«Ecco gli atti del giudice istruttore», disse, e lasciò cadere il quaderno sul tavolo. «Continui pure a leggere, signor giudice, non ho certo paura di questo libro delle colpe, anche se mi è inaccessibile, dato che riesco a toccarlo solo con due dita e non lo prenderei mai in mano». Poteva solo essere un segno di profonda umiliazione, o per lo meno così andava interpretato, che il giudice afferrasse il quadernetto, così com'era caduto sul tavolo, cercasse di rimetterlo un poco in ordine e riprendesse a leggere.

            Le facce della gente in prima fila erano rivolte a K. con tale attenzione, che lui indugiò a guardarle per un momento. Erano tutti uomini anziani, alcuni avevano la barba bianca. Forse erano loro quelli che decidevano, che potevano influenzare tutta l'assemblea che nemmeno l'umiliazione del giudice istruttore riusciva a smuovere dall'inerzia in cui era sprofondata dopo il discorso di K.?

            «Quello che è successo a me», continuò K. a voce un po' più bassa e cercando sempre di catturare le facce della prima fila, il che conferiva al suo discorso un tono piuttosto svagato, «quello che è successo a me, non è che un caso singolo e come tale di poca importanza, poiché io non lo prendo molto sul serio, ma è indicativo di un modo di procedere che viene applicato a danno di molti. Io qui difendo la loro causa, non la mia».

            Senza volere, aveva alzato la voce. Da qualche parte qualcuno applaudì con le mani levate, e gridò: «Bravo! Perché no? Bravo! E ancora bravo!». Qualcuno nella prima fila si tastava la barba, nessuno si voltò a quel grido. Nemmeno K. gli attribuì importanza, ma ne fu incoraggiato; adesso non riteneva più necessario che tutti battessero le mani, bastava che i presenti cominciassero a riflettere sulla cosa e che qualcuno, ogni tanto, si lasciasse convincere.

            «Non cerco il successo oratorio», disse K., a seguito di questa sua riflessione, «e nemmeno potrei ottenerlo. Il signor giudice probabilmente parla molto meglio, del resto fa parte del suo mestiere. Quello che voglio è solo la discussione pubblica di un pubblico abuso. Ascoltate: circa dieci giorni fa sono stato arrestato, sul fatto dell'arresto in sé me la rido, ma non è di questo che si tratta ora. Mi hanno sorpreso a letto la mattina presto, forse - da quello che ha detto il giudice non è da escludere - avevano ordine di arrestare un qualche imbianchino, innocente quanto me, invece hanno scelto me. La camera accanto alla mia venne occupata da due rozze guardie. Se fossi stato un pericoloso bandito non avrebbero potuto prendere precauzioni migliori. Queste guardie, poi, erano gentaglia senza scrupoli, mi riempirono la testa di chiacchiere, cercavano di farsi corrompere, volevano portarmi via con raggiri abiti e biancheria, volevano soldi con il pretesto di portarmi una colazione, dopo aver spudoratamente fatto fuori la mia colazione davanti ai miei occhi. Non basta. Fui condotto in una terza stanza davanti all'ispettore. Era la camera di una signorina che stimo molto, e dovetti stare a guardare come quella camera, per causa ma non per colpa mia, veniva per così dire insozzata dalla presenza delle guardie e dell'ispettore. Non fu facile mantenere la calma. Ma ci riuscii, e perfettamente calmo chiesi all'ispettore - se fosse qui non potrebbe che confermare - perché ero in arresto. Che cosa rispose allora quell'ispettore, che vedo ancora adesso davanti a me, seduto sulla seggiola della già menzionata signorina, come un'immagine vivente della più ottusa presunzione? Signori miei, in sostanza non rispose nulla, forse davvero non sapeva nulla, mi aveva arrestato e ne era soddisfatto. Ne ha fatta un'altra, ha portato nella camera di quella signorina tre impiegati di basso livello della mia banca, che si misero d'impegno a rovistare fra le fotografie di proprietà della signorina, scompigliandole. La presenza degli impiegati aveva naturalmente anche un altro scopo, come la mia padrona di casa e la sua cameriera dovevano diffondere la notizia del mio arresto, ledere la mia reputazione e soprattutto far vacillare la mia posizione in banca. Niente di tutto ciò è riuscito, neppure in minima parte, persino la mia padrona di casa, una persona molto semplice - voglio farne qui il nome per renderle onore, è la signora Grubach - persino la signora Grubach ebbe abbastanza buon senso per capire che un simile arresto non è altro che una bravata di ragazzi di strada non abbastanza sorvegliati. Ripeto, tutta la faccenda mi ha procurato solo noie e un'arrabbiatura passeggera, ma non avrebbe anche potuto avere conseguenze peggiori?».

            A questo punto K. s'interruppe e, volgendo lo sguardo verso il giudice istruttore che se ne stava zitto, credette di notare che quello ammiccasse a qualcuno fra la folla.