K. bussava agli appartamenti con la porta chiusa e chiedeva se vi abitava un certo falegname Lanz. Per lo più veniva ad aprire una donna, ascoltava la domanda e si rivolgeva a qualcuno nella stanza che si levava a sedere sul letto. «Il signore chiede se abita qui un falegname Lanz». «Un falegname Lanz?», chiedeva quello dal letto. «Sì», diceva K., sebbene fosse fuori dubbio che la commissione d'inchiesta non potesse trovarsi lì, e quindi il suo compito fosse finito. Parecchi credevano che a K. premesse molto trovare il falegname Lanz, riflettevano a lungo, ricordavano un falegname, che però non si chiamava Lanz, o facevano un nome che aveva una vaga somiglianza, o chiedevano al vicino, o accompagnavano K. a una porta molto distante, dove giudicavano potesse abitare in subaffitto una persona del genere, o dove ci fosse qualcuno in grado di dare informazioni migliori delle loro. Alla fine K. non ebbe quasi più bisogno di fare delle domande, venne trascinato in questo modo da un piano all'altro. Si pentì della propria idea, che in un primo tempo gli era parsa così pratica. Prima del quinto piano si decise ad abbandonare la ricerca, si congedò da un giovane operaio, gentilissimo, che voleva accompagnarlo più su ancora, e scese da basso. Ma poi l'inutilità di tutta l'impresa lo irritò di nuovo, tornò indietro e bussò alla prima porta del quinto piano. La prima cosa che vide nella piccola stanza fu un grande orologio a muro, che segnava già le dieci. «Abita qui un certo falegname Lanz?», chiese. «Prego», disse una giovane donna dagli occhi neri e lucenti che stava lavando dei panni da bambini in una tinozza, e indicò con la mano bagnata la porta aperta della stanza accanto.
K. ebbe l'impressione di capitare in un'assemblea. La gente più disparata - nessuno si curò del nuovo arrivato - si accalcava in una stanza di media grandezza, con due finestre, lungo la quale correva, a poca distanza dal soffitto, una galleria, anch'essa gremita di gente che riusciva a stare in piedi solo chinata e urtava con la testa e le spalle contro il soffitto. K. non resse il tanfo, uscì di nuovo e disse alla giovane donna, che forse l'aveva capito male: «Ho chiesto di un falegname, un certo Lanz». «Sì», disse la donna, «entri, prego». Forse K. non le avrebbe obbedito, se la donna non fosse andata verso di lui e non avesse afferrato la maniglia della porta dicendo: «Dopo di lei devo chiudere, nessuno può più entrare». «Buona idea», disse K., «ma già adesso è troppo pieno». Poi però tornò dentro lo stesso.
Aprendosi un varco fra due uomini che discorrevano proprio vicini alla porta - uno faceva con le due mani tese in avanti il gesto di contare soldi, l'altro lo guardava attento negli occhi - una mano raggiunse K. e l'afferrò. Era un ragazzo di bassa statura, con le guance rosse. «Venga, venga», disse. K.
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