Era con noi anche un Dottor Fisico: nessuno al mondo s’intendeva di medicina e chirurgia al pari di lui, perché egli conosceva a fondo anche l’astrologia. (32) Curava il suo paziente seguendo attentamente le ore celesti, secondo la magia naturale, e dai segni astrologici sapeva determinare con esattezza la costellazione favorevole all’ammalato. Conosceva la causa d’ogni malattia, fosse il caldo o il freddo, l’umido o il secco, e dove si fosse prodotta, e da quale umore generata. Era davvero un ottimo medico. Stabilita la causa e la radice del male, ne indicava subito il rimedio. E
prontamente si faceva mandare medicamenti e farmaci dai suoi speziali, giacché l’uno faceva far soldi agli altri, essendo tutti amici di vecchia data. Ben conosceva l’antico Esculapio, Dioscoride e Rufo; il vecchio Ippocrate, Alì e Galeno; Serapione, Razis e Avicenna; Averroè, Damasceno e Costantino; Bernardo, Gatisdeno e Gilbertino (33). Era misurato nella sua dieta, che non era affatto esorbitante, ma nutriente e di facile digestione. La Bibbia non la studiava molto. Aveva un vestito rosso sangue e azzurro, con fodere di taffetà e zendalo; eppure era tutt’altro che prodigo nelle sue spese: metteva tutto da parte quel che guadagnava in tempo di pestilenza. E siccome l’oro in medicina è un cordiale, ecco ch’egli amava l’oro sopra ogni cosa.
E c’era una brava Comare dei dintorni di Bath, ma, peccato, era un po’ sorda. A tessere il panno era così pratica, da battere quelli di Ypres e di Gand. (34) In tutta la parrocchia non c’era donna che avesse il coraggio di passarle avanti a far l’offerta: se mai qualcuna s’arrischiava, a lei veniva una tal bile, che usciva fuori d’ogni grazia. I suoi fazzoletti erano di tessuto finissimo: giurerei che pesavano dieci libbre quelli che si metteva in capo la domenica. Le sue calze erano d’un bel rosso scarlatto, ben attillate; le scarpe morbidissime e nuove. Aveva un volto impertinente, bello, di colorito acceso. Era una donna ricca di meriti, che in vita sua aveva condotto ben cinque mariti sulla porta di chiesa, (35) senza contare altre amicizie di gioventù… ma non è il caso di parlarne proprio ora. Tre volte era andata a Gerusalemme, e di fiumi stranieri ne aveva attraversati molti: era stata a Roma, a Boulogne, a San Giacomo in Galizia e a Colonia.
Aveva insomma parecchia pratica di viaggi: i suoi denti infatti erano radi. (36) Sul cavallo sedeva comodamente, ben avvolta da un soggólo, con un cappello in testa largo come un brocchiere o uno scudo; una gualdrappa intorno ai larghi fianchi, e ai piedi un paio di speroni aguzzi. In compagnia sapeva ridere e chiacchierare; e doveva intendersene di rimedi d’amore, poiché di quell’arte conosceva certo l’antica danza.
E c’era un buon religioso, un povero Parroco di campagna, che tuttavia era ricco di pensieri e d’opere sante. Era anche una persona istruita, un dotto, che il vangelo di Cristo predicava fedelmente, mentre ammaestrava con devozione i suoi parrocchiani.
Era benevolo e pieno di zelo, pazientissimo nelle avversità, malgrado fosse di frequente provato. Gli ripugnava ricorrere alla scomunica per farsi dare le decima: preferiva piuttosto distribuire ai parrocchiani poveri parte delle elemosine e della sua stessa sostanza. A lui bastava poco. La sua parrocchia era estesa, le case sparse, eppure non tralasciava, con la pioggia o col tuono, nella malattia o nel dolore, di visitare coloro che stavano più lontano, grandi o piccoli che fossero, e sempre a piedi, col bastone in mano. Dava al suo gregge il nobile esempio d’operare prima che d’insegnare. Le parole le prendeva dal vangelo, e vi aggiungeva quest’immagine: se arrugginisce l’oro, che dovrebbe fare il ferro? Se non è puro il prete di cui ci fidiamo, nessuna meraviglia che il laico arrugginisca! E’ davvero vergognoso, se il prete ci pensa, che il pastore sia infangato e la pecora pulita.
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