Shere Khan era la tigre che viveva vicino al fiume Waingunga, venti miglia distante.
- Non ne ha nessun diritto - cominciò Papà Lupo rabbiosamente. Secondo la Legge della Jungla non ha nessun diritto di cambiare quartiere senza il dovuto preavviso. Spaventerà tutti i capi di bestiame nel raggio di dieci miglia, e io, io avrò da ammazzare per due in questi giorni.
- Sua madre non l’ha chiamato Lundri (lo Zoppo) per niente, disse Mamma Lupa tranquillamente. - E’ zoppo da un piede fin dalla nascita, ecco perché ha ammazzato solo buoi. Ora i contadini della Waingunga ce l’hanno con lui, e lui è venuto qui a far arrabbiare anche quelli delle nostre parti. Batteranno la jungla per dargli la caccia quando è già lontano, e noi ed i nostri piccoli saremo costretti a fuggire, quando avranno dato fuoco alle erbe. Dobbiamo essere proprio grati a Shere Khan.
- Devo andare a riferirglielo? - disse Tabaqui.
- Fuori! - ringhiò Papà Lupo fra i denti.- Vattene a cacciare col tuo padrone. Hai già fatto abbastanza danno per questa sera.
- Me ne vado,- rispose Tabaqui tranquillamente. - Si sente già Shere Khan nelle macchie di sotto. Avrei potuto risparmiarmi l’ambasciata.
Papà Lupo si mise in ascolto, e giù nella valle sottostante, che scendeva fino ad un fiumiciattolo, sentì il grido aspro, rabbioso, minaccioso e cadenzato della tigre che si lamentava di non aver preso niente, e non si preoccupava che tutta la jungla lo sapesse.
- Che sciocco! - disse Papà Lupo. - Cominciare una nottata di caccia con questo chiasso! Crede forse che i nostri daini siano come le grasse giovenche della Waingunga?
- Ssss! Non caccia né giovenche né daini stanotte, - disse Mamma Lupa.
- Caccia l’Uomo.
Il lamento si era trasformato in una specie di brontolìo vibrante che sembrava giungere da ogni parte dell’orizzonte. Era la voce che terrorizza i taglialegna e i vagabondi che dormono all’aperto, e li fa correre a volte proprio nelle fauci della tigre.
- L’uomo! - disse Papà Lupo scoprendo tutti i suoi denti bianchi. -
Puh! Non ci sono abbastanza bacarozzi e ranocchi nelle pozze, perché egli sia costretto a divorare l’uomo e nel nostro territorio per giunta!
La Legge della Jungla, che non stabilisce niente se non c’è la sua ragione, proibisce a tutti gli animali di mangiare l’uomo, a meno che essi non l’uccidano per insegnare ai loro figli, e allora devono cacciare fuori dal territorio del branco o della tribù. La vera ragione di questo fatto è che all’uccisione dell’uomo segue, prima o poi, l’arrivo degli uomini bianchi in groppa agli elefanti, armati di fucile e accompagnati da centinaia di indigeni con gong, razzi e torce. E allora tutti la scontano nella jungla. La spiegazione che gli animali ne danno fra loro è che l’Uomo è il più debole e il meno difeso di tutti gli esseri viventi, e che non è leale e degno di un vero cacciatore attaccarlo. Dicono anche, ed è vero, che i mangiatori di uomini diventano rognosi e perdono i denti.
Il brontolìo diventò più forte, e finì con l‘“Aaarh!” a piena gola della tigre che assale. Poi si sentì un urlo; un urlo di Shere Khan che non aveva niente di feroce.
- Ha fallito il colpo, - disse Mamma Lupa.
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