Il dottor Faust
Christopher Marlowe
IL DOTTOR FAUST
Christopher Marlowe nacque a Canterbury nel 1564 e morì a Deptford, presso Londra, nel 1593. Scrisse “Doctor Faustus” secondo alcuni prima del 1590, mentre secondo altri questa fu la sua opera ultima. La prima rappresentazione documentata è comunque postuma e risale al settembre- ottobre 1594.
PERSONAGGI
Il Dottor Faust
Wagner, suo servo
Valdes e Cornelius, studiosi di magia
Tre universitari
Mefistofele
Un vecchio
Papa Adriano
Raimondo, re d’Ungheria
Bruno, l’antipapa
I cardinali di Francia e di Padova
L’arcivescovo di Reims
Carlo Quinto, imperatore di Germania
Martino, Frederick e Benvolio, cavalieri alla sua corte
Il duca di Sassonia
Il duca di Vanholt
La duchessa di Vanholt
Robin, il clown
Dick
Un oste
Un mercante di cavalli
Un carrettiere
L’ostessa
L’angelo buono
L’angelo cattivo
Lucifero
Belzebub
I sette peccati mortali: Orgoglio, Avarizia, Invidia, Rabbia, Gola, Accidia, Lussuria
Fantasmi: Alessandro Magno, la sua amante, Dario re di Persia, Elena di Troia e due amorini.Vescovi
Monaci
Frati
Soldati
Gente del seguito
Diavoli
Un flautista
LA TRAGEDIA DEL DOTTOR FAUST
CORO 1
(Entra il Coro)
Non più marciando ai campi del Trasimeno dove Marte sposò i guerrieri cartaginesi né gustando i piaceri dell’amore nelle corti dei re e dei colpi di stato né celebrando imprese temerarie il nostro poeta presenta il suo verso divino.
Oggi solo questo, signori: dobbiamo render nota la forma delle fortune di Faust, buone o cattive, e ora vi preghiamo di essere pazienti e parliamo di Faust fin dal principio.
Nacque dunque da gente di ceppo oscuro, in Germania, nella città di Roda, e quando fu maturo andò a Wittenberg, dove i parenti vollero educarlo.
Si mostrò così bravo negli studi teologici, scendendo come una grazia sulle terre accademiche, che presto ebbe per grazia il titolo di dottore e fu il più bravo di tutti a disputare divinamente sui temi celesti della teologia.
Ma alla fine, gonfiato di bravura e arroganza, troppo in alto lo spingono le sue ali di cera e il cielo le scioglie, decreta la sua caduta.
Perché si è dato a pratiche diaboliche e sazio dei doni solari della sapienza si getta affamato sulla negromanzia:
ormai niente gli è più caro di quel sapere buio che antepone perfino al sommo bene, ed ecco l’uomo che siede nel suo studio.
(Esce)
SCENA 1
(Appare Faust nel suo studio)
FAUST: Decidi i tuoi programmi, Faust, comincia a sondare a fondo ciò che professerai.
Sei già dottore, fingi di essere teologo e invece punta al fine ultimo di ogni scienza e vivi e muori nelle opere di Aristotele.
Dolce Analitica, sei tu che mi hai innamorato:
“Bene disserere est finis logices”.
Discutere bene, è questo il fine ultimo della logica?
E’ tutto qui il miracolo che promette quest’arte?
Non leggere più allora, hai raggiunto quel fine.
L’ingegno di Faust vuole un tema più grande.
“On kai me on”, addio. Venga Galeno perché “ubi desinit philosophus, ibi incipit medicus”.
Diventa medico, Faust, ammucchia oro, sii immortale per qualche cura miracolosa.
“Summum bonum medicinae sanitas”.
Il fine dell’arte è la salute del corpo.
Ma allora, Faust, non l’hai raggiunto quel fine?
Non è ogni tua battuta un ottimo aforisma?
Le tue ricette non sono esposte come monumenti per cui intere città hanno scampato la peste e mille malattie disperate hanno trovato una cura?
Eppure non sei che Faust, non sei che un uomo.
Potessi far vivere gli uomini in eterno o quando muoiono ridare loro la vita, allora potrei stimare questa professione.
Addio medicina. Dov’è Giustiniano?
“Si una eademque res legatur duobus, alter rem, alter valorem rei…” Squallido caso di lasciti miserabili!
“Exhcreditare filium non potest pater, nisi…” Di questo trattano le Istituzioni e il corpo universale delle leggi.
Ma questo lavoro è degno d’uno sgobbone venduto che va a caccia di niente, di gusci vuoti:
per me, troppo servile e illiberale.
Tutto sommato è meglio la teologia.
La Bibbia di Girolamo, Faust, leggila bene:
“Stipendium peccati mors est.” Ah! “Stipendium peccati…” La morte è il salario del peccato. E’ duro.
“Si peccasse negamus, fallimur, et nulla est in nobis veritas”.
Se neghiamo di aver peccato c’inganniamo, e non c’è niente di vero in noi.
Ma allora è come dover peccare per forza e per ciò morire.
Una condanna a morte, e morte eterna.
Come chiamare questa dottrina? “Che sera, sera”:
ciò che sarà dev’essere. Teologia addio.
Questa metafisica dei maghi, questi libri di negromanzia sono divini!
Linee cerchi segni lettere simboli, è questo che Faust desidera più di tutto.
O quale mondo di profitto e di delizia, di potere di onore e onnipotenza è promesso a un artefice d’ingegno!
Tutto ciò che si muove tra i poli fermi sarà ai miei ordini. Imperatori e re sono obbediti soltanto nelle loro terre né possono alzare i venti o squarciare le nubi, ma chi riesce in questo, il suo dominio è grande come il pensiero dell’uomo e un bravo mago è un semidio.
Sforzati qui, cervello, di meritarti l’immortalità.
(Entra Wagner)
Wagner, va’ dai miei amici carissimi, i fratelli Valdes e Cornelius.
Pregali di venire subito.
WAGNER: Vado, signore.
(Esce)
FAUST: I loro consigli mi daranno più aiuto di tutti i miei sforzi solitari.
(Entrano l’angelo e il diavolo [angelo cattivo])
L’ANGELO BUONO: Faust, getta via quel libro maledetto, non guardarlo, tenterà la tua anima, attirerà sul tuo capo il castigo di Dio.
Leggi la Bibbia. Quello è un sacrilegio.
L’ANGELO CATTIVO: Avanti, Faust, in quest’arte famosa che racchiude i tesori della natura.
Sii sulla terra come Giove è in cielo, signore e padrone degli elementi.
(Gli angeli escono)
FAUST: Che ebbrezza mi dà quest’idea!
Costringerò le ombre a darmi tutto ciò che desidero?
A sciogliere tutti i miei dubbi?
A eseguire le imprese più disperate ch’io voglio?
Le manderò a volo in India per averne l’oro, a rastrellare gli oceani per le perle orientali e a frugare ogni angolo del mondo nuovo per frutta squisite, prelibatezze principesche.
Le forzerò a leggermi filosofie sconosciute e a dirmi i segreti di tutti i re stranieri, circonderò la Germania con un muro d’ottone e con il Reno veloce Wittenberg la bella, riempirò di seta tutte le università e darò agli studenti abiti favolosi, arruolerò soldati coi denari che portano e caccerò dalla terra il principe di Parma per regnare da solo su tutte le Province.
E macchine d’assalto più fantastiche della nave di fuoco al ponte d’Anversa farò inventare dagli spiriti che mi servono.
Venite, Valdes e Cornelius, fratelli, fatemi felice con la vostra sapienza.
(Entrano Valdes e Cornelius)
Valdes, Valdes carissimo, Cornelius, sappiate che le vostre parole m’hanno convinto finalmente a praticare la magia e le arti segrete.
Anzi, non solo le vostre parole, ma la mia fantasia che rifiuta ogni altro oggetto: il mio cervello non fa che pensare al potere di un mago.
La filosofia è odiosa e oscura, la medicina e la legge sono per menti meschine, la teologia è ancora più bassa delle altre, sgradevole, aspra, ripugnante, vile.
E’ la magia, la magia che m’ha innamorato.
Perciò, amici miei, aiutatemi in questo passo, e io che con sillogismi veloci ho inchiodato i pastori della Chiesa tedesca e ho portato le speranze più belle di Wittenberg alle mie discussioni, come folle di spiriti attorno a Museo quando scese all’inferno, diventerò bravo come Agrippa che stupì l’Europa coi suoi fantasmi.
VALDES: Faust, questi libri, il tuo ingegno e la nostra esperienza ci faranno santi in tutte le nazioni.
Come mori indiani che obbediscono ai padroni spagnoli gli spiriti d’ogni elemento ci obbediranno sempre, ci scorteranno come leoni a un nostro cenno o come cavalieri alemanni armati di lance o trottandoci al fianco come giganti lapponi e a volte come donne o ragazze intatte, i visi d’aria più belli dei seni bianchi della regina d’amore.
Da Venezia trarranno le ragusee enormi e dall’America il vello d’oro che impingua ogni anno i forzieri di Filippo, se il colto Faust saprà essere deciso.
FAUST: Valdes, sono deciso a questo passo come tu a vivere. Non dubitare.
CORNELIUS: Sono tanti i miracoli dell’arte che giurerai di non studiare altro.
Una buona base in astrologia, competenza nelle lingue, conoscenza dei minerali, sono i presupposti necessari.
Perciò non dubitare, sarai famoso e i tuoi segreti più ricercati dell’oracolo di Delfi ai suoi tempi.
So che gli spiriti possono prosciugare i mari per estrarne i tesori di tutti i naufragi, anzi, tutte le ricchezze che gli antenati seppellirono nelle viscere della terra.
E allora dimmi, Faust, cosa ci mancherà?
FAUST: Niente, Cornelius. Questo mi dà coraggio!
Venite, mostratemi qualche esperimento, poi esordirò in qualche bosco, avrò queste gioie in pieno.
VALDES: Cercati un posto solitario, nel folto, e porta con te il saggio Bacone e Abano, i Salmi e il Nuovo Testamento; altre cose che servono te le diremo prima di separarci.
CORNELIUS: Valdes, cominciamo a insegnargli le parole dell’arte. E quando saprà il resto proverà da solo.
VALDES: Anzitutto i rudimenti. Presto sarai più bravo di me.
FAUST: Venite, venite a cenare. Dopo vaglieremo tutto a fondo.
Prima di dormire voglio provare.
Stanotte evocherò gli spiriti, mi costi pure la vita.
(Escono)
SCENA SECONDA
(Entrano due assistenti)
PRIMO ASSISTENTE: Che ne è stato di Faust che faceva rimbombare le aule coi suoi “sic probo”.
(Entra Wagner)
SECONDO ASSISTENTE: Lo sapremo subito, c’è lì il suo servo.
PRIMO ASSISTENTE: Ehi tu, senti, dov’è il tuo principale?
WAGNER: Lo sa Iddio!
SECONDO ASSISTENTE: E tu non lo sai?
WAGNER: Sì, lo so. Ma che c’entra?
PRIMO ASSISTENTE: Avanti giovanotto, basta coi bisticci e di’ dove si trova.
WAGNER: Neanche questo è logico. Siete laureati, dovreste saper fare un ragionamento. Sicché riconoscete l’errore e fate più attenzione.
SECONDO ASSISTENTE: Allora non vuoi proprio dircelo?
WAGNER: Ti sbagli di nuovo: ve lo dico subito. Ma se non foste somari non avreste mai fatto una domanda simile. Lui è un “Corpus naturale”, sì o no? E non è questi “Mobile? Ergo”, che senso ha la domanda? Se non fossi flemmatico per natura, lento all’ira e incline alla libidine - all’amore dovrei dire - non vi converrebbe avvicinarvi troppo a questo luogo d’esecuzione. Del resto vi vedrò tutt’e due impiccati alle prossime assise, non ne dubito. E ora che ho trionfato su voi mi farò una faccia da puritano e dirò così: invero, miei cari fratelli, il Maestro è in casa, a tavola con Valdes e Cornelius, come questo vino, se potesse parlare, informerebbe le signorie vostre: e con ciò il Signore vi benedica, vi preservi e vi conservi, miei carissimi fratelli.
(Se ne va)
PRIMO ASSISTENTE: Ah, Faust, adesso ho paura che sia vero ciò che sospetto da tempo:
sei caduto in quell’arte maledetta che rende quei due dappertutto infami.
SECONDO ASSISTENTE: Anche se mi fosse estraneo e non mio amico, il rischio che corre quest’anima mi darebbe pena.
Venite, andiamo a dirlo al Rettore, forse la sua parola autorevole potrà salvarlo.
PRIMO ASSISTENTE: Temo che niente potrà salvarlo ormai.
SECONDO ASSISTENTE: Ma facciamo il possibile.
(Escono)
SCENA TERZA
(Tuono. Entrano [in alto] Lucifero e quattro diavoli. Faust si rivolge a loro)
FAUST: Ora che l’ombra della notte innamorata di Orione che sempre piange dall’Antartide balza nel cielo e appanna il firmamento col suo respiro di pece, comincia il tuo rito, Faust, cerca di farti ubbidire dai diavoli dopo tante preghiere e sacrifici.
In questo cerchio il nome di Geova anagrammato per dritto e rovescio i nomi abbreviati dei santi i simboli di ogni corpo celeste i segni e le stelle erranti che forzano gli spiriti ad apparire:
coraggio dunque, Faust, sii deciso, metti alla prova la tua arte.
(Tuono)
“Sint mihi Dei Acherontis propitii, valeat numen triplex Jehovae, Ignei, Aerii, Aquatici, Terreni, spiritus salvete: Orientis Princeps Lucifer, Belzebub inferni ardentis monarcha, et Demogorgon, propitiamus vos, ut appareat, et surgat Mephostophilis”.
(Dragone)
“Quid tu moraris; per Jehovam, Gehennam, et consecratam aquam quam nunc spargo; signumque crucis quod nunc facio; et per vota nostra ipse nunc surgat nobis dicatus Mephostophilis”.
(Entra un diavolo)
Ti ordino di sparire! Cambia aspetto, sei troppo brutto per servirmi.
Vattene e torna a immagine d’un vecchio frate minore.
Quella santa veste è la più adatta a un diavolo.
(Il diavolo esce)
Sono davvero potenti le mie parole celesti!
Chi non vorrebbe eccellere in quest’arte?
Com’è docile questo Mefistofele, com’e ubbidiente, com’è umile sotto il mio forte incanto.
Ormai, Faust, sei un mago laureato se dai ordini al grande Mefistofele.
“Quin redis Mephostophilis fratris imagine”.
(Entra Mefistofele)
MEFISTOFELE: Allora, Faust, cosa vuoi che faccia?
FAUST: Ti ordino di essere pronto, finché vivo, a fare tutto ciò che ti comando, anche a strappare la luna dalla sua sfera o subissare nell’oceano il mondo.
MEFISTOFELE: Io servo il grande Lucifero, non posso obbedirti senza il suo permesso.
E solo ciò che egli ordina ci è lecito.
FAUST: Ma non ti ha già ordinato di apparirmi?
MEFISTOFELE: No, sono qui per mia volontà.
FAUST: T’hanno chiamato i miei scongiuri, dunque.
MEFISTOFELE: Sono stati la causa, ma “per accidens”:
quando sentiamo qualcuno che strazia il nome di Dio e abiura le scritture e Cristo suo redentore, corriamo per averne l’anima gloriosa.
E non ci muoviamo se non usa mezzi che lo espongono al rischio di essere dannato:
perciò il modo più spiccio di fare il mago e rinnegare la trinità con coraggio e pregare il demonio con devozione.
FAUST: Ma io l’ho fatto ed ora credo in questo:
non c’è altro dio fuori di Belzebub, a lui dedico me stesso.
Quella parola dannata non mi fa paura, non distinguo l’inferno dall’eliso:
il mio spirito sia con gli antichi filosofi.
Ma lasciamo le chiacchiere sull’anima.
Dimmi, cos’è Lucifero, il tuo padrone?
MEFISTOFELE: Arcireggente e cupo di ogni spirito.
FAUST: Non fu un angelo, un tempo?
MEFISTOFELE: Sì, Dio lo amava moltissimo.
FAUST: Come mai allora è il principe dei diavoli?
MEFISTOFELE: Per superbia, ambizione e insolenza, per questo fu gettato giù dal cielo.
FAUST: E voi chi siete, soci di Lucifero?
MEFISTOFELE: Infelici caduti con Lucifero, ribelli a Dio con Lucifero e dannati per sempre con Lucifero.
FAUST: Dannati dove?
MEFISTOFELE: All’inferno.
FAUST: E come mai ne sei fuori?
MEFISTOFELE: Ma qui è inferno, non ne sono fuori.
Ho visto il volto del Signore e so cos’è il cielo. E tu credi che non mi tormentino diecimila inferni vedendomi tolta quell’estasi? Ah, Faust, non farmi queste domande meschine che subito mi angosciano e mi atterriscono.
FAUST: Come, il grande Mefistofele s’addolora perché gli hanno tolto il paradiso?
Impara da Faust a essere forte come un uomo e disprezza la felicità che hai perduta.
E ora torna da Lucifero e digli questo:
poiché Faust è incorso nella morte eterna per i suoi pensieri disperati contro Giove, digli che è pronto a cedergli l’anima se lo risparmia per ventiquattr’anni per fargli vivere tutte le voluttà e averti sempre al mio servizio per darmi tutto ciò che ti chiedo, per dirmi tutto ciò che ti domando, uccidere i miei nemici, aiutare i miei amici e obbedire sempre ai miei ordini.
Va’, torna dal potente Lucifero e vieni a mezzanotte nel mio studio a dirmi le sue decisioni.
MEFISTOFELE: D’accordo.
(Esce)
FAUST: Avessi tante anime quante sono le stelle, le darei tutte per Mefistofele.
Con lui sarò imperatore del mondo, lancerò un ponte sull’aria e passerò l’oceano col mio esercito, salderò i monti intorno al mare d’Africa, ne farò un continente con la Spagna e saranno entrambe vassalle del mio regno.
L imperatore vivrà per mia clemenza e così ogni potente in Germania.
Ora ho ciò che volevo, vivrò studiando la mia arte finché lui non torna.
(Escono [Faust, Lucifero e i diavoli])
SCENA QUARTA
(Entrano Wagner e [Robin] il clown)
WAGNER: Ehi, vieni qui, ragazzo.
ROBIN: Ragazzo? Mi vuoi insultare? Cristo! Ragazzo a te! Scommetto che ne hai visti altri di ragazzi con un becco simile.
WAGNER: Di’ un po’, hai qualche entrata?
ROBIN: Come no! E anche qualche uscita, si vede.
WAGNER: Ah, povero cristo, guarda la miseria che ride della sua nudità. Questo disgraziato lo conosco, è senza lavoro e tanto morto di fame che darebbe l’anima al diavolo per un coscio di montone crudo.
ROBIN: Un corno, lo voglio arrostito bene e col sugo, se devo pagarlo così caro.
WAGNER: Senti, vuoi venire al mio servizio? Ti tratto bene, come un “Qui mihi discipulus”.
ROBIN: Come sarebbe, in poesia?
WAGNER: No, ignorante, in broccato e cappuccio.
ROBIN: Fior cappuccio? E’ buono per i pidocchi. Allora se vengo sarò pidocchioso.
WAGNER: Per questo lo sarai in ogni caso, che tu venga o meno. Ma ora, minchione, se non t’impegni con me immediatamente per sette anni, tutti i pidocchi che hai indosso li faccio diventare diavoli per mangiarti vivo.
ROBIN: Allora vossignoria può risparmiarsi la fatica. Si pigliano già questa familiarità, poveri diavoli, giuro, come chi ha pagato zuppa e bevanda.
WAGNER: Basta con gli scherzi, pagliaccio, piglia questi fiorini.
ROBIN: Perdinci, subito, signore, e tante grazie, signore.
WAGNER: E adesso, con un’ora di preavviso, dovunque e in ogni momento il diavolo può venire a pigliarti.
ROBIN: Riecco i fiorini, non li voglio.
WAGNER: Ah no, ormai sei preso, preparati, tra un attimo faccio apparire due diavoli per portarti via. Banio, Belcher!
(Chiama) ROBIN: Becco? Venga Becco, che lo becco io. Non ho paura del diavolo.
(Entrano due diavoli)
WAGNER: Allora vieni o no?
ROBIN: Sì, sì, buon Wagner, manda via i diavolacci.
WAGNER: Spiriti, via! Tu, seguimi.
ROBIN: Subito, monsignore, ma sentite, monsignore, mi volete insegnare gli scongiuramenti?
WAGNER: Perché no, zuccone, t’insegnerò a trasformarti in un cane, un gatto, un topo, un ratto, insomma come vuoi.
ROBIN: Cane o gatto, topo o ratto? Viva Wagner!
WAGNER: Tanghero, chiamami signor Wagner.
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