Ginia si sporse e vide Guido che appoggiato al tavolo ascoltava.
- Si può? - disse piano, ma non la sentirono: Guido, in camicia grigio-verde le sembrava un operaio. Le posò gli occhi addosso senza vederla.
- Cercavo Amelia, - disse Ginia con un filo di voce.
Allora cessò la voce di Rodrigues, e Ginia lo vide sul sofà con un ginocchio tra le mani, fermo a guardare.
- Non c’è Amelia?
- Questo non è mica il caffè, - disse Rodrigues.
Ginia guardava Guido e si fermò. Lo vide poggiare le mani dietro la schiena sul tavolo, e far gli occhi piccini. - Una volta non venivano, tutte queste ragazze, - disse. - Sei tu che le attiri?
Allora Ginia abbassò la testa e capì dalla voce che Guido non era arrabbiato. - Vieni avanti, - le dissero, - non fare la scema.
Quel pomeriggio fu il più bello che Ginia avesse mai passato. Aveva solo paura che arrivasse Amelia e ne dicesse delle sue, ma il tempo passava e Guido e Rodrigues discutevano sempre e ogni tanto Guido la guardava ridendo e le diceva di dare anche lei del fesso a Rodrigues. Era una discussione di pittura e Guido parlava con furia e diceva che i colori sono colori. Rodrigues, tenendosi in mano il ginocchio, s’impuntava e alle volte stava zitto o rideva come un galletto, maligno. Non si capiva il discorso ma Guido, quando diceva qualcosa, faceva piacere sentirlo. Aveva una voce scattante, e a fissarlo negli occhi Ginia teneva il fiato.
Fuori, sui tetti, faceva ancora un po di sole e Ginia seduta vicino alla finestra girava lo sguardo dal cielo a quei due, e vedeva in fondo il tendone granata e pensava che sarebbe stato bello, nascosta là dietro a insaputa di tutti, spiare qualcuno che si credesse solo nella stanza. In quel momento Guido disse: - Fa freddo. Ce n’è ancora del tè?
- C’è tè e fornello. Solo mancano le paste.
- Oggi ce lo prepara Ginetta, - disse Guido, voltandosi. - Dietro la tenda c’è il fornello.
- Sarebbe meglio se andasse a comprarci i biscotti, disse Rodrigues.
- Niente affatto, - rispose Ginia. - Vada lei che è un uomo.
E mentre i due si rimettevano a parlare, Ginia cercò la macchinetta a spirito, dietro la tenda, e le tazze e la scatola. Messa l’acqua a bollire, risciacquò le tazze al lavandino, nel buio della tenda appena rischiarato dalla fiammella Si sentiva le due voci alle spalle; le pareva di esser sola in quell’angolo come in una casa vuota, e di avere una gran calma intorno per raccogliersi e pensare. S’intravedeva appena, in quella luce, il letto sfatto, in quello stretto corridoio fra il muro e la tenda. Ginia s’immaginò Amelia distesa là sopra.
Quando uscì fuori, s’accorse che la guardavano incuriositi. Ginia s’era già tolto il cappello, rigettò indietro la testa e prese un gran piatto sulla finestra, tutto chiazzato di colori come una tavolozza. Ma Guido capì a volo, cercò tra le casse e gliene tese uno pulito. Su questo piatto Ginia posò le tazzine ancor umide, poi tornò al suo fornello e gettò il tè.
Mentre bevevano, Guido le raccontò che quelle tazze erano un regalo di una ragazza come lei, che veniva a trovarlo per farsi fare il ritratto - E dov’è questo ritratto? - chiese Ginia. - Non era mica una modella, - disse Guido ridendo.
- Starà molto tempo soldato? - disse Ginia, bevendo il suo tè adagio.
- Con dispiacere di Rodrigues fra un mese sarò libero, - rispose Guido. E poi disse: - Dunque non sei più offesa?
Ginia fece appena in tempo a torcere la bocca, e a sorridere adagio, scuotendo la testa.
- Allora diamoci del tu, - disse Guido.
Dopo cena, specialmente, fu bello. Amelia, che passò a prenderla a casa, era anche lei allegra, - perché quando è festa e la gente non fa niente, - diceva, - sono felice -. Andarono insieme a spasso, scherzando come due sceme. - Dove sei stata oggi? - chiese a Ginia camminando. Niente di speciale, - disse Ginia, - andiamo a ballare in collina? - Non è più estate, sai, c’è troppo fango -. Si trovarono, come d’incanto, nella via dello studio. - Non ci vengo lassù, - disse Ginia, - basta coi tuoi pittori.
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