Ma non per questo era meno bella. Passarono nel gran salone degli specchi e lì cenarono, serviti a tavola dagli ufficiali della Principessa. Gli oboè e i violini suonarono delle sinfonie vecchissime, ma sempre belle, quantunque fosse quasi cent’anni che nessuno pensava più a suonarle: e dopo cena, senza metter tempo in mezzo, il grande elemosiniere li maritò nella cappella di corte, e la dama d’onore tirò le cortine del parato.
Dormirono poco. La Principessa non ne aveva un gran bisogno, e il Principe, appena fece giorno, la lasciò per ritornare in città, dove il padre suo stava in pensiero per lui. Il Principe gli dette a intendere che, nell’andare a caccia, s’era sperso in una foresta e che aveva dormito nella capanna d’un carbonaio, dove aveva mangiato del pan nero e un po’ di formaggio.
Quel buon uomo di suo padre, che era proprio un buon uomo, ci credé: ma non fu così di sua madre, la quale, vedendo che il figliuolo andava quasi tutti i giorni a caccia e che aveva sempre degli ammennicoli pronti per giustificarsi, tutte le volte che gli accadeva di passare tre o quattro nottate fuori di casa, finì col mettersi in capo che ci doveva essere di mezzo qualche amoretto. Perché bisogna sapere che egli passò più di due anni insieme colla Principessa, e ne ebbe due figli; di cui il maggiore, che era una femmina, si chiamava Aurora, e il secondo che era maschio, fu chiamato Giorno, comecché promettesse di essere anche più bello della sorella.
La Regina si provò più volte a interrogare il figlio, e a metterlo su per levargli di sotto qualche parola: dicendogli che in questo mondo ognuno è padrone di fare il piacer suo: ma egli non si arrisicò mai a confidarle il segreto del suo cuore. Voleva bene a sua madre; ma ne aveva paura, perché essa veniva da una famiglia d’orchi, e il Re s’era indotto a sposarla unicamente a cagione delle sue grandi ricchezze.
Anzi c’era in corte la diceria che ella avesse tutti gli istinti dell’orco; e che, quando vedeva passare dei ragazzetti, facesse sopra di sé degli sforzi inauditi per trattenersi dalla voglia di avventarsi su di essi e di mangiarseli vivi vivi.
Ecco perché il Principe non volle mai dir nulla dei suoi segreti.
Ma quando il Re morì, e questo accadde due anni dopo, e che egli diventò il padrone del regno, fece subito bandire pubblicamente il suo matrimonio e andò con grande scialo a prendere la Regina sua moglie al castello. Le fu preparato un solenne ingresso nella capitale del Regno, dov’ella entrò in mezzo ai suoi due figli.
Di lì a poco tempo il Re andò a far la guerra al Re Cantalabutta, suo vicino.
Lasciò la reggenza del Regno alla Regina sua madre, e le raccomandò tanto e poi tanto la moglie e i figliuoli suoi.
Si contava che egli dovesse restare alla guerra tutta l’estate, che appena fu partito la Regina mandò la nuora e i suoi ragazzi in una casa in mezzo ai boschi, per poter meglio soddisfare le sue orribili voglie. Dopo qualche giorno, vi andò essa pure, e una tal sera disse al suo capo cuoco:
“Domani a pranzo voglio mangiare la piccola Aurora”.
“Ah, signora!”, esclamò il cuoco.
“Voglio così”, rispose la Regina; e lo disse col tono di voce d’un’orchessa, che ha proprio voglia di mangiare della carne viva.
“E la voglio mangiare in salsa piccante.” Quel pover’uomo del cuoco, vedendo che con un’orchessa c’era poco da scherzare,
prese una grossa coltella e salì su nella camera della piccola Aurora.
Ella aveva allora quattr’anni appena, e corse saltellando e ridendo a gettarglisi al collo e a chiedergli delle chicche. Egli si mise a piangere, la coltella gli cascò di mano e andò giù nella corte a sgozzare un agnellino, e lo cucinò con una salsa così buona, che la sua padrona ebbe a dire di non aver mai mangiato una cosa così squisita in tempo di vita sua.
In quello stesso tempo esso aveva portato via la piccola Aurora e l’aveva data in custodia alla sua moglie, perché la nascondesse nel quartierino di sua abitazione in fondo al cortile.
Otto giorno dopo quella strega della Regina disse al suo capo cuoco:
“Voglio mangiare a cena il piccolo Giorno”.
Egli non rispose né sì né no, risoluto com’era a farle lo stesso tiro della volta passata. Andò a cercare il piccolo Giorno, e lo trovò con una spada in mano, che tirava di scherma con una grossa scimmia: eppure non aveva più di tre anni. Lo prese e lo portò alla sua moglie, la quale lo nascose insieme colla piccola Aurora: e in luogo del fanciullo, servì in tavola un caprettino di latte, che l’orchessa trovò delizioso.
Fin lì le cose erano andate bene; ma una sera la malvagia Regina disse al cuoco:
“Voglio mangiare la Regina, cucinata colla stessa salsa de’ suoi figliuoli”.
Fu allora che il povero cuoco sentì cascarsi le braccia, perché non sapeva proprio come fare a ingannarla per la terza volta.
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