CASSIO - Bene, taspetto.
CASSIO - Bene, taspetto.
CASCA - Aspettami, verrň. Per il momento vi saluto entrambi.
(Esce)
BRUTO - Che uomo spigoloso č diventato! E dire che negli anni dela scuola era dun indole cosě vivace!
CASSIO - E lč tuttora, se deve eseguire qualunque impresa coraggiosa e nobile, malgrado lapparente sua rudezza. La qual rudezza č solo il condimento del suo vivace ingegno, e serve a offrire al prossimo uno stomaco per fargli digerir piů facilmente quel chegli dice.
BRUTO - Giŕ. Sarŕ cosě. Ora devo lasciarti. Ma domani, se avrai piacere di parlar con me, vengo io da te; o, se lo vuoi, vieni tu a casa mia, ti aspetterň.
CASSIO - Verrň io. Tu, intanto, pensa al mondo(18).
(Esce Bruto)
Tu sei nobile, Bruto; eppure quel tuo nobile metalo, io lo vedo, puň esser lavorato diversamente da come č forgiato; č bene, quindi, che le menti nobili si tengan sempre con i loro simili; giacché chi mai puň dirsi tanto saldo da non lasciare che altri lo seduca? Cesare mal sopporta questo Cassio, ma Cesare ha molto caro Bruto; e fossio Bruto, e Bruto fosse Cassio, Cesare, Bruto, non lo sedurrebbe(19). Questa notte, attraverso le finestre, gli getto dentro casa alcuni scritti stilati con caligrafie finestre, gli getto dentro casa alcuni scritti stilati con caligrafie diverse, come se fossero diretti a lui da vari cittadini, tutti esaltanti laltissimo onore nel quale Roma tiene il nome suo. In essi si faran velati accenni ala necessitŕ di tener docchio lambizione di Cesare; dopo di che, si tenga saldo Cesare sul suo seggio, ché noi lo scroleremo, o patiremo giorni ancor peggiori.
(Esce)
SCENA III
Roma, una via
Tuoni e lampi. Entrano, da parti opposte, CASCA, con la spada sguainata, e CICERONE
CICERONE - Salve, Casca. Scortasti a casa Cesare? Ma perché sě affannato? E perché quelo sguardo stralunato?
CASCA - E tu non provi nessun turbamento, quando lintero equilibrio del mondo vacila come una cosa malferma? Cicerone, ne ho viste di tempeste, coi venti scatenati, furibondi, da sradicar le piů nodose querce; e loceano gonfiarsi incolerito, e schiumare di rabbia verso il cielo fino a lambir le minacciose nubi; ma mai, fino a stanotte, fino ad ora, mi son trovato in mezzo a una bufera grondante fuoco e fiamme come questa. O gli dči sono in lotta tra di loro, oppure il mondo, troppo presuntuoso verso gli dči, li esaspera a tal punto da scatenar quaggiů la distruzione.
CICERONE - Perché, vedesti ancora altri prodigi?
CASCA - Ho visto appunto un uomo, un certo schiavo (che CASCA - Ho visto appunto un uomo, un certo schiavo (che tu devi conoscere di vista) levare in alto la mano sinistra, e questa a un tratto divampare ed ardere, che parevano venti torce insieme; e quela mano, insensibile al fuoco, restar del tutto ilesa dala fiamma. Inoltre, di passaggio in Campidoglio, - e non ho piů rimesso nel suo fodero da quel momento questo mio pugnale
- ho incontrato un leone; che mha fissato, torvo, e se nč andato, senza darmi molestia. E lě presso, stravolte dal terrore, un centinaio di povere donne che giuravano daver visto correre uomini in fiamme per le vie di Roma. Ieri, poi, la civetta sč posata, col suo sinistro, stridulo singulto, in mezzo al Foro, in pieno mezzogiorno. Quando accadono simili prodigi, e tutti in una volta, come adesso, facciamo presto a dire: Č la natura, tutto si spiega con cosě e cosŕ
. Son fenomeni, questi, io son convinto, premonitori di serie sciagure per i paesi dove si producono.
CICERONE - Certo, viviamo in tempi assai bizzarri; ma ciascuno di noi puň interpretare le cose a modo suo, e in senso opposto talvolta al vero lor significato. Dimmi piuttosto, Casca:
Viene domani in Campidoglio Cesare?
CASCA - Certamente. E lo so perché lho udito che diceva ad Antonio di avvertirti chegli domani ci sarŕ.
CICERONE - Va bene. Alora buona notte, caro Casca.
1 comment