- Volevi o non volevi vedermi posare? Un’altra volta starò attenta a non mettermi più con le figlie di famiglia. Nello studio tutti i vetri erano spalancati e le tende aperte, e mentre aspettavano Barbetta, sbucò dalla scala la vecchia serva per tenerle d’occhio. Ginia si chiedeva dove si sarebbe messa Amelia per posare, ma Amelia discuteva già con la vecchia e le fece chiudere i vetri perché l’aria del mattino rinfrescava la stanza. La donna non parlava ma borbottava, e aveva una faccia così muffita e pelosa che Amelia le rideva sotto il naso.
Venne finalmente Barbetta infilandosi il camicione e cominciò a tempestare e trasportarono il cavalletto in fondo allo studio e comparve la tavolozza. C’era là in fondo un sofà-letto, e chiusero tutte le tende tranne l’ultima, in modo che la luce pioveva tutta su quell’angolo. Ginia nel trambusto si sentiva di troppo, e le pareva che anche la vecchia la guardasse per traverso.
Quando la vecchia se ne andò, Amelia si stava spogliando vicino al sofà e Ginia si mise a guardare la grossa mano di Barbetta che, tenendo un carboncino leggero tra le dita, anneriva sul cavalletto il fondo di una carta biancastra. Barbetta, senza guardarla, le disse di sedersi, e si sentì la voce di Amelia. Ginia guardò dalla finestra sui tetti, come posasse un altra volta, e pensò ch’era ben sciocca. Fece uno sforzo e si voltò.
La prima idea fu che Amelia doveva aver freddo e che Barbetta la guardava appena, e che l’incomodo vero era lei sola, venuta per curiosità. Amelia - bruna com era - pareva sporca, e faceva pena vederla. Se ne stava seduta sul sofà, con le braccia sulla spalliera di una seggiola e la faccia nascosta, e mostrava bene la gamba dall’anca al tallone e tutto il fianco e l’ascella.
Dopo un po’, Ginia s’annoiava. Guardava Barbetta cancellare e rifare, gli vedeva la fronte concentrata, scambiò un sorriso con Amelia, ma s’annoiava. Le tornò il batticuore quando Amelia si alzò la prima volta stirandosi e raccolse le mutandine cadute dal sofà, ma era un batticuore stupido che avrebbe provato lo stesso anche se fossero state sole il batticuore di accorgersi che tutte siamo fatte uguali e che chiunque avesse visto nuda Amelia, era come vedesse lei. Cominciò a non più star ferma.
Dalla testa appoggiata sul braccio Amelia le disse: - Ciao Ginia -. Bastò questo per farle piacere e calmarla. S’era accorta un momento prima che Amelia aveva le caviglie arrossate, e pensò se anche lei, dovendosi spogliare, avrebbe avuto quei segni. «Io ho la pelle più giovane», disse. Po chiese forte: - Ti ha mai fatta a colori?
Le rispose Barbetta: - I colori non si studiano. Entrano dalla finestra col sole. Non ci sono colori qua dentro. Si capisce - disse Amelia, - è troppo avaro. Costan cari, i colori. - Fa’ il piacere - gridò il vecchio, - è che il colore va rispettato, e tu non sai neanche che cosa sia perché, tolto quel trucco, non sai di niente. Ne ha di più questa biondina -. Amelia alzò le spalle e non mosse la testa.
Poi si sentì una sirena chi sa dove, di là dai tetti, e Ginia cominciò a passeggiare e ritrovò alla finestra quei suoi ritratti ma non osava chiederli. Sfogliandoli, rivide quelli di Amelia e piano piano li confrontava, e si chiedeva se proprio Amelia aveva preso quelle pose che sembravano, qualcuna, di ginnastica. Possibile che un vecchio come Barbetta si divertisse ancora a copiare le ragazze e studiare com’erano fatte? Era anche lui ben preso, pensava.
Uscirono dopo mezzogiorno, e faceva piacere ritrovarsi in mezzo alla gente e camminare tutte vestite e vedere i bel colori della strada che, non si capiva come, ma era vero che venivano dal sole se di notte non c’erano. Anche il nervoso di Amelia era passato e le pagò l’aperitivo, e di pittori non parlò più.
Ginia ci pensò un pezzo, sola sul suo sofà, quel pomeriggio e altri ancora. Rivedeva nel buio il ventre nero di Amelia e quella faccia indifferente e le mammelle che pendevano. Non c’era forse di più da dipingere in una donna vestita? Se i pittori le volevano far nude, dovevano avere altri scopi.
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