Là, dove le tempeste in mare giù precipitano, e la proboscide del monte beve l’acqua, là ciascuno dovrà avere le sue veglie giorno e notte, a “sua” prova e conoscenza.
Conosciuto e provato egli dovrà essere: se sia della mia specie e della mia origine, - se sia signore di volontà lunga, tacito anche se parla, e pronto a dare, ma in modo tale che, anche nel dare, “prenda”:
- se un tempo possa diventare mio compagno, uno che crei, e celebri feste insieme a Zarathustra (155) -: uno che scriva per me la volontà mia sulle mie tavole: perché tutte le cose si compiano in maggiore pienezza.
E per amor suo e per amore di quelli che sono come lui, bisogna che io compia “me stesso”: perciò sfuggo adesso alla mia felicità e mi offro a ogni infelicità - a prova e conoscenza ultima “di me stesso”.
E, in verità, era venuto il tempo, per me, di andare; e l’ombra del viandante e il momento più lungo e l’ora senza voce - tutti mi dissero: - é tempo ormai! - (156).
Il vento soffiava dal buco della chiave, dicendo - Vieni! - . La porta mi si spalancò con fare scaltro e disse - Va’! - .
Ma io giacevo incatenato all’amore dei miei figli: la brama mi aveva così posto in lacci, la brama d’amore - di diventare la preda dei miei figli e di perdermi per loro.
Brama - questo per me vuol dire: aver perduto me stesso. “Io vi ho, figli miei!”. In questo avere, tutto ha da essere certezza, nulla brama.
Ma il sole del mio amore si posò su di me, come a covarmi; Zarathustra cosse nel proprio succo (157), - ed ecco, se ne volarono via, al di sopra di me, ombre, dubbi.
Già anelavo il gelo e l’inverno - oh, se il gelo e l’inverno tornassero a farmi crocchiare e scricchiare! - sospiravo: ed ecco gelide nebbie si levarono da me.
Il mio passato spaccò i suoi sepolcri, certe sofferenze, sepolte vive, si risvegliarono -: avevano dormito solo quanto basta, celate in sudari di cadaveri.
Così tutto mi gridava con segni: - é tempo! - . Ma io - non sentivo: finché il mio abisso sussultò e il mio pensiero mi morse.
Ah, pensiero abissale, che sei il mio pensiero! Quando troverò la forza di sentirti scavare, senza più tremare?
Il cuore mi batte fino in gola, quando ti sento scavare! E anche il tuo silenzio vuol strangolarmi, tu che taci dall’abisso!
Mai ho tentato fino ad oggi di evocarti “in alto”: é già molto che io ti abbia - portato con me! Non ero ancora abbastanza forte per l’estrema leonina audacia e tracotanza.
Il tuo gravame era per me già qualcosa di terribile abbastanza: ma un giorno dovrò trovare anche la forza e la voce leonina che ti evochi in alto!
Quando avrò compiuto questo superamento, vorrò compierne uno anche maggiore; e una “vittoria” ha da essere il sigillo del mio compimento!
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Nel frattempo sono in balìa di mari insicuri; il caso dalla liscia lingua mi lambisce adulante; guardo in avanti e indietro -, né vedo ancora fine.
Ancora non é giunta l’ora dell’ultima mia battaglia, - o é appena giunta? Davvero con perfida bellezza tutt’intorno mi contemplano il mare e la vita!
Oh, pomeriggio della vita mia! Oh, felicità prima di sera! Oh, porto d’alto mare! Oh, pace nell’incertezza! Come diffido di tutti voi!
Davvero io diffido della vostra perfida bellezza! Sono come l’amante che diffida di un sorriso troppo vellutato.
Come questi allontana da sé la donna amata, tenero perfino nella sua durezza e pieno di gelosia -, così io allontano da me quest’ora di beatitudine.
Va’ via, ora beata! Con te giunse a me una beatitudine non voluta! Io sto qui docile al mio più fondo dolore: - tu sei venuta fuori tempo!
Va’ via, ora beata! Piuttosto prendi asilo là - dai miei figli!
Presto, e benedicili ancor prima di sera, con la mia felicità!
Ecco, già si fa sera: il sole affonda. Finita - la mia felicità! -
Così parlò Zarathustra. E attese la notte intera che la sua infelicità giungesse: ma attese invano. La notte rimaneva immota e chiara, e la felicità stessa gli giungeva sempre più vicino. Verso mattina Zarathustra sorrise al suo cuore e disse motteggiando: - la felicità mi corre dietro. Ciò avviene, perché io non corro dietro alle femmine. Ma la felicità é femmina - .
PRIMA CHE IL SOLE ASCENDA.
Oh, cielo su di me, puro! fondo! baratro di luce! Nel contemplarti fremo di desideri divini!
Gettarmi nella tua altezza - questa é la mia profondità! Calarmi nella tua purezza - questa é la “mia” innocenza!
La sua bellezza vela il dio: così tu nascondi le tue stelle. Tu non parli: “così” tu annunci a me la tua saggezza.
Muto sul mare spumeggiante, sei sorto oggi per me; il tuo amore e il tuo pudore parlano rivelazione all’anima mia spumeggiante.
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