Immaginò di essere a teatro, seduto in una comoda poltrona di velluto, tutto intento a godersi una gaia commedia, di camminare per strade ben illuminate e piene di gente, fra vetrine attraenti colme di magnifici gioielli e oggetti in pelle; e infine gli apparve la propria immagine, un po’ rinnovata e ringiovanita, nell’angolo tranquillo di un elegante e accogliente ristorante accanto a una donna a cui la sua fantasia conferì involontariamente i graziosi lineamenti di Alberta. Per la prima volta, dopo la separazione, quel giorno pensò a lei con una certa malinconia; si domandò se fosse stato particolarmente saggio cederla senza opporre resistenza a quel giovane americano al quale lei, una volta sottratta alla sua pericolosa vicinanza, dopo pochi giorni non avrebbe di certo più pensato, e rifletté se durante quel colloquio nel bosco vicino al lago dei Quattro Cantoni non sarebbe stato piuttosto suo dovere mettere in guardia l’amica - anziché consigliarle di accettare una proposta di matrimonio che, nonostante ogni risolutezza suggerita dalla passione, appariva tuttavia piuttosto sospetta, poiché faceva seguito a una conoscenza di soli pochi giorni. Naturalmente Robert non s’ingannava neanche sul fatto che il proprio momentaneo disagio derivava molto meno da questi tardivi scrupoli di coscienza che dal gradito e quasi doloroso ricordo dei sensi che allora in lui si ridestava.
Rientrato tardi in albergo, pranzò come sempre da solo accanto a una delle grandi finestre della sala con la vista sul mare. Poi si accomiatò cortesemente da alcune persone conosciute sul posto e infine si sedette per un momento al tavolo delle signore Rolf che prendevano il caffè pomeridiano sulla terrazza che dava sulla riva.
La signorina Paula, alla quale Robert non aveva prestato particolare attenzione durante la sua permanenza sull’isola, poiché non gli interessava affatto stabilire rapporti con donne nubili di buona famiglia, lo osservò quel giorno con una simpatia che lo fece meditare. Quando al momento di prendere congedo egli non solo baciò la mano della madre, una donna ancora bella e dal portamento nobile, ma, contrariamente alle sue abitudini, anche quella della figlia, sentì sulla fronte il caldo fulgore di uno sguardo amichevole e intimo che s’incupì, per così dire, quando incontrò gli occhi di Robert.
Si recò nella sala da musica, accennò qualche accordo sul pianoforte scordato, ma ben presto abbandonò di nuovo la sala dietro le cui tendine abbassate svaporava l’afoso pomeriggio; e, camminando avanti e indietro sulla ghiaia bianca e lucente della riva, avvertì penosamente l’imperscrutabile vuoto delle inutili ore che precedono una partenza già fissata. Decise perciò di percorrere il breve tratto di mare ancora in pieno giorno e preferì prendere subito una piccola barca a motore, anziché aspettare la sera e servirsi del vaporetto di linea; vagò così fino a poco prima della partenza del treno per le strade tortuose e accidentate della città portuale, le cui antichità si era proposto ogni giorno di visitare, rimandando però sempre quel progetto, fino a ridursi all’ultima ora. Mentre si trovava sui più alti e sgretolati gradini dell’arena, avvolto dalla luce del giorno fuggente, dal profondo dell’immenso cerchio salì verso di lui la sera, simile a un oscuro ammonimento.
II
Quando il treno lasciò la stazione, Robert indugiò al finestrino del suo scompartimento e si congedò senza commozione dall’isola di fronte, immersa nel grigiore rosato del tramonto, e così pure dal mare, sulle cui onde più lontane brillava l’ultimo chiarore violetto del sole ormai scomparso. Il treno saliva sbuffando tra miseri vigneti, avanzava lentamente verso la zona carsica e ben presto, dopo un lungo tunnel, sbucò nel roccioso paesaggio serale il cui orizzonte racchiudeva ormai in sé solo la sensazione del mare, non più la sua immagine. Solo allora Robert, stanco per il lungo girovagare per le strade irregolari e mal lastricate dell’antica città portuale, si sdraiò nella sua cuccetta e cercò di ritrovare in sé quel lieto presentimento che ancora la mattina durante la sua passeggiata lo aveva commosso e quasi reso felice. Ma non provò più gioia, bensì una strana ansietà, quasi andasse incontro a una decisione importante e seria. La vicinanza della patria si annunciava dunque in modo così struggente? Era suo destino ritornare a casa altrettanto depresso come quando ne era partito? Dopo i momenti di serenità degli ultimi mesi, si abbatteva ora su di lui quella sensazione inconcepibile, afferrabile appena col pensiero e mai traducibile in parole che, minacciosa e oscura, sembrava preannunciare mali ancora peggiori?
Si erano sbagliati i medici o l’avevano ingannato di proposito affermando che sei mesi di vacanza gli avrebbero restituito completamente la salute? E’ vero che il dottor Leinbach, suo amico di gioventù, era sempre stato incline a prendere alla leggera i disturbi che i suoi pazienti gli riferivano, né potevano essere molto tranquillizzanti le sue assicurazioni che degli stessi mali aveva sofferto qualche volta anche lui. Ma non era in nessun caso immaginabile che anche Otto, se lo avesse ritenuto seriamente ammalato, si fosse assunto la responsabilità di mandare il suo unico fratello per sei mesi in giro per il mondo da solo. Allo stesso tempo, però, Robert dovette chiedersi, e non per la prima volta, se si fosse confidato anche col fratello senza nascondergli nulla o se, preso da una strana timidezza, ancora nell’ultimo colloquio con lui, non avesse piuttosto fatto apparire il suo stato di salute meno grave di quanto lui stesso non ritenesse, nell’inconscia speranza di ottenere un verdetto più mite.
Verdetto: ecco la parola che sorgeva imperiosa in lui, ed era quella giusta. Poiché sempre, sin dalla giovinezza, sebbene più brillante nelle qualità esteriori, egli si era ritenuto meno importante del fratello maggiore, e non si nascondeva che il proprio stile di vita borghese era visto da Otto con indulgenza, ma spesso anche con insofferenza e fastidio. E Robert lo capiva benissimo. La vita piena di responsabilità di Otto, la serietà della sua professione, nell’esercizio della quale erano in gioco valori così essenziali come la vita e la salute, la ricerca della pace in seno alla famiglia, che gli dava sicurezza ma al tempo stesso esigeva da lui tanti sacrifici, tutto ciò si presentava a Robert in una luce talmente sublime che al confronto la propria esistenza, sebbene anch’essa assorbita dagli impegni di un impiego, gli appariva molto spesso priva di vera dignità e di profondo significato.
Pensava che la sua città non potesse riservargli accoglienza migliore che quella di essere salutato cordialmente dal fratello come un uomo risanato, e forse addirittura migliorato. Che la lieta aspettativa di un felice incontro si trasformasse a poco a poco in una sensazione di crescente ansietà doveva avere origini nascoste che Robert, esitando ma senza opporre resistenza, si sforzava di indagare. E sentì salire come dal profondo dell’anima un ricordo sbiadito, che tuttavia non era possibile allontanare, quasi non volesse farsi trattenere oltre nel suo lungo e ingannevole torpore; cominciò a echeggiare in lui una parola che dapprima non osò ammettere il proprio senso; di proposito egli mormorò fra sé quella parola una volta, dieci, cinquanta volte, come a privarla in quel modo del suo significato e della sua forza. In effetti la parola cominciò a poco a poco a diventare più vuota e insignificante, e alla fine non fu più che una casuale successione di lettere dell’alfabeto messe arbitrariamente una accanto all’altra, non più significativa del rumore delle ruote del treno in corsa con il quale si confuse per svanire infine del tutto, mentre Robert cedeva lentamente al sonno.
III
Giunto alla stazione, Robert salì in carrozza sotto una pioggia torrenziale, e subito diede al cocchiere l’indirizzo della sua precedente abitazione, quella che aveva disdetto prima della partenza; poi però, quando si rese conto del proprio errore, disse il nome del vecchio albergo dove aveva prenotato una stanza. Situato alle spalle di una chiesa, fra gli alti e tetri palazzi del centro, l’edificio non aveva certo quell’aspetto simpatico e allegro con il quale gli alberghi più moderni sono soliti dare il benvenuto ai loro ospiti; tuttavia Robert lo aveva scelto non soltanto perché le sue risorse finanziarie, che pure erano ancora quasi intatte, non gli permettevano un soggiorno relativamente lungo in un albergo più moderno, ma soprattutto perché, in una stanza al quarto piano, aveva trascorso anni prima alcune ore prima in compagnia di un amico da tempo defunto la cui amante abitava lì. Stranamente l’immagine dell’albergo di cui conservava memoria era quella di un piccolo, antico palazzo, e invano cercò ora le tracce di uno sfarzo svanito che allora aveva potuto suscitare o favorire una simile illusione.
Non c’erano né le artistiche decorazioni lungo la ringhiera in ferro delle scale, né sotto il soffitto dell’atrio si vedevano i rilievi barocchi che si era aspettato di trovarvi; e il tappeto delle scale, stretto e consunto, riluceva di un rosso porpora misero e scolorito.
Tuttavia la stanza che gli assegnarono, col soffitto alto e due grandi finestre, arredata in modo accogliente e con una bella vista sulla cupola della chiesa coperta da una patina verde, lo riconciliò con la prima misera impressione.
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