A queste parole udii ridere più forte lo spirito e ritirar a sé la sua mano; poi così cominciò a favellare: Quello ch’è obietto de’ sensi esteriori e quel che s’imagina sognando è molte fiate così somigliante che da uomo che sogni non può esser distinto; ma ben colui ch’è desto può agevolmente conoscere la differenza de le cose vere e de l’apparenti, perché, se i vostri sensi sani e vigorosi non potessero giudicare de la verità, niun giudicio tu lasceresti a la mente, ne la quale tu non istimi esser cosa alcuna che non sia prima stata ne le sentimenta, se non hai mutata opinione. E se tu ti recherai a mente alcun sogno passato e co ‘l nostro ragionamento e con gli altri c’ho teco avuti il paragonerai, t’avederai di leggieri di non sognare, perché l’as-senso che presta colui che dorme al sogno è molto debile: dubita, vacilla, e alcuna volta s’accorge di sognare e sognando dice: io sogno. Oltre acciò ne’

sogni non è ordine né continuazione; ma in questo ragionamento tu intendi come ogni cosa sin ora continova ordinatamente: e se pure i sogni sono talora ordinati (non dico quelli de gli infermi o de gli ubriachi, i quali sono turbidi e confusi e per la stemperata agitazion de gli umori e per la copia de’

fumi soverchi rendono l’imagini distorte e perturbate, ma di que’ parlo i quali sogliono fare alcuna volta gli uomini sani e temperati), niuna cosa nondimeno s’ode in loro simile al nostro ragionamento, il quale avrà le sue parti composte con tanta proporzione che parrà che ‘l vero co ‘l vero faccia armonia: laonde, se mai di lui ti sovverrà, non istimerai che debba tra’ sogni essere annoverato. Di sogno ti parrà che meriti il nome più convenevolmente gran parte de la tua vita passata: percioché in lei nulla rimirasi di vero, nulla di sincero e di puro, nulla in somma di stabile e di costante; ma quelle che si mostrarono a’ tuoi sensi, furono, per così dire, larve del vero e imagini di quelle che sono veramente essenze, le quali qua giù non si possono vedere da chi abbia gli occhi appannati dal velo de l’umanità: ma quando tu gli aprirai ne l’altra vita, che sola è vita, si manifesteranno in guisa che de’ tuoi passati affanni ti riderai.

Così disse lo spirito; e io: A me pare che tu vogli intendere de le idee, de le quali molte volte ho udito dir molte cose ne le scuole de’ filosofanti; ma possono elleno esser vedute in questo mondo? Possono, rispose, per Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 6

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Torquato Tasso Il Messaggiero

Q

grazia d’alcun cortese spirito, il quale altrui sia così amico come io sono a te: e per aventura per grazia di Venere le vide Enea. Riduci a memoria i versi del poeta tanto da te onorato:

Cum mihi se non ante oculis tam clara videndam Obtulit et pura per noctem in luce refulsit Alma parens, confessa deam qualisque videri Caelicolis et quanta solet.

Vedi ch’ora ella al figliuolo non immascherata ne la umanità, ma come dea si dimostra, e soggiunge:

Aspice (namque omnem, quae nunc obducta tuenti Mortales hebetat visus tibi et humida circum Caligat, nubem eripiam): tu ne qua parentis Iussa time neu praeceptis parere recusa.

Hic ubi disiectas moles avulsaque saxis

Saxa vides mixtoque undantem pulvere fumum, Neptunus muros magnoque emota tridenti

Fundamenta quatit totamque a sedibus urbem Eruit. Hic Iuno Scaeas saevissima portas Prima tenet sociumque furens a navibus agmen Ferro accincta vocat.

Iam summas arces Tritonia (respice) Pallas Insedit nimbo effulgens et gorgone saeva.

Ipse pater Danais animos viresque secundas Sufficit: ipse deos in Dardana suscitat arma.

Voleva oltre seguir lo spirito; ma io troppo volonteroso interuppi le parole e dissi: A me pare ch’Enea in questo luogo non veggia l’idee, ma l’intelligenze, percioché Nettuno, Palla, Giove e Giunone altro non sono che l’intelligenze di quelle sfere che loro sono attribuite. Troppo frettoloso sei stato, rispose lo spirito in prevenir le mie parole; ma, se bene ti ricordi quel ch’io dissi, non affermai ch’Enea vedesse l’intelligenze, ma dissi che per aventura le vide: e accortamente così parlai, perché Giunone e Nettuno altro non sono che l’intelligenze de l’acqua e de l’aria, e Venere altro non è che la mente che del terzo cielo è movitrice; ma a Pallade niun cielo o niun orbe è attribuito, sì che si possa dire ch’ella sia intelligenza al governo d’alcuna sfera sovrapposta, ma ella, che nacque de la mente di Giove, è l’idea Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 7

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Torquato Tasso Il Messaggiero

Q

universale del mondo, la quale è parto e figliuola d’Iddio primogenita.

Qui si tacque lo spirito; e io, ripieno di maraviglia: Or m’accorgo, dissi, d’esser desto o almeno vicino al destarmi, e d’aver dormito tutto quel tempo che, leggendo e rileggendo il famoso poeta, a la considerazione di sì fatte cose non ho aperti gli occhi. Ma se tu sei tale a me quale era Venere ad Enea, s’ella era dea de l’amore, tu parimente spirito amoroso dèi essere; e s’ella per grazia gli si mostrò e de la vista de le idee e de le intelligenze il fe’

degno, tu a me non ti dèi nascondere, né la veduta di queste cose mirabili invidiarmi. Più chiedi, rispose lo spirito, di quel ch’ora a te sia lecito di desiderare o ch’a me di dare sia conveniente; ma in gran parte nondimeno del tuo desiderio rimarrai sodisfatto, perché di due modi co’ quali gli spiriti celesti si lasciano vedere, quello eleggerò ch’è più usato. E quali sono questi due modi? risposi io. L’uno è, rispose, quando essi vi purgano in modo la vista che siate atti a sostener la luce loro; l’altro, quando si circondano di corpo che possa esser obietto proporzionato de’ vostri umani sentimenti. Se gli vedete ne la prima maniera, voi vi transumanate, per così dire, e sgom-brate da gli occhi de la mente co ‘l lume loro tutti i fantasmi e tutte le false imagini, le quali non altramente variano e perturbano la cognizione de le cose intelligibili di quel che sogliano i vapori, che da la terra si sollevano ne l’aria, cangiar l’aspetto d’alcuna stella, la qual molto da la sua sembianza si tramuta e or maggiore, or minore appare, or più, or meno colorata che non apparirebbe se non fosse così fatta interposizione. Ma se l’immortali forme ne la seconda maniera a voi si dimostrano, non vi transumanate voi, ma esse si vestono d’umanità, cioè di corpo e di moto e di tutte quelle altre circonstanze che accompagnano la natura visibile e corporea. Questi due modi ben conobbe il tuo glorioso poeta: perché, dove Enea vede Venere e per sua grazia le idee e le intelligenze, vuole intendere ch’egli si solleva sovra l’umanità con la contemplazione; ma quando Venere gli appare sotto corpo fittizio o quando Mercurio gli è mandato da Giove, l’uno e l’altro di loro ricoprendo la divinità, si fa vedere nel modo co ‘l quale da’ mortali possono esser veduti. Quinci aviene che ‘l tuo poeta, in quel luogo nel quale Venere ad Enea si dimostra come dea, non descrive né l’abito suo né il corpo, ma dice solamente:

… Et pura per noctem in luce refulsit

Alma parens, confessa deam qualisque videri Caelicolis et quanta solet:

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 8

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Torquato Tasso Il Messaggiero

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percioché la luce altro non significa appresso lui che la cognizione la quale s’acquista con la contemplazione. Ma di Mercurio è scritto:

… Ille patris magni parere parabat

Imperio, et primum pedibus talaria nectit Aurea, quae sublimem alis sive aequora supra Seu terram rapido pariter cum flamine portant.

Tum virgam capit: hac animas ille evocat orco Pallentes, alias sub tristia

Tartara mittit.