E per agevolarle la cosa, per far sì che il suo arrivo in banca passi il più possibile inosservato, le ho messo qui a disposizione questi tre signori, suoi colleghi». «Come?», esclamò K., e osservò stupito i tre. Questi tre giovani banali, esangui, che ricordava solo come gruppo nelle fotografie, erano veramente impiegati della banca, colleghi era dire troppo e rivelava una lacuna nell'onniscienza dell'ispettore, ma impiegati subalterni della banca comunque erano. Come aveva potuto sfuggirgli? Doveva esser stato ben occupato dall'ispettore e dalle guardie per non riconoscere quei tre! Il rigido Rabensteiner che agitava sempre le mani, il biondo Kullich con gli occhi infossati, e Kaminer con quel suo insopportabile sorriso dovuto a una contrazione muscolare cronica. «Buon giorno», disse K. dopo un istante di esitazione, porgendo la mano ai tre che fecero un inchino compito. «Non vi avevo proprio riconosciuti. Allora, si va a lavorare adesso, no?». I tre annuirono ridendo e, pieni di premura, come se non avessero aspettato altro per tutto il tempo, quando K. cercò il cappello rimasto in camera sua, si precipitarono a prenderlo, tutti insieme, uno dietro l'altro, lasciando intuire tuttavia così un certo imbarazzo. K. non si mosse e li seguì con lo sguardo attraverso le due porte aperte, ultimo era, naturalmente l'apatico Rabensteiner, che aveva appena accennato un elegante trotto. Kaminer gli porse il cappello e K. dovette esplicitamente dirsi, come del resto aveva spesso dovuto fare in banca, che il sorriso di Kaminer non era intenzionale, e che anzi sorridere di proposito non gli riusciva proprio. In anticamera la signora Grubach, che non sembrava affatto consapevole della sua colpa, aprì la porta d'ingresso a tutta la compagnia, e K. abbassò lo sguardo come molte altre volte sul nastro del suo grembiule che le solcava a fondo, del tutto inutilmente, il corpo poderoso. Una volta sotto, K., orologio in mano, decise di prendere un'automobile, per non accrescere inutilmente il ritardo che era già di mezz'ora. Kaminer corse all'angolo per prendere la vettura, gli altri due cercavano palesamente di distrarre K., quando Kullich all'improvviso indicò il portone di fronte in cui era appena apparso l'uomo alto con la barbetta bionda che, un po' imbarazzato, in un primo momento, di mostrarsi ora in tutta la sua statura, indietreggiò al muro e vi si appoggiò. I vecchi dovevano essere ancora sulle scale. K. s'irritò che Kullich gli facesse notare l'uomo che lui stesso aveva già visto prima, che anzi aveva addirittura aspettato. «Non guardi da quella parte!», proruppe, senza rendersi conto della stranezza di una tale ingiunzione rivolta a persone libere. Ma non fu nemmeno necessario un chiarimento, perché in quell'istante arrivò l'automobile, si sedettero e partirono. K. si ricordò allora di non avere notato quando l'ispettore e le guardie erano andati via, l'ispettore gli aveva nascosto i tre impiegati e adesso, a loro volta, gli impiegati l'ispettore. Non era prova di grande presenza di spirito, e K. si propose di sorvegliarsi meglio a questo riguardo. Tuttavia si volse ancora involontariamente all'indietro e si sporse dall'automobile, se mai riuscisse a vedere ancora l'ispettore e le guardie. Ma subito si rigirò e si appoggiò comodamente nell'angolo, senza aver fatto nemmeno il tentativo di cercare qualcuno. Sebbene non paresse, proprio ora avrebbe avuto bisogno di una parola di conforto, ma tutti sembravano stanchi, Rabensteiner guardava fuori a destra, Kullich a sinistra, solo Kaminer era a disposizione con il suo ghigno su cui, purtroppo, la pietà umana impediva di scherzare.
Quella primavera K.
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