Alto sulla Cava, fumava, eretto, superbo e intriso di luce. Era per tutte le genti il segnale supremo.
Lentamente saliva quel fumo divino nell'aria mattutina, odoroso, ondeggiante. Fu, dapprima, nient'altro che una tenebrosa striscia; poi il vapore s'azzurrò e ispessì, e sbiancò: e salendo e ingrandendo incessantemente andò a spezzarsi al duro soffitto del cielo.
Dalle più lontane cime delle Montagne Rocciose, dai laghi del Nord di onde rumoreggianti, da Tawasentha, valle impareggiabile, sino a Tuscoloosa, profumata foresta, videro tutti il segnale, il fumo alzarsi immenso e quieto nel mattino vermiglio.
Dicevano i Profeti: «Vedete la striscia di vapore che, simile a mano imperante, oscilla e in nero si distacca tremando contro il sole? È Gitche Manito, Signore della Vita, che dice ai quattro cantoni della prateria immensa: «Vi chiamo tutti, guerrieri, al mio consiglio.»
Per vie d'acqua, per strade di pianura, dai quattro angoli da cui soffiano i venti, tutti i guerrieri, di ciascuna tribù, tutti, accolto il segno della mobile nube, vennero docili alla Cava Purpurea ove Gitche Manito gli fissava l'incontro.
I guerrieri stavano nella verde prateria, in assetto e cipiglio di guerra, maculati come fogliame d'autunno; e l'odio, che porta a combattere gli uomini, l'odio che ardeva un tempo gli occhi dei loro padri, incendiava ancora le loro pupille d'un fuoco fatale.
I loro occhi erano pieni d'un odio ereditario. Or Gitche Manito, Signore della Terra, li guardava con pietà, così come un buon padre, nemico del disordine, che vede i figli combattersi e mordersi. Tale Gitche Manito per tutti quei popoli.
Steso egli su di essi, la sua destra possente per soggiogare il loro cuore e la loro angusta natura, per smorzare la loro febbre all'ombra della sua mano; poi disse loro, con la voce maestosa, simile a quella d'un'acqua tumultuante, che cadendo manda un suono mostruoso, sovrumano!
_II
«O mia posterità, deplorevole e amata! O figli miei, ascoltate la divina ragione. È Gitche manito, Signore della Vita, che parla, colui che portò nella vostra patria l'orso, il castoro, la renna ed il bisonte.
Io vi ho reso caccia e pesca agevoli; perché mai, però, il cacciatore si fa assassino? Fui io a rendere la palude ricca d'uccelli; perché, indocili figli, non v'accontentate? Perché l'uomo dà la caccia al vicino?
Sono stanco, stanco delle vostre orribili guerre. Le vostre preghiere, persino i vostri giuramenti non sono che misfatti. C'è un pericolo in voi: sta nei vostri umori opposti, mentre nell'unione sta la vostra forza. Fraternamente dunque vivete in pace fra di voi.
Riceverete presto, dalla mia mano, un Profeta, che verrà ad istruirvi e a soffrire con voi. La sua parola farà della vita una festa; ma se disprezzerete la sua perfetta saggezza, sarete destinati, poveri figli reprobi, ad essere distrutti.
Cancellate nei flutti i colori delittuosi. Sono fitte le canne e la roccia dura: ognuno può cavarne la sua pipa. Ma, più guerre né sangue. Vivete ormai da fratelli e uniti fumate la Pipa della Pace!»
_III
D'improvviso, gettate le armi a terra, lavano nel ruscello i colori di guerra che lucevano sulle loro fronti crudeli e trionfanti. Ognuno si fa una pipa e coglie sulla riva un lungo cannello che abilmente abbellisce. Lo Spirito sorrideva ai suoi poveri figli.
Ognuno, l'anima in pace, estatica, riprese la strada, e Gitche Manito, Signore della vita, risalì, per la porta dischiusa dei cieli. - Attraverso lo splendido vapore della nube, l'Onnipossente saliva, contento di sé, immenso, profumato, sublime e radioso!
3 • MADRIGALE TRISTE (Torna all'indice)
_I
Che m'importa che tu sia savia. Sii bella e triste! Le lagrime danno nuovo incanto al tuo viso, come un fiume al paesaggio: il temporale dà vita ai fiori.
T'amo soprattutto quando la gioia fugge dalla tua fronte abbattuta: quando il tuo cuore naufraga nell'orrore; quando sul tuo presente si dispiega la paurosa nube del passato;
quando dal tuo grande occhio scorre un'acqua calda come il sangue; e malgrado la mia mano che ti culla, la tua angoscia, con tutto il suo peso, strazia come rantolo d'agonizzante.
Aspiro, voluttà divina, inno profondo e delizioso, tutti i singhiozzi del tuo petto: e mi pare che il tuo cuore s'illumini delle perle che versano i tuoi occhi!
_II
So che il tuo cuore, traboccante d'antichi amori sradicati, fiammeggia ancora come una fucina, e che tu covi in seno qualcosa della superbia dei dannati,
ma sintanto, mia cara, che i tuoi sogni non saranno il riflesso dell'inferno, e che in un incubo incessante, sognando di veleni e di spade, innamorata di polvere e di ferro,
non aprendo che con timore a tutti, vedendo ovunque sventura, spasimando al sonare dell'ora, non avrai sentito la stretta del Disgusto irresistibile,
non potrai, schiava regina che m'ami, con paura, dirmi, nella torbida notte, l'anima piena di gridi: «Eccomi, mio Signore, sono pari a te.»
4 • LA PREGHIERA D'UN PAGANO (Torna all'indice)
Ah, non diminuire le tue fiamme, rinfocola il mio cuore assopito, tortura delle anime, Voluttà. Diva! supplicem exaudi!
Dea dispersa nell'aria, fiamma nel nostro sottosuolo, esaudisci un'anima infiacchita che ti consacra un bronzeo canto!
Voluttà, sii per sempre mia regina! Fatti sirena di carne e di velluto,
o versami i tuoi grevi sonni nel vino mistico e informe, voluttà, elastico fantasma!
5 • IL RIBELLE (Torna all'indice)
Dal cielo precipita come un'aquila un Angelo, e afferra a pugno pieno i capelli del miscredente e gli dice, scuotendolo: «Tu devi conoscere la regola (io sono il tuo buon angelo, capisci?). Lo esigo.
Sappi che si deve amare, senza tante smorfie, il povero, il cattivo, lo storpio, l'ebete: così tu potrai fare a Gesù, quand'egli passa, un tappeto trionfale con la tua carità.
Così è l'Amore. Avanti che il tuo cuore divenga indifferente, riaccendi la tua estasi alla gloria di Dio: è questa la vera, duratura Voluttà.
E l'Angelo, castigando nella misura che ama, tortura con le sue mani di gigante il maledetto. Ma il dannato risponde sempre: «No, non voglio!»
6 • L'AVVERTITORE (Torna all'indice)
Ciascun uomo degno del suo nome ha nel cuore un Serpente giallo che, installato come su di un trono, se egli dice: «Voglio!», risponde: «No!»
Figgi i tuoi occhi negli occhi immoti di Satiresse o di Naiadi e il Dente dirà: «Pensa al tuo dovere!»
Fa' dei figli, pianta degli alberi, polisci dei versi, scolpisci dei marmi, e il Dente dirà: «Questa sera sarai vivo?»
Qualunque cosa abbozzi e speri, l'uomo non vive un solo istante senza subire l'avvertimento dell'insopportabile Vipera.
7 • EPIGRAFE PER UN LIBRO CONDANNATO (Torna all'indice)
O lettore quieto, bucolico, o sobrio, ingenuo uomo perbene, getta questo libro saturnino, tutto orge e malinconie.
Se non hai seguito retorica da Satana, il furbo decano, getta... Non vi capirai nulla e mi crederai isterico.
Ma se, senza lasciarti irretire, sai calare negli abissi, leggimi: imparerai ad amarmi.
Anima curiosa che soffri e vai cercando il tuo paradiso, compiangimi... O sii maledetto.
8 • RACCOGLIMENTO (Torna all'indice)
Stai quieto, mio Dolore, stai calmo. Invocavi la Sera: eccola, scende e un'atmosfera scura avvolge la città, apportando agli uni pace, agli altri affanno.
Mentre la moltitudine vile dei mortali, sotto la sferza del Piacere, carnefice impietoso, va a cogliere rimorsi nella festa servile, dammi la mano, o mio dolore, vieni da me,
lontano da loro. Vedi affacciarsi dai balconi del cielo gli Anni defunti in vestiti antiquati, vedi sorgere dal fondo delle acque il radioso Rimpianto;
il sole addormentarsi moribondo sotto un ponte; e come un lungo sudario strusciante a Oriente, ascolta, mio caro, ascolta la dolce Notte che avanza.
9 • IL COPERCHIO (Torna all'indice)
Vada per mare o per terra, in un clima ardente o sotto un sole bianco, servitore di Gesù o di Citera, oscuro mendicante o Creso opulento,
cittadino, campagnolo, vagabondo o sedentario, svelto o lento di cervello che sia, dovunque l'uomo è oppresso dal terrore del mistero e non osa guardare verso l'alto che tremando.
Lassù, il Cielo, muro di caverna che lo schiaccia, soffitto illuminato per un'opera buffa, dove ogni guitto calpesta un suolo insanguinato;
terrore dell'ateo, speranza del folle eremita: il Cielo! Coperchio nero della grande marmitta in cui impercettibile e immensa bolle l'Umanità.
10 • LA LUNA OFFESA (Torna all'indice)
O Luna, che i nostri padri adoravano con discrezione, dall'alto dei paesi azzurri ove, radioso serraglio, gli astri in lieto corteo ti seguono, mia vecchia Cinzia, lampada delle nostre tane,
vedi gli amanti, sui loro felici giacigli, dormendo, mostrare il fresco smalto della bocca; il poeta puntare con la fronte sulla sua opera; sotto le erbe aride accoppiarsi le vipere?
E, sotto il tuo giallo domino, vai, come un tempo, con piede furtivo, da sera a mattino, a baciare la bellezza matura d'Endimione?
«O figlio misero d'un tempo impoverito, vedo tua madre che piega la greve massa dei suoi anni verso lo specchio, imbellettando artificiosamente il seno che t'ha nutrito.»
11 • L'ABISSO (Torna all'indice)
Pascal aveva il suo abisso, che mai lo lasciava. - Ahimè, tutto è abisso, - azione, desiderio, sogno, parola! E sui miei capelli ritti sento mille volte passare il vento della paura.
In alto, in basso, dovunque la profondità, la riva, il silenzio, lo spazio pauroso e affascinante... In fondo alle mie notti col suo dito sapiente disegna un incubo multiforme, senza requie.
Ho paura del sonno come d'un gran buco colmo di un vago orrore, del quale non sai la fine; non vedo che infinito da tutte le finestre.
E il mio spirito di continuo minacciato dalla vertigine, invidia l'insensibilità del nulla. - Ah! Che io non esca mai dai Numeri e dagli Esseri!
12 • I LAMENTI DI UN ICARO (Torna all'indice)
Gli amanti delle prostitute sono felici, pasciuti, allegri; quanto a me, le mie braccia son rotte per aver abbracciato solo nuvole.
È grazie agli incomparabili astri che ardono nel profondo del cielo che i miei occhi consunti non vedono che ricordi di soli.
Vanamente ho preteso trovare il centro e la fine dello spazio: sento che la mia ala si spezza sotto non so che occhio di fuoco;
e arso dall'amore del bello non avrò l'onore supremo di dare il mio nome all'abisso che mi sarà tomba.
13 • L'ESAME DI MEZZANOTTE (Torna all'indice)
La pendola, sonando mezzanotte, ci porta ironicamente a ricordare come ci comportammo nel giorno che fugge: - Oggi, data fatidica, venerdì tredici, abbiamo, ad onta di tutto ciò che sappiamo, vissuto da eretici.
Abbiamo bestemmiato Gesù, il più incontestabile degli Dei? Come un parassita a tavola di qualche mostruoso Creso, abbiamo, per far piacere al bruto, degno vassallo dei Demòni, insultato quel che amiamo, adulato quel che ci ripugna;
servili carnefici, abbiamo rattristato il debole a torto disprezzato; salutato l'enorme Stupidità dalla testa di toro; baciato la stupida Materia devotamente, e benedetto della putrefazione la tremula fiammella.
Infine, per annegare la vertigine nel delirio, noi, sacerdoti orgogliosi della Lira - la cui gloria è dispiegare l'ebbrezza delle cose funebri - abbiamo bevuto senza sete, mangiato senza fame...! - Su, soffiamo sulla lampada, nascondiamoci nelle tenebre!
14 • BEN LONTANO DA QUI (Torna all'indice)
Qui è la sacra capanna, qui la fanciulla riccamente ornata, tranquilla, sempre pronta;
con una mano si sventaglia il seno, e, il gomito appoggiato ai cuscini, ascolta il pianto delle fontane:
è la stanza di Dorotea. La brezza e l'acqua cantano di lontano, per cullare questa bambina viziata, la loro canzone singhiozzante.
Dall'alto al basso, con cura, la sua pelle delicata è strofinata con benzoino e olii profumati. - In un angolo si consumano fiori.
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