Così essa è anche la morte più fredda e più piatta, senza maggior significato che troncare una testa di cavolo o inghiottire un sorso di acqua”.1

Questa assenza di ogni contenuto è, appunto, la rivelazione del riso. L’uomo che ride è l’uomo che ha perduto il suo contenuto, l’uomo divenuto pura pelle e che soffre di portare questa pelle fino al limite estremo del dolore e del piacere.

Lo spazio di Dio è vuoto: ma, nel riso, un altro spazio si apre che ad esso corrisponde metafisicamente. In questo spazio si muove la patafisica, questa “scienza di ciò che si sovrappone alla metafisica”, che un giorno cesserà forse di apparirci come uno scherzo trascurabile per rivelarsi un segno tremendo. “Come il metafisico” scrive René Daumal “si è introdotto nei pori del mondo fisico sotto le apparenze della dialettica che corrode i corpi e muove le rivoluzioni, ora, poiché ‘la patafisica è alla metafisica ciò che questa è alla fisica’, bisogna prepararsi alla nascita imminente di una nuova età, a veder sorgere in mezzo alle estreme ramificazioni della materia una forza nuova, il pensiero divorante, avido senza rispetto per niente, che non pretende fede da nessuno né obbedienza a nessuno, ma brutale di evidenza propria a dispetto di ogni logica, il pensiero del patafisico universale che di colpo si sveglierà in ogni uomo, spezzandogli le reni con uno starnuto e ridendo, ridendo e sventrando a colpi di riso i portacervella troppo tranquilli, e al diavolo i sarcofagi dove stiamo finendo di civilizzarci!”

L’abisso in cui la patafisica prende il suo fondamento è l’annuncio che si legge alla fine del penultimo capitolo del Docteur Faustroll (questo Faust spinto all’estremo): “Homo est Deus”. L’uomo, la più mortale di tutte le creature, sarebbe, dunque, l’Immortale? E questo pensiero abissale – ridicolo perfino nel nome – sarebbe la filosofia di un dio? Non aveva Nietzsche detto che “il fatto che Dioniso sia un filosofo e che, così, gli dèi si occupino anch’essi di filosofia, mi sembra una novità non priva di pericoli…”?

La risposta a questa domanda è anche la risposta alla domanda che pone questo libro: chi è André Marcueil? Chi è le Surmâle?

Che a simbolo di questa impossibile mutazione dell’uomo sia stato scelto un Surmâle non è un caso. Nel sesso l’uomo si confronta alla stessa potenza che agisce nella tecnica, alla stessa assoluta esigenza di sovranità che si afferma attraverso un’immensa negazione. E, come Surmâle, Marcueil appartiene al tipo umano che appare per la prima volta all’orizzonte della cultura occidentale nei romanzi di Sade. Sade, avendo fatto l’esperienza, nell’uomo, dell’infinita potenza della negazione, ne pensò l’essenza sovrana a partire dalla coincidenza della più grande distruzione con la più grande affermazione. Cercando un principio in cui questa singolare potenza dell’uomo trovasse il suo fondamento, egli s’imbatté nell’idea che oscuramente presiede ancora al destino dell’occidente, come irriducibile concetto-base della sua scienza: l’idea di Energia.

Non appena l’uomo si vuole integralmente, pensa, cioè, la propria natura secondo l’infinito che l’Energia gli rivela in lui stesso, egli esce dall’orizzonte del vecchio uomo per entrare in una zona dove l’umano e il divino si confondono. Sade si rendeva perfettamente conto di questo passaggio dell’uomo al di là dell’uomo: “Mais vous,” chiede Juliette, “croyez-vous réellement que vous soyez des hommes?” “Oh, non, quand on les domine avec tant d’energie, il est impossible d’être de leur race.” “Elle a raison, oui, nous sommes des dieux.”

Come gli eroi di Sade, come Saint-Fond, come Clairwill, come l’incredibile Minski, Marcueil non è Surmâle soltanto per il suo eccezionale vigore sessuale, ma anche perché, attraverso l’esplosione di un’infinita energia, egli fa in sé l’esperienza della morte di Dio e si abbandona per un attimo all’orgoglio incontenibile di essere il primo esemplare di una razza nuova, l’uomo post deum mortuum di cui parla, nei Demoni, Kirìlov quando dice: “la storia sarà divisa in due parti: dal gorilla fino alla distruzione di Dio, e dalla distruzione di Dio fino alla trasformazione fisica della terra e dell’uomo.” Quando Bathybius entra nella stanza in cui si è svolto il parodistico superamento dei limiti delle forze umane, un tale abisso separa Marcueil da “quella creatura vestita, canuta e con una barba scimmiesca”, che egli lo saluta come un dio saluterebbe un comune mortale: “Chi sei, essere umano?”. E questa sovrana integralità dell’Energia sta anche al fondo della passione di Marcueil per l’infinito numerico, simile al furore che muove i personaggi di Sade verso le loro vittime, come se la loro riduzione a numero fosse una delle forme principali della voluttà dei carnefici: “Rien n’amuse, rien n’échauffe la tête comme le grand nombre.”

L’uomo integrale dell’Energia è l’uomo-dio della tecnica, l’uomo che nel massacro divino scopre la sua infinità e pensa coerentemente la propria essenza a partire dalla nuova prospettiva che l’assenza di dèi gli rivela.

Nella sua aspirazione a nascondersi per sopravvivere, Marcueil non sarebbe allora altro che una specie di negativo del Superman della tecnica, e, nell’insolenza del suo riso, suonerebbe l’antica pretesa titanica al potere celeste degli dèi.

Ma la verità di Marcueil è veramente: Homo est Dens? O non sarebbe piuttosto vero il contrario, e, cioè, che, pur compiendo un’esperienza titanica, Marcueil fa segno in una direzione opposta a quella verso la quale la tecnica muove insensibilmente l’uomo e il suo mondo?

Il mito del Superuomo, dell’uomo che supera i confini che gli sono stati assegnati dal dio per usurparne il potere, ha sempre accompagnato il destino dell’occidente come una delle sue tentazioni più insidiose. L’esordio greco l’aveva già prefigurato nell’assalto al cielo dei figli della terra, i Titani, incitati da Gea a rovesciare il regno di Zeus per restaurare l’età dell’oro. Per tutto il Medio Evo fino alla soglia dell’età moderna, il sogno titanico prosegue nell’aspirazione dell’alchimia (la cui comunità di essenza con la tecnica moderna resta ancora da interrogare) a sostituire una creatio hominis alla creatio dei. La morte e la resurrezione dell’adepto, proiettate simbolicamente in una serie di operazioni materiali, è l’Opera attraverso la quale l’uomo, ponendosi come autore di se stesso, verifica la profezia del serpente: eritis sicut dii. In questo senso, la leggenda popolare di Faust interpreta abbastanza esattamente la figura dell’alchimista come simia dei.

Il mito titanico torna alla luce nell’esplosione romantica: e il Melmoth di Maturin, che un patto diabolico condanna a vagare perennemente al limite dell’umano e del sovrumano, è il doppio infernale del Faust goethiano, nel quale la leggenda medievale si allarga in un grandioso sforzo di conciliazione delle sorti dell’occidente.

Dopo la prima guerra mondiale, il mito del Superuomo entra nella cultura di massa con il cinema espressionista: con una deduzione che era già stata di Sade, l’impero del crimine è ora il segno del passaggio – non più individuale, ma collettivo – dell’uomo al di là di se stesso. Il direttore del manicomio, nel film di Wiene, sul quale incombe l’ossessionante imperativo: du musst Caligari werden!, e il Mabuse di Lang, che vuole istituire sulla terra un impero del male, sono entrambi un simbolo dell’uomo faustiano che si prepara ad assumere la sua responsabilità planetaria.

Con l’apparizione di Superman, il mito del Superuomo conosce una svolta essenziale, che costituisce forse il solo fatto interessante – proprio perché involontario – di questa mediocre invenzione della cultura di massa. Fino a lui, l’uscita dell’uomo dai limiti assegnati dal dio, era sempre stata presentata come un’operazione diabolica: la rivolta titanica contro la divinità era, anzi, il male per eccellenza. La grande novità di Superman è che i suoi poteri sovrumani sono presentati come un fatto moralmente buono e desiderabile. Tra Caligari e Superman, in questo senso, corrono molto più dei pochi decenni che cronologicamente li separano; nell’intervallo, Dio è definitivamente morto anche per le masse e la tecnica ha definitivamente preso su di sé la cura del destino dell’uomo: non c’è più nessun Dio contro il quale ribellarsi. Superman (e se i benpensanti se ne rendessero conto, questo campione del bene apparirebbe allora quale sarebbe apparso in ogni altra epoca: la bestemmia per eccellenza) si muove nello spazio vuoto di dèi: questo ingenuo assertore della morale del bene e del male è, invece, il più radicale dei nihilisti. Egli è veramente il Superuomo, l’uomo che è uscito dai limiti dell’umano per occupare la sfera metafisica del dio.

Come Superman, anche Marcueil è uscito dai limiti dell’umano, o, almeno, come ironicamente dice egli stesso, delle “forze umane”. Ma questo passaggio al di là dell’uomo si è compiuto altrimenti che come invasione della sfera del dio. Marcueil non è più il vecchio uomo ma non è nemmeno l’uomo-dio. Il personaggio che, nel romanzo di Jarry, rappresenta l’usurpazione titanica della tecnica, è William Elson, l’inventore di quell’Alimento per il Moto Perpetuo che, nel suo stesso nome, ricorda il vecchio sogno della costruzione di una macchina che, vincendo le leggi divine della materia, elevasse l’uomo al rango rivale di creatore.

Quanto a Marcueil, se la prossimità col divino lo minaccia, questo destino è sentito piuttosto come una condanna che come una vittoria: come Kirìllov, egli potrebbe dire: “Io non sono dio altro che per forza e sono infelice perché sono obbligato ad affermare l’arbitrio.” Mentre gli dèi si ritraggono, anche Marcueil compie il rivolgimento estremo e lega il suo destino a quello della terra; ma, pure diviso dagli dèi, egli conserva ad essi una strana fedeltà. È un traditore, ma un traditore di specie sacra. A differenza dell’uomo-dio della tecnica, egli sente quel che vi sia di tremendo e insieme di sordido nel passaggio dell’uomo al di là dell’umano, e porta questa coscienza fino al limite estremo del dolore e della disperazione: in questo momento, come dice Hölderlin, “l’uomo e il dio comunicano nella forma, dimentica di tutto, dell’infedeltà”.

Nel mito greco, la rivolta titanica è domata grazie all’intervento di una figura né divina né umana: Eracle, il semidio. Come Eracle, anche Marcueil si muove nella terra di nessuno fra gli uomini e gli dèi, e, a prezzo di questo esilio, rasentando di continuo l’abisso titanico e di continuo rifiutandolo, mantiene con gli dèi un rapporto sacro. Il mondo titanico è quello di William Elson e di Bathybius, che, alla fine, prevarranno, almeno apparentemente, sul Surmâle, riuscendo a collegarne l’organismo con una dinamo gigantesca destinata a uniformare la sua inesauribile energia ai fini “umanitari” della tecnica. E, all’uomo-dio della tecnica, questo povero Surmâle della patafisica non potrà opporre altro che il suo cadavere distorto con il ferro, il suo nudo corpo torturato di uomo.

In questa estrema fedeltà al suo fato, l’uomo che ridendo ha preso coscienza della sua condizione disperata, testimonia dell’insolita parola del filosofo che aveva pensato con la più alta responsabilità il problema del destino dell’occidente dopo la morte di dio:

“Ci sono, in generale, delle buone ragioni di supporre che, per molte cose, gli dèi farebbero bene a venire a imparare da noi uomini. Noi uomini, noi siamo – più umani.”

GIORGIO AGAMBEN

1 Hegel: Fenomenologia dello Spirito.

INDICE

Prefazione

di Sebastiano Vassalli

La maniglia all’incanto

Il cuore né a sinistra né a destra

È una femmina, ma è molto robusto

Un soldo di donna

La corsa delle diecimila miglia

L’alibi

Tra signore sole

L’ovulo

L’Indiano tanto celebrato da Teofrasto

Chi sei, essere umano?

E più

O bell’usignoletto

La scoperta della donna

La macchina innamorata

Jarry o la divinità del riso

di Giorgio Agambeu

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