Fai come tutti i bambini i quali non solo, quando sono un po’ sollevati, giocano e saltano con certe loro cantilene ben ritmate, ma quando sono ancora poppanti, e fanno la boschereccia, con misura e cadenza balbettano tra sé e sé le loro file di pa pa e ma ma.
E in ciò è ragione perché è natura. Tu sei ancora in presenza del mondo novello, e adoperi a significarlo la novella parola. Il mondo nasce per ognun che nasce al mondo. E in ciò è il mistero della tua essenza e della tua funzione. Tu sei antichissimo, o fanciullo! E vecchissimo è il mondo che tu vedi nuovamente! E primitivo il ritmo (non questo o quello, ma il ritmo in generale) col quale tu, in certo modo, lo culli o lo danzi! Come sono stolti quelli che vogliono ribellarsi o all’una o all’altra di queste due necessità, che paiono cozzare tra loro: veder nuovo e veder da antico, e dire ciò che non s’è mai detto e dirlo come sempre si è detto e si dirà!
E si ribellano, gli uni con gli schifi gesti di pedanti: Questa metafora non è in…(e qui il nome d’un poeta a mano a mano più recente) ; gli altri con pugnaci atteggiamenti di novatori: Questo non è assai inaudito e inaudibile! Quelli sono in generale vecchi che nella vecchiaia credono riposta ogni autorità; e questi, giovani che nella giovinezza imaginano insita ogni forza; più noiosi questi di quelli, perché l’un vanto è sempre con impertinenza, e l’altro non è mai senza tristezza, e perché se gli uni non intendono più, per senile sordità, l’arguto chiacchiericcio del fanciullo, gli altri non lo intendono ancora, per quello schiamazzare che fanno, miseramente orgoglioso, intorno al loro io giovane. E, in verità, giovani non sono, ché d’essere, se fossero, non si accorgerebbero. D’essere vecchio uno si accorge sì, qualche volta, e allora si veste, si tinge, grida a giovane. È forse il caso di voi, vecchiastri?
A ogni modo, pace. Sappiate che per la poesia la giovinezza non basta: la fanciullezza ci vuole!
VI.
Tu sei savio e mi contento. Non vuoi né ripetere il già detto né trovare l’indicibile; non vuoi essere né un’inutilità né una vanità. Vuoi il nuovo, ma sai che nelle cose è il nuovo, per chi sa vederlo, e non t’indurrai a trovarlo, affatturando e sofisticando. Il nuovo non s’inventa: si scopre.
Mi contento dunque, a dirla tra noi, vale a dire, tra me…Ma intendiamoci subito: di ciò non ti attribuisco gran lode, perché non ci vedo gran merito. Come? Aspetta e sii paziente, ché mi conviene andar per le lunghe.
E prima vorrei farti una domanda. Un fine, l’hai tu? Fuori, s’intende, di quello appunto di dire o dittare? E puoi dirmi, quale? Ho bisogno di saperlo. Non rispondi? Pensi? esiti? dubiti? Imagino che codesto fine non Giovanni Pascoli
sia, per esempio, quello di dare un po’ d’aiuto, di fornire un poco d’oro al tuo vecchio ospite, che ne ha tanto bisogno. Imagino, anzi so che tu non conosci altro oro che metaforico, cioè che non si spende. Ridi?
Intendiamoci. So per certo che tu non credi di procacciarmi direttamente un utile materiale, ma sospetto che ti figuri di procacciarmelo indirettamente, aggiungendo non saprei che favore alla mia povera persona e che pregio alle mie umili virtù, sì che l’industria che sai che esercito, mi profitti qualche cosa più.
Ebbene, ti inganneresti. Sappi che è il contrario; e che è ragionevole che sia il contrario. Tu sei un fanciullo: ora non tutti sanno distinguere te fanciullo da me vecchio, e perché mi sentono e vedono bamboleggiare qualche volta, credono volentieri che io bamboleggi sempre, anche quando lavoro sul serio, per guadagnarmi la vita. Per ciò essi meno apprezzano quei lavori serii, e io minor utile ne ricavo.
E hanno torto.
Sempre?
Sappi che non hanno torto sempre.
Hanno, per esempio, ragione (né parlo soltanto di me, ma di molti altri), quando tra i miei ragionamenti, che non dovrebbero essere se non giusti e chiari, vedono comparire i tuoi sorrisi e le tue grida. Vedi: i passeri sono graziosi uccelli (anch’essi: perché no?); ma nei seminati i contadini non ce li vogliono, per graziosi che siano.
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