Abbiam già parlato, quanto è stato convenevole, di quel che tu dovrai far come marito e come padre: or rimane che vegnamo alla considerazione della terza persona, a quella di padrone, dico, o di signore che vogliam chiamarla, il quale al servo è relativo. E se noi vogliam prestar fede a gli Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 22
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antichi che del governo famigliare hanno scritto, con l’opera, co ‘l cibo e co
‘l castigo il signore dee tener sodisfatti ed essercitati i servitori in ubbedienza; ma perciò ch’anticamente i servi erano schiavi presi nella guerra, i quali furono detti servi a servando perché da morte erano conservati, e oggi sono per lo più uomini liberi, mi pare che tutta questa parte del castigo si debba lasciare a dietro come poco convenevole a’ nostri tempi e alle nostre usanze, se non forse in quelle sole parti ove degli schiavi si servono, e in vece del castigo debba dal padrone essere usata l’ammonizione, la qual tal non dee essere qual dal padre co ‘l figliuolo è usata, ma piena di maggiore austerità e di più severo imperio: e se questa anco non gioverà, dee il padrone dar licenza al servitore inobbediente e inutile e provedersi d’altro che maggiormente gli sodisfaccia.
Una cosa anco dagli antichi è stata lasciata a dietro, la qual con gli schiavi non era convenevole, ma co’ liberi uomini è non sol convenevole ma necessaria: e questa è la mercede; con la mercede dunque, co ‘l cibo, con l’opera e con l’ammonizione il padre di famiglia governerà in modo ch’essi resteranno contenti di lui ed egli dell’opera loro rimarrà sodisfatto.
Ma percioché, se ben le leggi e l’usanze degli uomini sono variabili, come vediamo in questo particolar de’ servi, i quali oggi son per lo più uomini di libertà, le leggi nondimeno e le differenze della natura non si mutano per varietà di tempi e d’usanze, tu hai da sapere che questa differenza di servo e di signore è fondata sovra la natura, percioch’alcuni ci nascono naturalmente a commandare, altri ad ubbedire; e colui che per ubbedire è nato, se ben fosse di schiatta di re, veramente è servo, nondimeno tale non è giudicato percioch’il popolo, che guarda solamente alle cose esteriori, giudica delle condizioni degli uomini non altramente ch’egli faccia nelle tragedie, nelle quali re è chiamato chi, vestito di porpora e risplendente d’oro e di gemme, sostiene la persona d’Agamennone o d’Atreo o d’Eteocle: e s’aviene ch’egli non ben rappresenti la persona della quale s’è vestita, non perciò altro che re è chiamato, ma si dirà ch’il re non bene ha fatta la sua parte.
Similmente chi non ben sostiene la persona di principe o di gentiluomo ch’in questa vita, ch’è quasi teatro del mondo, dalla fortuna l’è stata impo-sta, non sarà però dagli uomini chiamato se non principe o gentiluomo, tuttoch’a Davo o a Siro o a Geta sia somigliante. Ma quando aviene che si ritrovi alcuno non sol di condizione e di fortuna ma d’ingegno e d’animo servile, costui è propissimamente servo, e di lui e de’ simili a lui il buon Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 23
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padre di famiglia, che vuol per servitori persone alle quali egli ragionevolmente possa commandare, compone la sua famiglia, né desidera in loro se non tanto di virtù solamente quanto gli renda capaci ad intendere i suoi commandamenti e a esseguirli; i quali da’ cavalli e dall’altre bestie che la natura ha formate docili e atte ad essere ammaestrate dall’uomo, in tanto son differenti, che, lontani ancora dalla presenza del padrone, ritengono a memoria le cose a lor commandate e possono esseguirle: il che delle bestie non aviene. E1 dunque il servo animal ragionevole per participazione in quel modo che la luna e le stelle per participazion del sole son luminose, o che l’appetito per participazione del lume dell’intelletto ragionevole diventa; percioché, sì come l’appetito ritiene in sé le forme delle virtù che dalla ragione in lui sono state impresse, così il servo ritiene le forme delle virtù impressegli nell’animo dagli ammaestramenti del padrone: e si può di loro e de’ padroni dire alcuna fiata quel che, di sé e di madonna Laura ragionando, disse il Petrarca:
… Sì che son fatto uom ligio
Di lei, ch’alto vestigio
M’impresse al core e fece ‘l suo simile.
E perché non t’inganni l’auttorità d’Esiodo, antichissimo poeta, il quale, annoverando le parti della casa, pose il bue in vece del servo, voglio che tu intenda più propriamente che ‘l modo co ‘l quale sono ammaestrati i servi da quel co ‘l quale sono ammaestrate le bestie è molto differente, conciosia cosa che la docilità delle bestie non è disciplina e non è altro ch’una assuefazione scompagnata da ragione, simile a quella con la qual la man destra adopra meglio la spada che la sinistra, benché non più di ragione abbia in sé che la sinistra. Ma la docilità de’ servi è con ragione, e può divenir disciplina come quella de’ fanciulli eziandio: onde irragionevolmente parlano coloro che spo-gliano i servi dell’uso della ragione, conciosia cosa che lor si conviene non meno ch’a’ fanciulli, anzi più peraventura, e in loro è ricercato tanto di tem-peranza e di fortezza quanto lor basti per non abbandonare l’opere commandate da’ padroni o per ubbriachezza o per altro piacere, o pure i padroni medesimi ne’ pericoli delle brighe civili e negli altri che possono avenire. E però convenevolmente fu detto dal poeta toscano: Ch’innanzi a buon signor fa servo forte.
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E convenevolmente i servi di Milone da Cicerone nella sua difesa furon lodati, e tutti quegli altri de’ quali si leggono in Valerio Massimo alcuni memorabili essempi; benché, s’io volessi addurre tutti gli essempi memorabili de’ servi, mi dimenticherei di quel che pur ora dissi, che servi propriamente son coloro che son nati per ubbidire, i quali agli uffici della cittadi-nanza sono inabili per difetto di virtù, della quale tanto hanno, e non più, quanto gli rende atti ad ubbedire. E se tu hai letto nell’istorie ch’i Romani ebbero una guerra pericolosa assai, la quale addimandaro guerra servile perché da servi fu concitata, e se parimente hai letto ch’a’ nostri tempi gli esserciti de’ Soldani eran formati di schiavi e oggi per lo più quell’osti for-midabili ch’il gran Turco suol ragunare di schiavi son formate, riduci alla memoria la nostra distinzione, la qual da te ogni dubbio discaccerà: e questa è che molti son servi per fortuna, che tali non son per natura, e da questi alcuna maraviglia non è ch’alcuna pericolosa guerra sia concitata. Tuttavolta grand’argomento della viltà che la fortuna servile suol negli animi generare, è l’essempio degli Sciti, i quali, avendo assemblata un’oste contra i servi loro che s’eran ribellati, non potendo altramente debellarli, presero per consiglio di portare in guerra le sferze, le quali rinovellando ne’ servi la memoria delle battiture che sotto il giogo della servitù avevan ricevute, gli posero in fuga.
Ma ritornando a’ servi de’ quali dee esser composta la famiglia, questi non loderei che fossero né d’animo né di corpo atti alla guerra, ma sì bene di complession robusta, atta alle fatiche e a gli essercizî nella casa e nella villa necessarî. Questi in due specie distinguerei, l’una all’altra sottordinata: l’una di soprastanti o di sopraintendenti, o di mastri che vogliam chiamarla; l’altra d’operarî. Nella prima sarà il mastro di casa, a cui dal padrone la cura di tutta la casa è raccomandata, e quel che della stalla ha particolar cura, come nelle case grandi suole avenire, e il fattore, c’ha la sopraintendenza sovra le cose di villa tutte; nell’altra saranno coloro ch’a’ primi ubbediscono.
Ma percioché la nostra fortuna non ha a noi data tanta facoltà che tu possa così distinti e così moltiplicati aver gli uffici della famiglia, basterà che d’uomo ti provegga il quale di mastro di casa e di stalla e di fattore faccia l’ufficio: e commanderai a gli altri tutti ch’a lui ubbediscono, dando il sala-rio a ciascuno maggiore e minore secondo il merito e la fatica loro, e ordi-nando che ‘l cibo sia lor dato sì che più tosto soverchi che manchi. Ma dèi nondimeno nutrir la famiglia di cibi differenti da quelli che verranno su la tua mensa, su la quale non ti sdegnare che vengano ancora le carni più Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 25
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grosse che secondo le stagioni saran comprate per li servitori, acciò ch’essi, vedendo che tu ti degni di gustarne talora, le mangino più volentieri. Fra’
quali quelle reliquie delle carni e delle vivande più nobili che dalla tua mensa saran levate, debbon esser compartite in modo che s’abbia riguardo alla condizione e al merito di ciascuno.
Ma perché la famiglia ben nutrita e ben pagata nell’ozio diverrebbe pestilente e produrrebbe malvagi pensieri e triste operazioni in quel modo che gli stagni e l’acque che non si muovon soglion marcire e generar pesci poco sani, sarà tua cura principale, e anco del tuo mastro di casa, di tener ciascuno essercitato nel suo ufficio e tutti in quelli che sono indivisi, percioché non ogni cosa nella casa necessaria può esser fatta da una persona ch’abbia una cura particolare. Onde, quando lo spenditore avrà compro da mangiare e ‘l cameriero avrà fatto il letto e nettate le vesti e ‘l famiglio di stalla stregghiati i cavalli e ciascun altro avrà fatto quello che di fare è tenu-to, dee il sollecito mastro di casa imporre or a l’uno, or a l’altro alcuna di quelle opere che sono indivise, e sovra tutto aver dee cura che niuna brut-tura si veda nella casa o nel cortile o nelle tavole o nelle casse, ma che le mura, il pavimento, il solaro e tutti gli arnesi e instrumenti della casa sian politi e, per così dire, risplendano a guisa di specchi: perché la politezza non solo è piacevole a risguardare, ma giunge anco nobiltà e dignità alle cose vili e sordide per natura, sì com’all’incontra la lordura le toglie alle nobili e alle degne; oltre ch’altrettanto giova alla sanità la politezza quanto nuoce la sordidezza. E ciascun servitore dee così particolarmente aver cura che gli instrumenti i quali egli adopera nel suo ufficio sian politi, come il soldato l’ha della politezza de l’arme: ché tali sono a ciascuno gli instrumenti ch’egli adopera, quali sono l’arme al soldato; onde, de gli instrumenti del zappatore parlando, il Petrarca disse:
L’avaro zappator l’arme riprende,
ad imitazion di Vergilio, il quale prima aveva chiamate armi quegli instrumenti ch’adoperano i contadini:
Dicendum et quae sint duris agrestibus arma, e arme eziandio gli instrumenti da fare il pane: Tum Cerere corruptam undis cerealiaque arma Expediunt fessi rerum.
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