Gli anziani, nei
rifugi, non si occupavano affatto di loro, e i celibi si mantenevano sul loro
territorio, cosicché le piccole foche giocavano a loro piacere.
Quando Matkah tornava dalla pesca in alto mare, si dirigeva diritta al campo
dei loro giochi e chiamava, come una pecora chiama il suo agnellino, e aspettava, finché non udiva Kotick rispondere belando. Allora prendeva la via
più diretta, colpendo a sua volta colle pinne davanti, e rovesciando a destra
e a sinistra le giovani foche. C’era sempre qualche centinaio di madri che
cercavano i loro figli in mezzo al campo dei giochi, e i piccoli erano tenuti
svegli; ma, come diceva Matkah a Kotick: Finché tu non ti tuffi nell’acqua
fangosa e prendi la rogna e ti strofini la sabbia ruvida sui tagli o sulle
scorticature, finché non vai a nuotare quando il mare è grosso, non ti può
capitare alcun male qui.
Le piccole foche non sanno nuotare, come non sanno nuotare i bambini, ma non
sono contente finché non hanno imparato. La prima volta che Kotick scese in
mare, una ondata lo portò lontano dove non toccava più fondo: la sua grossa
testa sprofondò e le piccole pinne posteriori si sollevarono, proprio come gli
aveva detto la mamma nella sua canzone, e se l’ondata seguente non l’avesse
rigettato sulla spiaggia, sarebbe annegato.
Dopo quella volta imparò a stendersi dentro una pozza della spiaggia, e a lasciare che il riflusso delle onde lo coprisse appena e lo sollevasse mentre
egli batteva le pinne; ma stava sempre con gli occhi ben aperti per schivare
le grosse ondate che potessero fargli male. Gli ci vollero due settimane per
imparare ad adoperare le pinne, e durante tutto questo tempo non fece altro
che andare e venire dalla spiaggia al mare, dentro e fuori l’acqua, e tossire
e brontolare e arrampicarsi su per la spiaggia e fare dei sonnellini sulla
sabbia come un gatto, e ridiscendere in mare, finché finalmente si accorse che
l’acqua era veramente il suo elemento indispensabile.
Allora potete immaginarvi il divertimento che si prendeva con i compagni a
tuffarsi sotto i flutti o a lasciarsi trasportare sulla cresta dei marosi, a
toccar terra in mezzo allo sciacquìo e agli spruzzi, mentre l’ondata, enorme e
turbinosa, saliva a frangersi più in alto sulla spiaggia; o a star ritto sulla
coda, o a grattarsi la testa come facevano gli adulti o a giocar a: Io sono il
Re del Castello, sugli scogli sdrucciolevoli e algosi che affioravano appena
tra il ribollimento della risacca.
Di tanto in tanto scorgeva una pinna sottile come quella di un grosso squalo,
che filava in prossimità della spiaggia, e sapeva che era l’Orca Gladiatrice,
il Grampo, che divora le piccole foche, quando riesce ad acchiapparle, e Kotick filava verso la spiaggia come una freccia, e la pinna si allontanava
lentamente danzando sulle onde come se fosse venuta in cerca di niente.
Verso la fine di ottobre le foche cominciavano a lasciar l’isola di S.
Paolo
per l’alto mare, riunite in famiglie e tribù, e non vi erano più combattimenti
intorno ai rifugi, e i celibi giocavano dove volevano.
L’anno venturo, disse Matkah a Kotick, anche tu sarai un hollehiekie, ma quest’anno devi imparare ad acchiappare il pesce.
Partirono insieme per il Pacifico, e Matkah insegnò a Kotick come si fa a dormire supino sul dorso, colle pinne ripiegate lungo il fianco e il nasino
soltanto fuori dall’acqua. Nessuna culla è così comoda come l’onda lunga del
Pacifico. Quando Kotick si sentì un prurito corrergli su tutta la pelle, Matkah gli disse che aveva imparato a sentir l’acqua, e che quel prurito e
quel formicolio preannunciavano il tempo cattivo e che bisognava nuotare di
buona lena e allontanarsi.
Tra poco, essa disse, saprai in che direzione nuotare, ma per ora seguiremo il
Porco di Mare, il Marsuino, che ha molto giudizio.
Una frotta di marsuini si tuffava e nuotava sott’acqua e Kotick li seguì più
rapidamente che poté.
Come fate a sapere la strada? domandò ansando.
Il capo del branco girò gli occhi bianchi e si tuffò. Mi pizzica la coda, giovanotto. Ciò vuol dire che c’è una burrasca dietro. Vieni qua. Quando sei a
sud dell’Acqua Vischiosa (voleva dire l’equatore) e la coda ti pizzica, vuol
dire che c’è burrasca di fronte a te e devi dirigerti a nord. Vieni via!
L’acqua non preannuncia niente di buono qui.
Questa fu una delle moltissime cose che Kotick imparò e non faceva altro che
imparare.
Matkah gli insegnò a seguire il merluzzo e l’ippoglosso lungo i banchi sottomarini, a strappare la motella dal suo buco fra le alghe, a girar intorno
ai rottami delle navi colate a picco, che giacevano a cento tese sott’acqua e
a traversarle rapidamente, diritto come un proiettile, penetrando da un portello e uscendo da un altro dietro i pesci, a danzare sulla cresta delle
onde, quando i lampi saettavano per tutto il cielo, a salutare cortesemente,
agitando la pinna, l’Albatro Codimozzo e il Falco Fregata che volavano nella
direzione del vento, a far salti di tre o quattro piedi fuori dell’acqua, come
un delfino, colle pinne strette ai fianchi e la coda ricurva; a non toccare i
pesci volanti che son tutti lische, a strappare con un morso la spalla d’un
merluzzo in piena velocità, a dieci tese sott’acqua, a non fermarsi mai a guardare una barca o una nave e specialmente una barca a remi. Dopo sei mesi
quello che Kotick non sapeva sulla pesca d’altomare non valeva la pena d’esser
appreso, e per tutto quel tempo non posò mai le pinne sulla terra asciutta.
Un giorno tuttavia, mentre giaceva mezzo addormentato nell’acqua tepida, al
largo dell’isola di Juan Fernandez, si sentì invadere tutto da un senso di
languore e di pigrizia, come accade agli uomini quando la primavera li prende
alle gambe, e gli tornarono in mente le buone spiagge solide di Novastoshnah,
settemila miglia lontano, i giochi dei suoi compagni, l’odore delle alghe, i
muggiti delle foche e le loro battaglie.
In quello stesso istante voltò verso il nord nuotando vigorosamente e, strada
facendo, incontrò dei compagni, a ventine, tutti diretti allo stesso luogo,
che gli dissero: Salute, Kotick.
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