Come se una pioggia di rose attraversasse quel lutto. Le fanciulle folleggiavano sotto gli occhi delle monache: lo sguardo dell'impeccabilità non mette in imbarazzo l'innocenza. Grazie a quelle bambine, fra tante ore austere, c'era anche l'ora ingenua. Le piccole saltellavano, le grandi danzavano. In quel chiostro il gioco era soffuso di cielo. Nulla di più incantevole e maestoso di quelle anime sbocciate. Qui Omero sarebbe venuto a ridere con Perrault; c'era, in quel giardino buio, gioventù, salute, rumore, grida, stordimento, piacere, felicità da rendere allegre tutte le avole, quelle dell'epopea e quelle della favola, quelle del trono e quelle della capanna, da Ecuba alla nonna.
Sono state dette in questa casa, più che altrove forse, quelle frasi candide che fanno ridere una risata piena di fantasticherie. Proprio fra queste quattro mura funeree una bambina di cinque anni aveva esclamato un giorno: «Madre, una grande mi ha detto che devo ancora passare qui dentro solo nove anni e dieci mesi. Che gioia!».
Anche questo dialogo memorabile si svolse laggiù:
UNA MADRE VOCALE Perché piangete, bimba mia?
LA BAMBINA (sei anni), singhiozzando Ho detto a Alix che sapevo la storia di Francia. Mi dice che non la so, e io invece la so.
ALIX (la grande, 9 anni) No, non la sa.
LA MADRE Come mai bimba mia?
ALIX Mi ha detto di aprire il libro a caso e di farle la prima domanda che avessi trovato nel libro. Lei mi avrebbe risposto.
- E allora?
- Non ha risposto.
- Vediamo: che cosa le hai chiesto?
- Ho aperto il libro a caso come mi aveva detto lei e le ho fatto la prima domanda che ho trovato.
- E qual era questa domanda?
- Era: Che cosa avvenne dopo?
È ancora là che è stata fatta questa profonda osservazione sopra un pappagallo un po' goloso che apparteneva a una signorina che si era ritirata presso le suore:
«Com'è educato! Delle tartine mangia solo quello che c'è spalmato sopra, proprio come una persona!».
È sulla lastra del pavimento di quel chiostro che è stata trovata questa confessione, scritta in anticipo, per non dimenticare, da una peccatrice di sette anni:
«Padre, mi accuso d'essere stata avarizia.
- Padre, mi accuso di essere stata adulterio.
- Padre, mi accuso di aver alzato gli occhi sugli uomini».
Sopra una delle panche erbose di quel giardino è stata improvvisata da una rosea bocca di sei anni questa favola ascoltata da occhi azzurri di quattro e cinque anni.
«Tre galletti avevano un paese con tanti fiori. Hanno colto i fiori e se li sono messi in tasca. E dopo hanno colto le foglie e le hanno messe nei giocattoli. Nel paese c'era un lupo e c'erano anche molti boschi; il lupo era nel bosco e s'è mangiato i tre galletti».
E anche questa poesiola:
«È arrivato un colpo di bastone.
«È stato Pulcinella che l'ha dato al gatto.
«Non gli ha fatto bene, gli ha fatto male.
«E una signora ha messo Pulcinella in prigione».
È laggiù che una piccina abbandonata, una trovatella che il convento allevava per carità, pronunciò questa frase dolce e straziante. Aveva sentito le altre parlare delle loro madri e lei mormorò dal suo cantuccio:
«Io, invece, mia mamma era via quando sono nata!».
C'era una grossa suora portinaia, sempre di corsa per i corridoi col suo mazzo di chiavi, di nome suor Agata. Le grandi grandi - sopra i dieci anni - la chiamavano Agatoclès.
Il refettorio, uno stanzone oblungo e squadrato che prendeva luce solo da un chiostro ad archivolti, era scuro e umido e, a sentir le bambine, pieno di insetti. Tutti i luoghi intorno fornivano il loro contingente di insetti e quindi ogni angolo aveva, nel linguaggio delle educande, un nome particolare e espressivo. C'era l'angolo dei Ragni, quello dei Bruchi, l'angolo dei Millepiedi e l'angolo dei Grilli. L'angolo dei Grilli era vicino alla cucina e assai apprezzato. Ci faceva meno freddo che altrove. Dal refettorio questi nomi erano passati a tutto l'educandato e servivano a distinguervi, come nell'antico collegio Mazarino, quattro nazioni. Ogni allieva apparteneva a una di queste quattro nazioni secondo l'angolo del refettorio in cui sedeva all'ora dei pasti. Un giorno l'arcivescovo, in visita pastorale, vide entrare nella classe dove si trovava una bella bimbetta, tutta rosea, con degli splendidi capelli biondi e chiese a un'educanda, una splendida bruna con le guance fresche che aveva vicino:
«Chi è questa bimba?».
«È un ragno, monsignore».
«Ma guarda! E quest'altra?».
«È un grillo».
«E quella là?».
«Un bruco».
«Davvero? E voi?».
«Io sono un millepiedi, monsignore».
Ogni casa di questo genere ha le sue particolarità. All'inizio del secolo Ecouen era uno di quei luoghi dove cresce, in un'ombra quasi augusta, l'infanzia delle fanciulle. A Ecouen, nell'assegnazione dei posti per la processione del Santissimo Sacramento si distinguevano, tra le fanciulle, le vergini e le fioraie. C'erano anche «i baldacchini» e «gli incensieri»; le prime reggevano i cordoni dei baldacchini, le seconde incensavano il Santissimo. I fiori spettavano di diritto alle fioraie. Le quattro vergini camminavano avanti. Capitava, il mattino di quel gran giorno, di sentir chiedere, nel dormitorio:
«Chi è vergine?».
Madame Campan raccontava di una «piccola» di sette anni che aveva detto a una «grande» di sedici che prendeva posto in capo alla processione, mentre la piccola restava in coda:
«Sei vergine, tu. Io no».
V • DISTRAZIONI (torna all'indice)
Sopra la porta del refettorio stava scritta a lettere cubitali nere questa preghiera, chiamata il Padrenostro bianco, che aveva la virtù di menar tutti dritti in paradiso:
«Piccolo padrenostro bianco, che fece Dio, che disse Dio, che Dio mise in Paradiso.
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