- Morrà dal dispiacere: la casa e la sua cantina! È un colpo troppo grosso per un avaraccio come lui!

Si arrestarono alcuni minuti sotto la cupa ombra d'un gigantesco simaruba, temendo che nei dintorni si trovasse qualche banda di spagnuoli mandata ad esplorare le campagne; poi, rassicurati dal profondo silenzio che regnava nella foresta, si cacciarono sotto le piante marciando rapidamente. Venti minuti bastarono per attraversare la distanza che li separava dalla capanna. Già non distavano che pochi passi, quando ai loro orecchi giunse un gemito.

Il Corsaro si era arrestato, cercando di discernere qualche cosa fra la profonda oscurità proiettata dalle alte e fitte piante.

- Tuoni! - esclamò Carmaux. - È il nostro prigioniero che abbiamo lasciato legato al tronco dell'albero. Io mi ero dimenticato di quel soldato!

- È vero, - mormorò il Corsaro.

Si avvicinò alla capanna e scorse lo spagnuolo ancora legato.

- Volete farmi morire di fame? - chiese il poveraccio. - Allora dovevate appiccarmi subito.

- È venuto nessuno a ronzare in questi dintorni? - gli chiese il Corsaro.

- Non ho veduto che dei vampiri, signore.

- Và a prendere il cadavere di mio fratello, - disse il Corsaro, volgendosi verso 1'africano.

Poi avvicinandosi al soldato che si era messo a tremare, temendo che la sua ultima ora fosse per scoccare, lo liberò dalle corde che lo imprigionavano, dicendogli con voce sorda:

- Io potrei vendicare su di te, prima di tutti, la morte di colui che andrò a seppellire in fondo all'oceano, e dei suoi disgraziati compagni che sono ancora appesi sulla piazza di quella città maledetta; ma ti ho promesso di graziarti ed il Corsaro Nero mai ha mancato alla parola data. Tu sei libero; tu mi devi però giurare che appena giunto in Maracaybo ti recherai dal Governatore a dirgli a nome mio, che io, questa notte, al cospetto dei miei uomini schierati sul ponte della mia Folgore e della salma di colui che fu il Corsaro Rosso, pronuncerò tale giuramento da farlo fremere. Egli ha ucciso i miei due fratelli e io distruggerò lui e quanti portano il nome di Wan Guld. Dirai a lui che io l'ho giurato sul mare, su Dio e sull'inferno e che presto ci rivedremo.

Poi, afferrando il prigioniero che era rimasto stupito, e spingendolo per le spalle, aggiunse.

- Và, e non volgerti indietro, perché potrei pentirmi d'averti donata la vita.

- Grazie, signore, - disse lo spagnuolo, fuggendo precipitosamente, per paura di non uscire più vivo dalla foresta.

Il Corsaro lo guardò allontanarsi, poi quando lo vide sparire in mezzo all'oscurità si volse verso i suoi uomini, dicendo:

- Partiamo: il tempo stringe.

Inizio

 

Capitolo Nono

 

UN GIURAMENTO TERRIBILE

 

Il piccolo drappello, guidato dall'africano che conosceva a menadito tutti i passaggi della foresta, camminava rapidamente per giungere presto sulla riva del golfo e prendere il largo prima che l'alba spuntasse.
Erano tutti inquieti per la nave che doveva incrociare all'entrata del lago, avendo appreso dal prigioniero che il Governatore di Maracaybo aveva mandato dei messi a Gibraltar, per chiedere aiuto all'ammiraglio Toledo.

Temeva che le navi di questi, formanti una vera squadra, formidabilmente armata e montata da parecchie centinaia di valorosi marinai, per la maggior parte biscaglini, avessero già attraversato il lago per piombare sulla Folgore e distruggerla.

Il Corsaro non parlava, ma tradiva la sua inquietudine. Di tratto in tratto faceva cenno ai compagni di arrestarsi e tendeva gli orecchi, temendo di udire qualche lontana detonazione, poi affrettava ancora più la marcia già rapidissima, mettendosi quasi in corsa.

Qualche altra volta invece faceva come dei gesti d'impazienza, specialmente quando si trovava improvvisamente o dinanzi a qualche gigante della foresta, caduto per decrepitezza o atterrato dal fulmine, o dinanzi a qualche bacino d'acqua stagnante, ostacoli che costringevano i filibustieri a fare dei giri, perdendo del tempo che per loro era diventato troppo prezioso.

Fortunatamente l'africano conosceva la boscaglia e faceva prendere loro delle scorciatoie e dei sentieruzzi, che permettevano di procedere più speditamente e di guadagnare via.

Alle due del mattino, Carmaux, che camminava innanzi al negro, udì un lontano fragore che indicava la vicinanza del mare. Il suo udito acuto aveva raccolto il rumore del rompersi delle onde contro i paletuvieri della spiaggia.

- Se tutto va bene, fra un'ora noi saremo a bordo della nostra nave, signore, - disse al Corsaro Nero che lo aveva raggiunto.

Questi fece col capo un cenno affermativo, ma non rispose.

Carmaux non si era ingannato. Il rompersi delle onde diventava sempre più distinto e si udivano anche ad intervalli le grida fragorose delle bernacle, specie di oche selvatiche, assai mattiniere, dalla schiena variegata di nero e la testa bianca, guazzanti presso la riva del golfo.

Il Corsaro fece cenno di affrettare ancora pochi minuti, e poco dopo giungevano su di una spiaggia bassa, ingombra di paletuvieri e che si prolungava a perdita d'occhio verso il nord ed il sud, formando delle curve capricciose.

Essendo il cielo coperto dalla nebbia alzatasi dalle immense paludi costeggianti il lago, l'oscurità era profonda, ma il mare era qua e là interrotto come da linee di fuoco che s'incrociavano in tutte le direzioni.

Le creste delle onde pareva che mandassero scintille e la spuma che si distendeva sulla spiaggia, in forma di frangia, era cosparsa di superbi bagliori fosforescenti. Certi momenti, degli ampi tratti di mare, poco prima neri come se fossero d'inchiostro, tutto ad un tratto s'illuminavano, come se una lampada elettrica di grande potenza fosse stata accesa in fondo al mare.

- La fosforescenza! - esclamò Wan Stiller.

- Il diavolo se la porti, - disse Carmaux. - Si direbbe che i pesci si sono alleati agli spagnuoli per impedirci di prendere il largo.

- No, - rispose Wan Stiller con voce misteriosa, additando il cadavere che il negro portava. - Le onde s'illuminano per ricevere il Corsaro Rosso.

- È vero, - mormorò Carmaux.

Il Corsaro Nero guardava intanto il mare, spingendo lontano lo sguardo. Voleva, prima d'imbarcarsi, accertarsi se la squadra dell'ammiraglio Toledo navigava sulle acque del lago.

Nulla scorgendo, guardò verso il nord, e sul mare fiammeggiante distinse una gran macchia nera, che spiccava nettamente fra la fosforescenza.

- La Folgore è là, - disse. - Cercate la scialuppa e prendiamo il largo.

Carmaux e Wan Stiller si orizzontarono alla meglio, non sapendo su quale punto della spiaggia si trovavano, poi si allontanarono frettolosamente salendo la costa verso il nord e guardando attentamente fra i paletuvieri, che bagnavano le loro radici e le loro foglie ingiallite nelle onde luminose.

Percorso un chilometro, riuscirono a scoprire il canotto, che la bassa marea aveva lasciato fra le piante. S'imbarcarono lestamente e lo spinsero verso il luogo ove li attendevano il capitano e il negro.

Collocarono il cadavere, avvolto nel mantello nero, fra le due panchine, nascondendogli il viso, poi presero il largo arrancando con vigore.

Il negro era seduto a prora, tenendo fra le ginocchia il fucile del prigioniero spagnuolo, ed il Corsaro si era seduto a poppa, di fronte alla salma dell'appiccato.

Era ricaduto nella sua tetra melanconia. Col capo stretto fra le mani ed i gomiti appoggiati sulle ginocchia, non staccava gli occhi un solo istante dal cadavere, le cui forme si disegnavano sotto il funebre drappo.

Immerso nei suoi tristi pensieri, pareva che avesse tutto dimenticato: i suoi compagni, la sua nave che sempre più spiccava sul mare scintillante come un grande cetaceo galleggiante su di una superficie d'oro fuso, e la squadra dell'ammiraglio Toledo. Era diventato così immobile, da credere che nemmeno più respirasse. 

Intanto il canotto scivolava rapidamente sulle onde, allontanandosi sempre più dalla spiaggia. L'acqua fiammeggiava attorno ad esso ed i remi levavano spruzzi di spuma iridescente, che talora parevano getti di vere scintille.

Sotto i flutti, strani molluschi ondeggiavano in gran numero, giocherellando fra quell'orgia di luce. Apparivano le grandi meduse; le palegie simili a globi luminosi danzanti ai soffi della brezza notturna; le graziose melitee irradianti bagliori di lava ardente e colle loro strane appendici foggiate come croci di Malta; le acalefe, scintillanti come se fossero incrostate di veri diamanti; le velelle graziose, sprigionanti, da una specie di crosta, dei lampi di luce azzurra d'una infinita dolcezza, e truppe di beroe dal corpo rotondo e irto di pungiglioni irradianti riflessi verdognoli.

Pesci d'ogni specie apparivano e scomparivano, lasciandosi dietro delle scie luminose, e polipi d'ogni forma s'incrociavano in tutte le direzioni, mescendo le loro luci variopinte, mentre a fior d'acqua nuotavano dei grossi lamantini, in quei tempi ancora assai numerosi, sollevando colle loro lunghe code e colle loro pinne foggiate a braccia ondate sfolgoranti.

La scialuppa, spinta innanzi dalle vigorose braccia dei due filibustieri, filava rapida su quei flutti fiammeggianti, facendo spruzzare in alto, sotto i colpi dei remi, miriadi di punti luminosi.

La sua nera massa, al pari della nave, spiccava nettamente fra tutti quei bagliori, offrendo un ottimo bersaglio ai cannoni della squadra spagnuola, se l'ammiraglio Toledo si fosse trovato in quelle acque.

I due filibustieri, pure non cessando di arrancare con lena disperata, giravano all'intorno sguardi inquieti, temendo sempre di vedere apparire le temute navi nemiche. Si affrettavano perché si sentivano anche invadere da vaghe superstizioni. Quel mare fiammeggiante, quel morto che portavano nella scialuppa, la presenza del Corsaro Nero, di quel tetro e malinconico personaggio che avevano sempre veduto indossare quelle funebri vesti, metteva indosso a loro delle paure misteriose e non vedevano l'istante di trovarsi a bordo della Folgore, fra i loro camerati.

Già non distavano che un miglio dalla nave, la quale si avanzava incontro a loro correndo piccole bordate, quando un grido strano, che pareva un acuto gemito terminante in un lugubre singhiozzo, giunse ai loro orecchi.

Entrambi si erano subito arrestati girando intorno sguardi paurosi.

- Hai udito?... - chiese Wan Stiller che si era sentito bagnare la fronte da un sudore freddo.

- Sì, - rispose Carmaux con voce malferma.

- Che sia stato qualche pesce?

- Non ho mai udito un pesce mandare un grido simile.

- Chi vuoi che sia stato?

- Io non lo so, ma ti dico che sono impressionato.

- Che sia il fratello del morto?

- Silenzio, camerata.

Guardavano entrambi il Corsaro Nero, ma questi pareva che nulla avesse udito, perché era sempre immobile col capo stretto fra le mani e gli occhi fissi sul cadavere del fratello.

- Andiamo e che Dio ci assista, - mormorò Carmaux, facendo segno a Wan Stiller di riprendere i remi.

Poi, curvandosi presso il negro, gli chiese:

- Hai udito quel grido, compare?

- Sì, - rispose l'africano.

- Chi credi che sia stato?

- Forse un lamantino.

- Uhm!... - brontolò Carmaux. - Sarà stato un lamantino ma...

S'interruppe bruscamente ed impallidì.

Proprio in quel momento dietro la poppa della scialuppa, fra un cerchio di spuma luminosa, una forma oscura, ma indecisa, era comparsa, sprofondando subito negli abissi del golfo.

- Hai visto?... - chiese a Wan Stiller, con voce strozzata.

- Sì, - rispose questi battendo i denti.

- Una testa, è vero?

- Sì, Carmaux, d'un morto.

- È il Corsaro Verde che ci segue per attendere il Corsaro Rosso.

- Mi fai paura, Carmaux.

- Ed il Corsaro Nero, nulla ha udito né visto?

- È il fratello dei due morti!

- E tu, compare, non hai visto nulla?

- Sì, una testa, - rispose l'africano.

- Di che?...

- D'un lamantino.

- Il diavolo porti via te ed i tuoi lamantini, - brontolò Carmaux. - Era una testa di morto, negro senz'occhi.

In quell'istante una voce, partita dalla nave, echeggiò sul mare.

- Ohé!... Del canotto! Chi vive?...

- Il Corsaro Nero!...