interdetta, gli domandò: “Ti secco tanto?” e fece l'atto di ritornare sui suoi passi.
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