E nel 1954, sempre a cura dello stesso Bernard de Fallois, viene pubblicato il saggio narrativo Contre Sainte-Beuve, steso da Proust tra la fine del 1907 e il 1909, un’opera assai importante nella quale alcuni vogliono ritrovare la matrice della Ricerca, ma torneremo su questo punto. Se si aggiunge che uno studioso infaticabile e benemerito come Philip Kolb sta facendo progredire con lodevole regolarità l’edizione della Correspondance proustiana, giunta ormai al 1914; e che un’équipe internazionale, solerte e appassionata, sta studiando e trascrivendo alla Bibliothèque Nationale gli “avantesti” della Ricerca, quei cahiers de brouillons in cui troviamo i germi, le prime configurazioni, gli sviluppi, della Ricerca, si capisce come la “posterità” dell’opera proustiana sia tutt’altro che pacifica, caratterizzata com’è da sorprese, sommovimenti, e da quei colpi di scena che Proust amava e che così profusamente ha inserito nel suo libro, anche se molti lettori non sembrano nemmeno accorgersene.
A ragione Giovanni Macchia ha dedicato molte attenzioni a Les Plaisirs et les Jours, il primo libro di Proust, e ha sottolineato la sua importanza «assai più rilevante di quanto non gli venga riconosciuto».5 Ma il lettore «istruito» (istruito nella materia proustiana, s’intende), non può percorrere le pagine dell’opera prima di Proust senza provare un misto di ammirazione e di irritazione. Si resta ammirati per la precocità e la sicurezza dell’esordiente, che con istinto infallibile trova d’emblée la materia su cui esercitarsi. Se n’era accorto Gide che, già nel 1923, scriveva: «Sì, tutto ciò che ammiriamo in Swann o nei Guermantes si trova già qui [nei Plaisirs et les Jours], sottilmente, insidiosamente proposto»: temi e motivi che Gide segnala e che diverranno lussureggianti nella Ricerca e, aggiungiamo, quelle figure psicologico-esistenziali che sorreggono la narrazione proustiana nei suoi aspetti introspettivi, come l’abitudine, l’indifferenza, l’oblio, ecc. Se si rileva inoltre, con Maurice Bardèche, che assistiamo per la prima volta al «transfert autobiografico dal maschile al femminile» (nella Confession d’une jeune fille, ad esempio) si può valutare l’importanza dell’opera prima proustiana.
Ma se il nucleo tematico essenziale è già presente e operante, manca per così dire, la musica, quella musica, quell’«accento», che a partire dal Jean Santeuil caratterizzano ogni pagina del Proust maturo. Lo stile dei Plaisirs è sapiente, ma un po’ mièvre e agghindato; si respira un’aria decadente, un po’ asfittica. Il lettore veramente appassionato di Proust, quello che non vuole soggiacere interamente alla frenesia esclusiva delle agnizioni tematiche e stilistiche, pur ammirando, non può non sentirsi spesso a disagio.
«Mi è lecito chiamare romanzo questo libro? È forse qualcosa di meno e molto di più: l’essenza medesima della mia vita qui distillata, senza nulla aggiungervi, quale cola dalle fessure delle ore. E questa non è una scusa per la mia pigrizia.»6 È l’inizio del Jean Santeuil, quale può leggersi nel frammento incompiuto di un’introduzione. Anche qui, da queste sole poche righe, possiamo avvertire che l’«accento» è cambiato rispetto ai Plaisirs et les Jours. Proust è maturato: ha cominciato a meditare su Ruskin, ha esteso vertiginosamente le sue letture spaziando dai classici ai contemporanei, anche ai minori e ai minimi. Chateaubriand, Flaubert, Balzac, La Bruyère, Saint-Simon e qualche altro, naturalmente, lo hanno aiutato a foggiarsi uno stile che non è ancora quello definitivo della Ricerca, ma gli si avvicina, perché si è liberato quasi interamente dai vezzi, dalle bellurie, di tante pagine dei Plaisirs et les Jours.
Jean Santeuil è un romanzo autobiografico o, se vogliamo, un “romanzo di formazione”. Anche la Ricerca lo sarà, e lo vedremo, ma in un modo così violentemente originale e innovativo, che le strutture tradizionali del Bildungsroman verranno letteralmente scardinate.
Proust attese al Jean Santeuil per sette anni, dal 1895 al 1902, lo abbiamo visto, e lavorò sodo perché il testo a stampa sviluppa più di settecento pagine; ma non portò a compimento l’opera e abbandonò il progetto. L’intento era quello di dare, appena romanzato, l’equivalente letterario di una vita («un livre qui serait moi-même»). Anne Henry, a questo proposito, ha parlato acutamente di «minimalismo sperimentale» e di un «capovolgimento gerarchico» che viene a privilegiare «i piccoli fatti dell’esistenza, [a] scartare le drammatizzazioni a vantaggio del tipico e del quotidiano. Ormai, le funzioni corporali e i processi psicologici ordinari usurpano il posto dei grandi sentimenti: sonno, abitudine, digestione, memoria hanno una funzione rivelatrice essenziale».7 Nel realizzare il progetto Proust stese un seguito di frammenti giustapposti che non riuscì a cementare in una struttura compositiva organica. Mancò, insomma, il momento del “montaggio”, fondamentale, lo vedremo, nella tecnica narrativa del Proust veramente maturo.
Se per Jean Santeuil si deve parlare di fallimento, bisogna aggiungere che si tratta di un fallimento grandioso. Il libro incanta ma al tempo stesso sazia per il susseguirsi ininterrotto di momenti staccati. L’ambizione di realizzare un “racconto puro”, senza legami né ponti esplicativi, senza le zeppe necessarie alla trama, si risolve alla fine in un’affascinante ma inconcludente ripetitività.
Se Les Plaisirs et les Jours si presenta come il libro decadente di Proust, Jean Santeuil può essere anche definito, come ha fatto Anne Henry, un «manifesto naturista». Il protagonista, infatti, è «avido di simpatizzare con tutta la natura che era in lui come attorno a lui»; si estasia di fronte agli spettacoli naturali, dai più comuni ai più violenti, come la pioggia battente o il vento impetuoso di una burrasca; ed è correttamente monista perché dichiara che «lo spirito è fatto degli stessi elementi della natura». In tutto ciò, Proust è inseribile in una precisa, coeva temperie culturale, il “naturismo” appunto, che, nutrito soprattutto di Nietzsche, si oppone alle estenuazioni e all’artificio dei simbolisti. Basti pensare ai Nutrimenti terrestri di Gide o da noi a quella mirabile summa teorica che è Il Verso Libero di Gian Pietro Lucini.8
Nel romanzo, la vita diviene un «oggetto di fede e di amore»; la vita, appunto, che dispensa a chi sappia coglierle «le gioie pure del paradiso terrestre». Un empito ottimista e vitalista («l’allégresse de la vie») pervade il libro, un empito che si attenuerà, è vero, si problematizzerà, soprattutto, nella Ricerca, ma non scomparirà interamente. Non so se sia mai stato notato che la parola bien-être (benessere) ricorre innumerevoli volte in Jean Santeuil; come più tardi, nella Ricerca, il vocabolo désir (desiderio). A fiotti il benessere scende sul protagonista, che sa percepirlo nelle cose più umili e comuni; ma anche, almeno una volta, in una stupenda scena d’amore fisico con una «grande jeune femme de vingt-deux ans, bonne et gaie, forte et fraîche», una situazione in cui il désir si coniuga emblematicamente col bien-être. E abbiamo accennato a questa scena perché, come vedremo, il désir diverrà egemone nella Ricerca, che si configurerà, tra le altre cose, come una vera e propria odissea del desiderio.
Gianfranco Contini, in un saggio celebre, ha definito giustamente Jean Santeuil «l’infanzia della Recherche»9 e Mireille Marc-Lipiansky con illuminata e solerte diligenza ha scrutinato il passaggio di descrizioni, situazioni, personaggi e temi, dal romanzo giovanile all’opera maggiore.10 Non insisteremo su questo punto. Se già qualcosa dai Plaisirs et les Jours passa alla Ricerca, lo abbiamo visto, il serbatoio principale dell’opera va additato sicuramente in Jean Santeuil. Anche per quel che riguarda la scrittura, la prosa inamidata e sorvegliata dei Plaisirs si distende, si fortifica in Jean Santeuil, acquista una cadenza nuova anche se un po’ monotona, un calore intimo e continuo. Non siamo ancora al virtuosismo e al pluristilismo della Ricerca, ma siamo sulla buona strada.
Ma c’è di più: nel primo capitolo del romanzo che Pierre Clarac, il curatore dell’edizione della «Pléiade», ha denominato “Préface”, ci imbattiamo in un passo estremamente significativo. Jean e un suo amico incontrano in un posto di villeggiatura della costa bretone lo scrittore C., che subito diviene il centro dell’interesse e delle attenzioni dei due giovani, entrambi appassionati d’arte e letteratura. Leggiamo: «Quelle domande che non osavamo porgli, perché già una prima volta ci aveva scoraggiati con una risposta perentoria, ci interessavano più di ogni altra.
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