Per la prima volta dal suo arrivo provava una vera stanchezza. All'inizio la lunga strada percorsa pareva non averlo per nulla affaticato; come aveva camminato tranquillo, per giorni, un passo dopo l'altro! Ma ora si facevano notare le conseguenze di quello sforzo eccessivo, proprio nel momento meno opportuno. Si sentiva irresistibilmente spinto a fare nuove conoscenze, ma ogni nuova conoscenza accresceva la sua stanchezza. Se ora, in quello stato, si costringeva a prolungare la passeggiata almeno fino all'ingresso del castello, avrebbe già fatto fin troppo.

Quindi riprese il cammino, ma era un lungo cammino. La strada, infatti, quella principale del paese, non portava al colle del castello ma solo nelle vicinanze; poi pareva svoltare intenzionalmente, e se non si allontanava dal castello neppure gli si avvicinava. K. aspettava sempre che la strada si decidesse a piegare verso il castello e solo con questa speranza andava avanti; evidentemente esitava per stanchezza ad abbandonare la strada, e si stupiva di quanto fosse lungo quel paese che non finiva mai, sempre quelle piccole case, finestre coperte di ghiaccio, neve e non un'anima viva. Finalmente si staccò da quella strada che lo tratteneva, e un angusto vicolo lo accolse, la neve era sempre più alta, tirar fuori i piedi che vi sprofondavano era una grossa fatica, cominciò a sudare, si fermò d'improvviso senza riuscir più ad andare avanti.

Ma non si era perso, a destra e a sinistra c'erano delle casupole di contadini. Fece una palla di neve che lanciò contro una finestra. Subito la porta si aprì - la prima porta ad aprirsi da quando camminava attraverso il paese - e apparve un vecchio contadino con una pelliccia scura, il capo inclinato da un lato, l'aspetto gentile e debole. «Posso entrare un momento in casa vostra?», disse K., «sono molto stanco». Non udì che cosa disse il vecchio, accettò con riconoscenza l'asse che veniva spinta verso di lui salvandolo subito dalla neve, e in due passi fu nella stanza.

Una grande stanza semibuia. Chi veniva da fuori, in un primo momento non vedeva nulla. K. inciampò in un mastello, una mano di donna lo trattenne. Da un angolo giungevano grida di bambini. Da un altro salivano volute di fumo che trasformavano la penombra in una fitta oscurità. K. stava lì come in mezzo alle nuvole. «È ubriaco», disse qualcuno. «Chi siete?», gridò una voce imperiosa, e rivolta probabilmente al vecchio: «Perché l'hai fatto entrare? C'è bisogno di far entrare tutti quelli che si aggirano per strada?». «Sono l'agrimensore del conte», disse K. cercando di giustificarsi di fronte a quell'uomo che ancora non vedeva. «Ah, è l'agrimensore», disse una voce di donna, e seguì un silenzio assoluto. «Mi conoscete?», chiese K. «Certo», disse brevemente la stessa voce. Il fatto che conoscessero K. non pareva costituire una raccomandazione.

Finalmente il fumo si dissipò un poco e lentamente K. riuscì pian piano a raccapezzarsi. Pareva che fosse giorno di bucato generale.