"No, no! gridò egli, raccomandati bene a Dio" e alzando il braccio... In quel punto si bussò così forte alla porta che Barbablù si arrestò in tronco. Si aprì, e si videro subito entrare due cavalieri, i quali, sguainate le spade, corsero addosso a Barbablù.
Riconobbe questi i fratelli della moglie, uno dragone, l'altro moschettiere, e scappò per salvarsi, ma i due fratelli lo inseguirono con tanta furia che gli furon sopra prima che potesse afferrar le scale. Lo passarono da parte a parte con le spade e lo lasciarono morto. La povera moglie era quasi morta quanto il marito; e non avea forza di alzarsi per abbracciare i fratelli.
Barbablù non aveva eredi, e così la moglie rimase padrona assoluta di tutte le sue ricchezze. Una parte ne impiegò a maritare la sorella Anna con un giovane gentiluomo che da gran tempo le voleva bene; un'altra parte a comprare due brevetti di Capitano ai fratelli; e il resto a maritarsi lei, con un uomo molto per bene, il quale le fece dimenticare il brutto tempo passato in compagnia di Barbablù.
Morale
Per attraente che sia, spesso la curiosità costa caro. Ogni giorno se n'hanno degli esempi. È, con buona pace delle donne, un piacere da nulla, che si dilegua non appena soddisfatto.
Altra Morale
Per poco che si abbia senno e si sappia decifrare il garbuglio del mondo, si vede subito che questa storia è una fiaba dei tempi andati. Un marito così tremendo o che voglia l'impossibile non si trova più. Anche scontento e geloso, lo si vede tutto miele con la moglie; e di qualunque colore sia la sua barba, è difficile riconoscere chi dei due è il padrone.
Griselda
A piedi degli alti monti; dai quali il Po scaturisce e si versa per le campagne, viveva un principe giovane e prode, che era la delizia del suo paese. Il cielo gli avea fatto, fin dalla nascita, ogni dono più raro, come se proprio si trattasse d'un gran re.
Era robusto, svelto, valoroso; amava le arti, la guerra, i grandiosi disegni, le prodezze, la gloria, quella sopratutto di rendere felice il suo popolo.
Un'ombra però oscurava quel bel carattere: in fondo in fondo al suo cuore, pensava il principe che tutte le donne fossero perfide e infedeli; anche la più virtuosa gli sembrava un'ipocrita, una superba, una nemica spietata, sempre ansiosa di tiranneggiare l'uomo disgraziato che le capitasse alle mani.
La pratica del mondo, dove tanti sono i mariti schiavi o ingannati, accrebbe ancora quest'odio profondo. Giurò dunque il principe, che se pure il cielo avesse a posta per lui formato un'altra Lucrezia, mai e poi mai avrebbe preso moglie.
Così, dopo avere impiegato la mattina agli affari di stato, protetto i diritti della vedova e dell'orfano, abolito un'antica imposta di guerra, se ne andava a caccia il resto del giorno, dove i cignali e gli orsi, per feroci che fossero, gli davano meno fastidio che non avrebbero fatto le donne, da lui sempre evitate.
I sudditi nondimeno, ansiosi di assicurarsi un successore non meno buono di lui, lo premuravano sempre perchè s'ammogliasse.
Un giorno se ne vennero tutti a palazzo per tentare un ultimo sforzo. Prese la parola uno dei più eloquenti, e disse tutto ciò che si può dire in casi simili: che il popolo era impaziente di veder assicurato un erede al trono; che già si figurava di scorgere un astro nascente, e che questo avrebbe brillato d'una luce senza pari.
Rispose il principe in modo semplice e piano:
"Son lieto e commosso del vostro zelo, che mi è prova dell'amore che mi portate; e vorrei subito contentarvi, se non pensassi che il matrimonio è un certo affare, in cui la prudenza non è mai soverchia. Osservate bene tutte le ragazze: finchè stanno in famiglia, sono virtuose, docili, modeste, sincere; ma appena maritate, la maschera non serve più, ed eccole mostrarsi nel loro vero carattere. Questa diventa una bigotta brontolona; quella una fraschetta ciarliera, sempre in cerca d'amanti; una terza si atteggia a far la saputa; un'altra ancora si dà al giuoco, perde danari, gioielli, mobili, vestiti e manda la casa in rovina.
"In un sol punto, si somigliano tutte, nel volere a tutti i costi dettar la legge. Ora io son convinto che nel matrimonio non si può esser felici, quando si comanda in due. Se dunque voi bramate darmi moglie, trovatemi una fanciulla che sia bella, punto superba, non vanitosa, obbediente, paziente, senza volontà; ed io vi prometto di sposarla."
Ciò detto, il principe balzò in sella e si slanciò a spron battuto verso la pianura dove i compagni di caccia lo aspettavano.
Traversati campi e sentieri, li trovò alla fine che giacevano sull'erba. Tutti si alzano e fanno squillare i corni. Corrono e abbaiano i levrieri; i cani di punta scuotono il guinzaglio e tirano i servi che li tengono a fatica; galoppano e nitriscono i cavalli; rintrona la foresta, e in essa si sprofonda e scompare tutta la brillante e rumorosa brigata.
Fosse caso o destino, il principe prese un sentiero traverso dove nessuno lo segui; più corre, più si allontana dai suoi, fino a che non sente più neppure lo strepito dei cani e dei corni.
Si trovò così in un posto remoto ed ombroso, qua e là inargentato da un corso di acqua. Tutto intorno era silenzio; e mentre egli si lasciava andare all'incanto malinconico del bosco, ecco che una deliziosa apparizione gli colpisce gli occhi e gli fa battere il cuore.
Era una pastorella che guardava il suo gregge, standosene in riva d'un ruscello e facendo con mano esperta girare il suo fuso.
Il cuore più selvaggio ne sarebbe rimasto invaghito. Bianca come un giglio, con una bocca infantile, e due occhi più azzurri e più luminosi del firmamento.
Il principe, al cospetto di tanta bellezza, si avanza turbato; ma al calpestio la fanciulla si volta, arrossisce, abbassa gli occhi pudica, con una dolcezza, una sincerità, un candore, di cui il principe credeva incapace il bel sesso.
Preso da insolito terrore, egli fa un passo e, più timido di lei, le dice con voce tremula di aver perduto la traccia dei suoi cacciatori e le chiede se mai gli avesse visti passare pel bosco.
- Niente è apparso in questa solitudine, risponde la fanciulla. Ma state pur tranquillo, vi rimetterò io sulla via.
- Io ringrazio il cielo, dice il principe, della mia sorte. Da molto tempo frequento questi posti, ma fino ad oggi ignoravo quel che essi hanno di più prezioso.
Così dicendo, si china per attingere nel ruscello un po' d'acqua.
- Aspettate, signore, dice la pastorella, e correndo verso la sua capanna, prende una tazza e la porge con grazia al cavaliere assetato.
I vasi più preziosi di cristallo e di agata, i più ricchi di oro e più artisticamente lavorati, non ebbero per lui mai tanta bellezza quanto quel rozzo vaso d'argilla.
Si avviarono insieme, traversarono boschi, rocce, torrenti. Il principe si guarda intorno, osserva, nota, cerca d'imprimersi in mente la via.
Arrivarono alla fine in una boscaglia scura e fresca; e là, di mezzo ai rami, scerse da lontano, in mezzo alla pianura, i tetti dorati del palazzo reale.
Accomiatatosi dalla sua compagna, si allontanó tutto lieto della bella avventura; ma il giorno appresso si sentì vinto dalla noia e dalla tristezza.
Non appena gli fu possibile, tornò alla caccia, si staccò dagli amici, si cacciò nel bosco, e poichè ben si ricordava tutto il laberinto dei sentieri percorsi, trovò senza molta fatica la casa della pastorella.
Seppe che si chiamava Griselda, che viveva sola col padre, che si nudrivano del latte delle loro pecorelle e che dalla lana di queste, da lei filata, si facevano i vestiti.
Più la guarda, più s'innamora di tanta bellezza e di tante virtù; si compiace di aver così ben collocato i suoi primi affetti e, senza perder tempo, fa convocare il suo consiglio ed annunzia di aver trovato una sposa, una ragazza del paese, bella, saggia, bennata.
La notizia si sparse in un baleno, e non si può dire con quanta allegrezza fu accolta. Il più contento fu l'oratore, che attribuì alla propria eloquenza la riuscita; e subito per tutta la città si vide un curioso spettacolo, perchè tutte le ragazze fecero a gara per mostrarsi pudiche e modeste e attirar così l'attenzione del principe, i cui gusti erano notorii. Tutte mutarono di vestiti e di contegno; tossirono divotamente e raddolcirono la voce; le pettinature si abbassarono di mezzo palmo, i corpetti si abbottonarono fino alla gola; le maniche si allungarono.
Fervevano intanto per la città i preparativi per le nozze. Carri scolpiti e dorati, palchi, archi trionfali, fuochi d'artificio, balli, operette, musiche.
Arrivò alla fine il giorno sospirato.
Spuntata appena l'alba rosata, tutte le donne della città furono in piedi; il popolo accorre da tutte le parti, le guardie qua e là fanno far largo. Tutta la reggia rintrona di trombe, flauti, fagotti, cornamuse, tamburi.
Si mostra alfine il principe, circondato dalla sua corte, ed è salutato da un grido unanime di gioia; ma si rimane molto sorpresi nel vedere che, alla prima voltata, egli prende la via del bosco vicino, come tutti i giorni solea fare. "Siamo da capo, si diceva; eccolo che non sa resistere alla passione e torna a caccia".
Il principe traversa la pianura, entra nel bosco, passa per questo e per quel sentiero, arriva finalmente alla nota capanna.
Griselda, che avea sentito parlar delle nozze, voleva anch'essa assistere allo spettacolo, e in quel punto stesso, con indosso gli abiti della festa, usciva sulla soglia.
"Dove correte così svelta e frettolosa? le disse il principe, guardandola con tenerezza. Fermatevi.
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