Tu dài a uno la debita lode in presenza d’alcuno. Questi conferma breve: poi a lungo si volta a lodare un altro, il quale può essere inferiore o superiore al tuo lodato, ma quasi sempre è morto. Ora tu, fanciullo, vorresti essere disseppellito a questo fine? Poiché sarai un’ombra, avresti piacere d’essere adoperato a far ombra a qualche buon fanciullo saldo, che viva e canti? Questo non ti piacerebbe: meglio dormire dimenticato. È meglio esser morto tutto, che continuare a comparire avanti i tribunali ad essere giudicato e classificato: tanto più, che i giudici si trasmettono, cursori che stanno eternamente fermi, le fiaccole de’ loro Giovanni Pascoli

giudizi.

Tu non vuoi giudizi: vuoi commozione, vuoi assenso, vuoi amore; e non per te, ma per la tua poesia. Ebbene morto che tu sia, se la tua voce fu pura, se fu la voce dell’anima e delle cose, non l’eco, o più fioca o più forte, d’altrui voce; ebbene codesta voce sarà inavvertita, quando non sia dimenticata. In vero se è spesso ripetuta, come forse è ragione, si fonderà col tempo, non so se nel silenzio o rumore circostante: come il cinguettio delle rondini sotto la tua grondaia, che quando è un pezzo che lo senti, non lo senti più…

Tu vuoi parlare? Aspetta: non ho finito.

A ogni modo perché dovrebbe essere altrimenti? Che cosa fai tu, veramente, che sia degno di lode e di gloria? Tu ridi, tu piangi: che merito in ciò?

Se credi d’averci merito, è segno che ridi e piangi apposta: se lo fai apposta, non è poesia la tua: se non è poesia, non hai diritto a lode. Tu scopri, s’è detto; non inventi; e ciò che scopri, c’era prima di te e ci sarà senza te. Vorresti scriverci il tuo nome su? Ti adiri, che ti vogliano giudicare e anche premiare per quello che non è se non la tua natura e la tua manifestazione di vita. Dunque che importa a te del nome?

XIX.

IL FANCIULLO

Il nome? Il nome? L’anima io semino,

ciò ch’è di bianco dentro il nocciolo,

che in terra si perde,

ma nasce il bell’albero verde.

Non lauro e bronzo voglio; ma vivere;

e vita è il sangue, fiume che fluttua

senz’altro rumore,

che un battito, appena, del cuore.

Nei cuori, io voglio, resti un mio palpito, senz’altro vanto che qual d’un brivido

che trema su l’acque,

fa il sasso che in fondo vi giacque.

Nell’aria, io voglio, resti un mio gemito: se l’assiuolo geme voglio essere

tra i salci del rio

anch’io, nelle tenebre, anch’io.

Se le campane piangono piangono,

io nelle opache sere invisibile

voglio essere accanto

di quella che piange a quel pianto.

Io poco voglio; pur, molto: accendere

io su le tombe mute la lampada

che irraggi e conforti

la veglia dei poveri morti.

Io tutto voglio; pur, nulla: aggiungere

un punto ai mondi della Via Lattea,

nel cielo infinito;

dar nuova dolcezza al vagito.

Voglio la vita mia lasciar; pendula

ad ogni stelo, sopra ogni petalo,

come una rugiada

Giovanni Pascoli

ch’esali dal sonno, e ricada

nella nostr’alba breve. Con l’iridi

di mille stille sue nel sole unico

s’annulla e sublima…

lasciando più vita di prima.

XX.

Bene! Dunque riassumo, come uomo serio che sono. La poesia, per ciò stesso che è poesia, senz’essere poesia morale, civile, patriottica, sociale, giova alla moralità, alla civiltà, alla patria, alla società. Il poeta non deve avere, non ha, altro fine (non dico di ricchezza, non di gloriola o di gloria) che quello di riconfondersi nella natura, donde uscì, lasciando in essa un accento, un raggio, un palpito nuovo, eterno, suo. I poeti hanno abbellito agli occhi, alla memoria, al pensiero degli uomini, la terra, il mare, il cielo, l’amore, il dolore, la virtù; e gli uomini non sanno il loro nome. Ché i nomi che essi dicono e vantano, sono, sempre o quasi sempre, d’epigoni, d’ingegnosi ripetitori, di ripulitori eleganti, quando non siano nomi senza soggetto. Quando fioriva la vera poesia; quella, voglio dire, che si trova, non si fa, si scopre, non s’inventa; si badava alla poesia e non si guardava al poeta; se era vecchio o giovane, bello o brutto, calvo o capelluto, grasso o magro: dove nato, come cresciuto, quando morto.

Siffatte quisquilie intorno alla vita del poeta si cominciarono a narrare a studiare a indagare, quando il poeta stesso volle richiamare sopra sé l’attenzione e l’ammirazione che è dovuta soltanto alla poesia. E fu male.

E il male ingrossa sempre più.