Si fa di me, con me, davanti a me, tutto ciò che si vuole, senza che io mi formalizzi. E che regalucci piovevano!… E ho perduto tutto per aver avuto buon senso una volta, una sola volta nella mia vita.
Ah! se mi capitasse ancora!
IO: Di che si trattava?
LUI: Di una stupidità senza pari, incomprensibile, imperdonabile.
IO: Quale?
LUI: Rameau, Rameau, non ti avevano preso a benvolere proprio per quel tuo modo di essere? Che sciocchezza, aver avuto un po’ di gusto, un po’ di spirito, un po’ di raziocinio. Rameau, amico mio, questo ti insegnerà a restare quale Dio ti fece, e quale i tuoi protettori ti volevano. Così, ti hanno preso per le spalle, ti hanno condotto alla porta e ti hanno detto: “Briccone, togliti dai piedi, e non ricomparire più. Costui vuol avere buon senso e ragione! Via! Sono qualità che già noi possediamo in sovrabbondanza”. E così te ne sei andato mordendoti le dita; ma è la tua lingua maledetta che avresti dovuto morderti prima: per non averlo capito in tempo, eccoti sul lastrico, senza un soldo, senza sapere dove battere la testa. Eri nutrito di buoni bocconi, e ti nutrirai di rifiuti; ben alloggiato, e sarai fin troppo fortunato se ti ridaranno la tua soffitta; dormivi in un buon letto, e ti aspetta la paglia tra il cocchiere del signor Soubise e l’amico di Robbé. Invece del sonno dolce e tranquillo che godevi, ascolterai da un orecchio i nitriti e il calpestio dei cavalli, dall’altro il rumore mille volte più insopportabile di versi secchi, duri e barbari. Disgraziato, malcapitato, sconsigliato, posseduto da un milione di diavoli!
IO: Ma non ci sarebbe modo di rappacificarsi? La colpa che avete commesso è così imperdonabile?
Al vostro posto andrei a ritrovare quella gente: voi siete loro più necessario di quel che crediate.
LUI: Oh! sono sicuro che, ora che non mi hanno più a disposizione per farli ridere, si annoiano come cani.
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IO: Tornerei a cercarli; non lascerei loro il tempo di fare a meno di me, di volgersi a qualche divertimento onesto: perché chi sa quel che può capitare.
LUI: Non è ciò che io temo; né d’altronde capiterà.
IO: Per quanto voi siate sublime, un altro può prendere il vostro posto.
LUI: E’ difficile.
IO: D’accordo. Tuttavia andrei con questo viso sfatto, con questi occhi smarriti, questo colletto in disordine, questi capelli scarmigliati, nello stato veramente tragico in cui voi siete. Mi getterei ai piedi della divinità; batterei la fronte a terra e, senza alzarmi, le direi con voce bassa e singhiozzante: “Perdono, signora, perdono! sono un indegno, un infame. Fu un attimo disgraziato; voi sapete che non sono normalmente soggetto ad avere buon senso, ma vi prometto che non ne avrò più, in vita mia”.
(Il divertente è che, mentre io gli facevo questo discorso, egli ne eseguiva la pantomima. Si era prosternato, aveva incollato il viso a terra, sembrava tenesse tra le mani la punta di una pantofola, piangendo, singhiozzando e dicendo: “Sì, mia piccola regina, sì, lo prometto, non ne avrò più per tutta la vita, per tutta la vita…” Poi si alzò bruscamente ed in tono serio e riflessivo soggiunse:) Sì, avete ragione: credo che sia la miglior cosa. Essa è buona; il signor Vieillard dice che è così buona!
Io, io sono abbastanza convinto che lo è. Ma tuttavia, andarsi ad umiliare dinanzi a una scimmia, gridar misericordia ai piedi di una miserabile istrioncella che i fischi della platea non cessano di perseguitare! Io, Rameau, figlio del signor Rameau farmacista di Digione, di un uomo dabbene che non ha mai piegato il ginocchio dinanzi a nessuno. Io, Rameau, nipote di colui che vien chiamato il grande Rameau, che si vede passeggiare diritto e con le braccia levate nei giardini del Palazzo reale, da quando Carmontelle l’ha raffigurato in un suo disegno curvo e con le mani sotto le falde dell’abito! Io, che ho composto pezzi per clavicembalo, che nessuno suona, ma che saranno forse i soli che passeranno ai posteri che li suoneranno; io, proprio io dovrei andare… Ebbene, signore, non può essere. (E mettendo la mano destra sul petto, continuava:) Sento qua dentro qualcosa che si rivolta e mi dice:
Rameau, tu non farai nulla. Dev’essere una dignità propria alla natura umana, che nulla può soffocare, e che si risveglia senza ragione; perché vi sono altri giorni in cui non mi costerebbe nulla esser vile tanto quanto si può esserlo; in quei giorni, per un quattrino, bacerei persino il sedere della Hus.
IO: Eh, amico mio: essa è bianca, graziosa, giovane, dolce, grassoccia: e sarebbe un atto di umiltà al quale uno anche più delicato di voi potrebbe facilmente abbassarsi, talvolta.
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LUI: Intendiamoci: vi è un modo di baciare il sedere in senso proprio, e un altro in senso figurato.
Domandatelo a quel grassone di Bergier che bacia il sedere della signora de la Marque in senso proprio e in senso figurato; e, in verità, entrambi i sensi mi spiacerebbero ugualmente, in quel caso.
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