Due secoli e mezzo dopo gli inventori cominciavano a moltiplicarsi. Nel 1742, il marchese di Bacqueville fabbrica un sistema d’ali, lo prova al disopra della Senna, e si rompe un braccio cadendo. Nel 1768, Paucton concepisce la disposizione di un apparecchio a due eliche, una sospensiva e l’altra propulsiva. Nel 1781, Meerwein, architetto del principe di Baden, costruisce una macchina a movimento ortottico, e protesta contro la direzione degli aerostati di recente invenzione. Nel 1784, Launoy e Bienvenu fanno manovrare un elicottero, mosso da congegni. Nel 1808, tentativo di volo dell’austriaco Jacob Degen. Nel 1810, opuscolo di Deniau, di Nantes, ove sono stabiliti i principi del «Più pesante dell’aria». Poi, dal 1811 al 1840 gli studi e le invenzioni di Berblinger, di Vigual, di Sarti, di Dubochet, di Cagniard de Latour. Nel 1842, incontriamo l’inglese Henson, col suo sistema di piani inclinati e di eliche mosse dal vapore; nel 1845, Cossus e il suo apparecchio ad eliche ascensionali; nel 1847, Camille Vert e il suo elicottero ad ali di penne; nel 1852, Letur col suo sistema di paracadute dirigibile, la prova del quale gli costò la vita; e nello stesso anno, Michel Loup col suo piano di scivolamento, munito di quattro ali girevoli; nel 1853, Béléguic e il suo aeroplano mosso da eliche di trazione, Vaussin-Chardannes col suo cervo volante libero dirigibile, George Cauley coi suoi piani di macchine volanti, provviste di un motore a gas. Dal 1854 al 1863, compaiono Joseph Pline, che brevettò parecchi sistemi aerei, Bréant, Carlingford, Le Bris, Du Tempie, Bright, le cui eliche ascensionali girano in senso inverso; Smythies, Panafieu, Crosnier, ecc. Finalmente, nel 1863, mediante gli sforzi di Nadar, una società Più pesante dell’aria è fondata a Parigi. Gli inventori vi fanno sperimentare delle macchine, di cui alcune sono già brevettate: de Ponton d’Améncourt e il suo elicottero a vapore, de la Landelle e il suo sistema a combinazioni di eliche con piani inclinati e paracadute; de Louvrié e il suo aeroscafo, d’Esterno e il suo uccello meccanico, de Groof e il suo apparecchio ad ali mosse da leve. Una volta dato il via, gli inventori inventano, i calcolatori calcolano tutto ciò che deve rendere pratica la locomozione aerea. Bourcart, Le Bris, Kaufmann, Smyth, Stringfellow, Prigent, Danjard, Pomès e de la Pauze, Moy, Pénaud, Jobert, Hureau de Villeneuve, Achenbach, Garapon, Duchesne, Danduran, Parisel, Dieuaide, Melkisff, Forlanini, Brearey, Tatin, Dandrieux, Edison, gli uni con ali o con eliche, gli altri con piani inclinati idearono, crearono, fabbricarono, perfezionarono le loro macchine volanti che saranno pronte a funzionare il giorno in cui un motore di una potenza considerevole e di una estrema leggerezza sarà loro applicato da qualche inventore.

Che si perdoni questa nomenclatura un po’ lunga.

Non si dovevano salire tutti questi gradi della scala della locomozione aerea, in cima alla quale appare Robur il Conquistatore? Senza i tentativi, le esperienze dei suoi precursori, l’ingegnere avrebbe potuto concepire un apparecchio così perfetto? No, di certo. E se non aveva che disprezzo per coloro che si ostinano ancora a cercare la direzione dei palloni, teneva in alta stima tutti i partigiani del «Più pesante dell’aria», inglesi, americani, italiani, austriaci, francesi, francesi specialmente, i cui lavori perfezionati da lui, gli avevano permesso di creare, quindi di costruire quel congegno volante, l’Albatros, lanciato attraverso le correnti dell’atmosfera.

— Vola, vola! — aveva esclamato uno dei più ostinati fautori dell’aviazione.

— Si calpesterà l’aria come si calpesta la terra! — rispose uno dei più infiammati partigiani.

— Dopo la locomotiva, l’aeromotiva! — aveva buttato lì il più rumoroso di tutti, che aveva dato fiato alle trombe della pubblicità per risvegliare il Vecchio e il Nuovo Mondo.

Nulla di più certo, effettivamente, per esperienza e per calcolo, che l’aria è un punto d’appoggio molto resistente. Una circonferenza di un metro di diametro, che formi un paracadute, può non solo moderare una discesa nell’aria, ma renderla isocrona. Ecco ciò che si sapeva.

Si sapeva anche che, quando la velocità di traslazione è grande, il peso varia pressappoco in ragione inversa del quadrato di questa velocità e diventa quasi insignificante. Si sapeva anche che più aumenta il peso di un animale volante, meno aumenta proporzionalmente la superficie alata necessaria per sostenerlo, benché i movimenti che deve fare siano più lenti.

Un apparecchio d’aviazione deve dunque essere costruito in modo da utilizzare queste leggi naturali, imitando l’uccello, «questo magnifico esempio di locomozione aerea» ha detto il dottor Marey, dell’Istituto di Francia.

Insomma, gli apparecchi che possono risolvere questo problema si riassumono in tre tipi:

1) gli elicotteri o spiraliferi, che sono semplicemente delle eliche ad assi verticali;

2) gli ortotteri, congegni che tendono a riprodurre il volo naturale degli uccelli;

3) gli aeroplani, che non sono, a dir il vero, che piani inclinati come l’aquilone, ma rimorchiati o spinti mediante eliche orizzontali.

Ognuno di questi sistemi ha avuto ed ha ancora dei partigiani decisi a non cedere minimamente su questo punto.

Eppure Robur, per molte considerazioni, aveva respinto i primi due.

Che l’ortottero, l’uccello meccanico, presenti alcuni vantaggi, non c’è dubbio. I lavori e le esperienze del signor Renaud, nel 1884, l’hanno provato. Ma, come gli avevano detto, non bisogna servilmente imitare la natura. Le locomotive non sono una copia delle lepri, né le navi a vapore sono una imitazione dei pesci. Alle prime hanno messo delle ruote che non sono gambe, alle seconde delle eliche che non sono delle pinne. E non per questo vanno peggio. Al contrario. D’altra parte, si conosce quello che avviene meccanicamente nel volo degli uccelli, i cui movimenti sono molto complessi? Il dottor Marey non ha supposto che le penne si socchiudano durante il sollevarsi dell’ala per lasciar passare l’aria, movimento quantomeno difficilissimo da produrre con una macchina artificiale?

D’altra parte, che gli aeroplani abbiano dato qualche buon risultato è certo. Le eliche, opponendo un piano obliquo allo strato d’aria, offrono un mezzo di produrre un lavoro d’ascensione, e i piccoli apparecchi sperimentati provano che il peso disponibile, cioè quello di cui si può disporre oltre il peso dell’apparecchio, aumenta col quadrato della velocità. Ecco dei grandi vantaggi superiori anche a quelli degli aerostati sottomessi ad un movimento di traslazione.

Tuttavia, Robur aveva pensato che la cosa migliore fosse in fondo la più semplice. Così le eliche — quelle «sante eliche» che nel Weldon-Institute gli erano state tirate in testa — erano bastate a tutti i bisogni della sua macchina volante. Le une tenevano l’apparecchio sospeso nell’aria, le altre lo rimorchiavano in meravigliose condizioni di velocità e di sicurezza.

Infatti, teoricamente, con un’elica di passo sufficientemente corto ma di notevole superficie, come aveva detto Victor Tatin, si potrebbe, «spingendo le cose all’estremo, sollevare un peso indefinito con la minima forza».

Se l’ortottero — che batte le ali come gli uccelli — s’innalza appoggiandosi normalmente sull’aria, l’elicottero si eleva battendola obliquamente con le ali della sua elica, come se salisse un piano inclinato. In realtà sono ali ad elica invece di essere ali a pale. L’elica si muove necessariamente nella direzione del suo asse. L’asse è verticale? Si sposta verticalmente. È orizzontale? Si sposta orizzontalmente.

Tutto l’apparecchio volante dell’ingegner Robur si basava appunto su queste due funzioni.

Ed ecco la descrizione esatta, che può dividersi in tre parti essenziali: la piattaforma, i motori di sospensione e di propulsione, e la sala macchine.

Piattaforma. È una struttura, lunga trenta metri, larga quattro, vero ponte di nave con prora a forma di sperone. Sotto, si arrotonda uno scafo, solidamente costruito, che racchiude gli apparecchi destinati a produrre la forza meccanica, il deposito delle munizioni, gli apparecchi, gli utensili, il magazzino generale delle provviste di ogni genere, comprese le casse dell’acqua. Intorno a tale struttura alcuni leggeri montanti uniti da un’intelaiatura di fil di ferro sostengono una battagliola che serve da corrimano.

Sulla sua superficie si innalzano tre tughe i cui scompartimenti sono adibiti alcuni per alloggio del personale, altri a sala macchine.