I miserabili - Volume II
I MISERABILI
Victor Hugo
INDICE VOLUME II
Libro quarto
- LA STAMBERGA GORBEAU
I.
Mastro Gorbeau
II.
Nido per gufo e capinera
III.
Due infelicità unite fanno una felicità
IV.
Le considerazioni della principale locataria
V.
Una moneta da cinque franchi che cade a terra fa rumore
Libro quinto
- A CACCIA OSCURA, MUTA SILENZIOSA
I.
Gli zig-zag della strategia
II.
E' un bene che il ponte di Austerlitz ammetta il transito delle vetture
III.
Si veda la mappa di Parigi del 1727
IV.
I brancolamenti dell'evasione
V.
Ciò che sarebbe impossibile con l'illuminazione a gas
VI.
Inizio di un enigma
VII.
Seguito dell'enigma
VIII.
L'enigma raddoppia
IX.
L'uomo dal sonaglio
X.
In cui si spiega come Javert facesse cilecca
Libro sesto -
IL PETIT PICPUS
I.
Vicolo Picpus, numero 62
II.
La regola di Martin Verga
III.
Severità
IV.
Giocondità
V.
Distrazioni
VI.
Il convento piccolo
VII.
Figure di quell'ombra
VIII.
"Post corda lapides"
IX.
Un secolo sotto un soggolo
X.
Origine dell'adorazione perpetua
XI.
Fine del Petit Picpus
Libro settimo
- PARENTESI
I.
Il convento, idea stratta
II.
Il convento, fatto storico
III.
A quale condizione è possibile rispettare il passato
IV.
Il convento sotto il punto di vista dei princìpi
V.
La preghiera
VI.
Bontà assoluta della preghiera
VII.
Precauzioni da prendere nel biasimo
VIII.
Fede e legge
Libro ottavo
- I CIMITERI PRENDONO CIO' CHE LORO SI DA
I.
Dove si tratta del modo di entrare in convento
II.
Fauchelevent di fronte alle difficoltà
III.
Madre innocente
IV.
Dove si direbbe proprio che Jean Valjean abbia letto Austin Castillejo
V.
Non basta essere ubriacone per essere immortale
VI.
Fra quattro tavole
VII.
Dove si scopre l'origine della frase non perdere la carta
VIII.
Interrogatorio riuscito
IX.
Clausura
Parte Terza: MARIUS
Libro primo
- PARIGI STUDIATA NEL SUO ATOMO
I.
"Parvulus"
II.
Qualche suo segno particolare
III.
E' simpatico
IV.
Può essere utile
V.
Le sue frontiere
VI.
Un po' di storia
VII.
Il monello avrebbe un suo posto nelle caste indiane
VIII.
Dove si legge una frase carina del vecchio re
IX.
La vecchia anima della Gallia
X.
"Ecce Parigi, ecce homo"
XI.
Deridere, regnare
XII.
L'avvenire si nasconde nel popolo
XIII.
Il piccolo Gavroche
Libro secondo
- UN GRAN BORGHESE
I.
Novant'anni e trentadue denti
II.
Tale padrone tale casa
III.
Luc-esprit
IV.
Aspirante centenario
V.
Basque e Nicolette
VI.
Dove si intravedono la Magnon e i suoi due piccini
VII.
Regola: non ricevere nessuno se non la sera
VIII.
Non è detto che due facciano un paio
Libro terzo
- NONNO E NIPOTE
I.
Un vecchio salotto
II.
Uno degli spettri rossi di quei tempi
III.
"Requiescant"
IV.
Fine di un brigante
V.
Dell'utilità di andare alla messa per diventare rivoluzionari
VI.
Cosa vuol dire avere incontrato un fabbriciere
VII.
Gonnelle
VIII.
Marmo contro granito
Libro quarto
- GLI AMICI DELL'ABC
I.
Un gruppo che poteva anche diventare storico
II.
Orazione funebre di Blondeau, pronunciata da Bossuet
III.
Le meraviglie di Marius
IV.
La sala interna del caffè Musain
V.
L'orizzonte si allarga
VI.
"Res angusta"
Libro quinto
- ECCELLENZA DELLA SVENTURA
I.
Marius indigente
II.
Marius povero
III.
Marius cresciuto
IV.
Il signor Mabeuf
V.
Povertà buona vicina della miseria
VI.
Il sostituto
Libro sesto
- LA CONGIUNZIONE DI DUE STELLE
I.
Soprannome, un modo di formare i cognomi
II.
"Lux facta est"
III.
Effetto primavera
IV.
Inizio d'una grave malattia
V.
Vari fulmini cadono su mamma Bougon
VI.
Fatto prigioniero
VII.
Avventure della lettera U abbandonata alle congetture
VIII.
Anche gli invalidi possono essere felici
IX.
Eclissi
Libro settimo - PATRON MINETTE
I.
Le miniere e i minatori
II.
Il bassofondo
III.
Babet, Gueulemer, Claquesous e Montparnasse
IV.
Composizione della truppa
Libro ottavo
- IL CATTIVO POVERO
I.
Marius, cercando una ragazza con il cappello, incontra un uomo con il berretto
II.
Scoperta
III.
Quadrifonte
IV.
Una rosa nella miseria
V.
Il Giuda della provvidenza
VI.
L'uomo feroce nella sua tana
VII.
Strategia e tattica
VIII.
Un raggio in una tana
IX.
Jondrette quasi piange
X.
Tariffa delle carrozze pubbliche: due franchi l'ora
XI.
Offerte d'aiuto della miseria al dolore
XII.
Uso della moneta da cinque franchi del signor Leblanc
XIII.
"Solus cum solo, in loco remoto, non cogitabuntur orare Pater Noster"
XIV.
In cui un agente di polizia dà due pugni a un avvocato
XV.
Jondrette fa le sue compere
XVI.
Dove si ritroverà la canzone su un'arietta inglese in voga nel 1832
XVII.
Uso della moneta da cinque franchi di Marius
XVIII.
Le due sedie di Marius poste una di fronte all'altra
XIX.
Preoccuparsi dei fondi oscuri
XX.
L'agguato
XXI.
Si dovrebbe sempre iniziare arrestando le vittime
XXII.
Il bambino che gridava al tomo terzo
Parte quarta: L'IDILLIO DI RUE PLUMET E L'EPOPEA DI RUE SAINT-DENIS
Libro primo
- QUALCHE PAGINA DI STORIA
I.
Ben tagliato
II.
Mal cucito
III.
Luigi Filippo
IV.
Lucertole nelle fondamenta
V.
Fatti che fanno la storia e che la storia ignora
VI.
Enjolras e i suoi luogotenenti
Libro secondo
- EPONINE
I.
Il campo dell'allodola
II.
Formazione embrionale dei delitti nell'incubazione delle prigioni
III.
Apparizione a papà Mabeuf
IV.
Apparizione a Marius
Libro terzo
- LA CASA DI RUE PLUMET
I.
La casa a sorpresa
II.
Jean Valjean guardia nazionale
III.
"Foliis ac frondibus"
IV.
Altre inferriate
V.
La rosa si accorge di essere una macchina da guerra
VI.
La battaglia comincia
VII.
A tristezza, più gran tristezza
VIII.
La catena
Libro quarto - SOCCORSO DAL BASSO PUO', IN VERITA, ESSERE SOCCORSO DALL'ALTO
I.
Ferita all'esterno, guarigione all'interno
II.
Mamma Plutarco non è imbarazzata a spiegare un fenomeno
Libro quinto
- IN CUI LA FINE NON SOMIGLIA ALL'INIZIO
I.
Solitudine e caserma combinate
II.
Paure di Cosette
III.
Arricchite dai commentari di Toussaint
IV.
Un cuore sotto una pietra
V.
Cosette dopo la lettera
VI.
I vecchi son fatti per uscire al momento opportuno
LIBRO QUARTO • LA STAMBERGA GORBEAU
I • MASTRO GORBEAU (torna all'indice)
Quarant'anni fa, il passeggiatore solitario che si avventurava nei paesi perduti della Salpêtrière e che saliva per il viale fin verso la barriera d'Italie, arrivava in punti in cui si può dire che Parigi spariva. Non era la solitudine, c'erano dei passanti; non era la campagna, c'erano case e vie; non era una città, le vie avevano carreggiate come le strade maestre e vi cresceva l'erba; non era un villaggio, le case erano troppo alte. Cos'era dunque? Era un luogo abitato in cui non c'era nessuno, era un luogo deserto in cui c'era qualcuno; era un viale della grande città, una via di Parigi, più selvaggia di una foresta la notte, più cupa il giorno di un cimitero.
Era il vecchio quartiere del Marché-aux-Chevaux.
Quel passeggiatore, se si arrischiava al di là delle quattro mura caduche di quel Mercato dei Cavalli, se acconsentiva anche a superare la rue du Petit-Banquier, dopo essersi lasciato a destra un cortile custodito da alte muraglie, poi un prato in cui si ergevano macine da concia simili a capanne di castori giganteschi, poi un recinto ingombro di legname da armature con mucchi di ceppi, di segatura e di trucioli in cima ai quali abbaiava un grosso cane, poi un lungo muro basso tutto in rovina con una porticina nera e funebre, carica di muschi che a primavera si riempivano di fiori, poi, nel punto più deserto, uno spaventoso casamento decrepito su cui si leggeva a lettere cubitali: VIETATA L'AFFISSIONE, quel passeggiatore audace raggiungeva l'angolo della rue des Vignes-Saint-Marcel, latitudini poco note. Qui, accanto a un'officina e tra due mura di giardino, si vedeva a quei tempi una catapecchia che, alla prima occhiata, sembrava piccola come una capanna e in realtà era grande come una cattedrale. Si presentava sulla pubblica via di lato, col pignone; donde la sua esiguità apparente. Quasi tutta la casa era nascosta. Non si vedevano che la porta e una finestra.
Quella stamberga non aveva che un piano.
Esaminandola, la cosa che colpiva dapprima era che quella porta non aveva mai potuto essere che la porta di un tugurio, mentre la finestra, se fosse stata aperta in un muro di pietra da taglio anziché di ciottoli, avrebbe potuto essere quella di un palazzo.
La porta non era altro che un mosaico di tavole tarlate grossolanamente collegate da traverse parallele a ceppi mal squadrati. Si apriva immediatamente su una ripida scala dai gradini alti, fangosi, gessosi, polverosi, larghi quanto la porta, e che dalla strada si vedevano salire diritti come una scala a pioli e sparire nell'ombra tra due pareti. L'apertura informe su cui batteva la parte superiore della porta era mascherata da una trave in mezzo alla quale era stata segata una finestrella triangolare, insieme lucernario e spioncino quando la porta era chiusa. All'interno della porta un pennello intinto nell'inchiostro aveva tracciato con due tratti la cifra 52, e sopra la trave lo stesso pennello aveva scarabocchiato il numero 50; cosicché si esitava. Dove siamo? Sopra la porta si dice: al numero 50; l'interno replica: no, al numero 52. Stracci color polvere pendevano come tendine dallo spioncino triangolare.
La finestra era larga, abbastanza alta, munita di persiane e di telai a grandi vetri; solo che quei vetri avevano svariate ferite, insieme nascoste e tradite da un ingegnoso bendaggio in carta, e le persiane, sfasciate e slogate, minacciavano i passanti più di quanto proteggessero gli abitanti. Le stecche orizzontali mancavano qua e là, ed erano ingenuamente sostituite da tavole inchiodate perpendicolarmente; cosicché quella cosa cominciava come persiana e finiva come anta.
Quella porta che aveva l'aria immonda e quella finestra che aveva l'aria onesta, benché scalcinata, viste così sulla stessa casa, facevano l'effetto di due mendicanti disparati che andassero insieme e camminassero fianco a fianco, con due aspetti differenti sotto gli stessi cenci, l'uno essendo sempre stato un pezzente, l'altro essendo stato un gentiluomo. La scala conduceva al corpo di un edificio molto vasto, che somigliava a un capannone trasformato in casa. Quell'edificio aveva per tubo intestinale un lungo corridoio su cui si aprivano, a destra e a sinistra, specie di compartimenti di dimensioni svariate, a rigore abitabili, e più simili a bottegucce che a celle. Quelle camere prendevano luce dai terreni in abbandono dei dintorni. Tutto ciò era buio, sgradevole, livido, malinconico, sepolcrale; attraversato, secondo che le fessure si trovassero nel tetto o nella porta, da raggi freddi o da correnti gelide. Una particolarità interessante e pittoresca di questo genere di abitazioni è l'enormità dei ragni.
A sinistra della porta d'entrata, sul viale, a una altezza d'uomo, un lucernario che era stato murato formava una nicchia quadrata piena di pietre che i bambini vi gettavano passando.
Una parte di questa costruzione è stata ultimamente demolita. Ciò che ne resta oggi può ancora far comprendere com'era. Il tutto, nel suo insieme, non ha più di un centinaio d'anni. Cento anni, è la gioventù di una chiesa e la vecchiaia di una casa. Sembra che la dimora dell'uomo partecipi della sua brevità e la dimora di Dio della sua eternità.
I fattorini della posta chiamavano questa stamberga il numero 50-52; ma era conosciuta nel quartiere col nome di casa Gorbeau.
Diciamo da cosa derivava questo appellativo.
I raccoglitori di fatterelli, che si fanno erbari di aneddoti e che fissano nella loro memoria le date fugaci con uno spillo, sanno che c'erano a Parigi, nel secolo scorso, verso il 1770, due procuratori al Châtelet, chiamati l'uno Corbeau e l'altro Renard. Due nomi previsti da La Fontaine. L'occasione era troppo bella perché il personale della giustizia rinunciasse a farsene beffe. Subito la parodia corse, in versi un poco zoppicanti, per le gallerie del Palazzo:
Maître Corbeau, sur un dossier perché,
Tenait dans son bec une saisie exécutoire;
Maître Renard, par l'odeur alléché,
Lui fit à peu près cette histoire:
Hé bonjour! etc
.
I due onesti giuristi, infastiditi dai lazzi e contrariati nella loro dignità dalle risate che li seguivano, decisero di sbarazzarsi dei loro nomi e presero il partito di rivolgersi al re. La richiesta fu presentata a Luigi XV il giorno stesso in cui il nunzio papale da un lato e il cardinale de la Roche-Aymon dall'altro, devotamente inginocchiati entrambi, calzarono in presenza di sua maestà ciascuno una pantofola ai due piedi nudi di Madame Du Barry che usciva dal letto. Il re, che rideva, continuò a ridere, passò gaiamente dai due vescovi ai due procuratori e fece a quegli uomini di toga grazia dei loro nomi, o pressappoco. Fu permesso, per concessione del re, a mastro Corbeau di aggiungere una coda alla sua iniziale e di chiamarsi Gorbeau; mastro Renard fu meno fortunato; non poté ottenere che di mettere una P davanti alla sua R e di chiamarsi Prenard; cosicché il secondo nome non era meno somigliante del primo.
Ora, secondo la tradizione locale, quel mastro Gorbeau era stato proprietario dell'edificio numerato 50-52 in boulevard de l'Hôpital. Era anche l'autore della finestra monumentale.
Donde a quella stamberga il nome di casa Gorbeau.
Di fronte al numero 50-52 si erge, tra gli alberi del viale, un grande olmo morto per tre quarti: quasi in faccia si apre la via della barriera dei Gobelins, via allora priva di case, non pavimentata, piantata d'alberi mal venuti, verde o fangosa secondo la stagione, che andava a sfociare decisamente sulle mura di cinta di Parigi. Un odore di copparosa esce a folate dai tetti di una fabbrica vicina.
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