Quanti l'avevano conosciuta e si erano aspettati di vederla spenta e oscurata da una nube sinistra, furono stupiti, perfino allarmati, nel notare come splendesse la sua bellezza e come della sventura e ignominia che l'accompagnavano avesse fatto un'aureola. È forse vero che un osservatore sensibile avrebbe colto qualcosa di squisitamente doloroso nel suo aspetto. La veste, che aveva cucito per l'occasione nel carcere e aveva modellato come le dettava la fantasia, sembrava esprimere, nella foggia audace e pittoresca, l'atteggiamento del suo spirito, l'impavida disperazione del suo stato d'animo. Ma la cosa che attirava tutti gli sguardi e, per così dire, trasfigurava la donna che la portava - sicché tutti, uomini e donne, che conoscevano bene Hester Prynne, furono ora colpiti, quasi la vedessero per la prima volta - era la LETTERA SCARLATTA, fantasticamente ricamata e sfavillante sul suo petto. Aveva l'effetto di un incantesimo, che la sottraeva dai normali contatti con l'umanità per racchiuderla - lei sola - in un'altra sfera.
"È brava con l'ago, questo è sicuro", osservò una delle spettatrici. "Ma, prima di questa sfrontata, c'è mai stata donna che abbia escogitato un tale modo per fare mostra della sua bravura? Ebbene, comari, non sembra una risata in faccia ai nostri bravi magistrati e un menar vanto per quello che, secondo quei degni gentiluomini, è la punizione?"
"Sarebbe bene", borbottò una vecchia che fra tutte aveva il volto più duro, "se strappassimo la ricca veste dalle delicate spalle di madama Hester; quanto alla lettera rossa, che ha cucito in modo così curioso, le regalerò un brandello della mia flanella per i reumatismi, per ricavarne una più adatta!"
"Calma, amiche, calma!", sussurrò la più giovane. "Non fatevi sentire da lei! Non c'è un solo punto di quella lettera ricamata che non le abbia ferito il cuore".
Il tetro banditore fece un gesto con il suo bastone.
"Largo, brava gente, fate largo nel nome del re", gridava. "Lasciate passare e vi prometto che madama Prynne sarà posta là dove tutti, uomini, donne, bambini, potranno vedere la sua splendida veste, da adesso fino all'una del pomeriggio. Benedetta sia la virtuosa colonia del Massachusetts, dove si porta l'iniquità alla luce del sole! Su, madama Hester, vieni a mostrare la tua lettera scarlatta sulla piazza del mercato!"
Nella folla degli spettatori si aprì un varco. Preceduta dal banditore, seguita da un confuso corteo di uomini accigliati e di donne incattivite, Hester Prynne si avviò verso il luogo fissato per il castigo. Una folla di scolaretti entusiasti e curiosi, che poco capivano della vicenda, tranne il fatto che aveva dato loro una mezza vacanza, correvano davanti a lei, volgendosi in continuazione a fissarla in faccia, guardare la bimba che strizzava gli occhi e la lettera ignominiosa sul petto. In quei giorni non c'era molta strada fra la prigione e il mercato, ma, misurato in base all'esperienza del prigioniero, forse era un tragitto di una certa lunghezza: pur altera nel portamento, forse viveva un'agonia a ogni passo di coloro che si accalcavano per vederla, quasi che il suo cuore fosse stato buttato sul selciato perché tutti lo calpestassero con disprezzo. C'è, tuttavia, nella nostra natura un dono provvidenziale, straordinario e parimenti misericordioso, grazie al quale la vittima non conosce l'intensità della sofferenza nel momento della tortura, ma la rivive soltanto con il dolore che la strazierà in seguito. Con passo quasi sereno, perciò, Hester Prynne superò quella parte del castigo e giunse a una specie di palco, all'estremità occidentale della piazza del mercato. Si ergeva quasi sotto il cornicione della prima chiesa di Boston tanto da parere una sua pertinenza.
Quel palco, infatti, costituiva il pezzo di una macchina per supplizi, che oggi, da due o tre generazioni, ha soltanto significato storico e tradizionale fra noi, ma, nei tempi andati, era considerato efficace nel promuovere le virtù civiche quanto la ghigliottina fra i terroristi francesi. Era, in breve, il palco della gogna, e sopra si elevava l'infisso di quello strumento disciplinare, costruito in modo da serrare la testa in una stretta morsa e reggerla esponendola agli sguardi di tutti. Questo congegno di legno e ferro incorporava ed esprimeva la quintessenza stessa dell'ignominia. Non ci può essere oltraggio - ritengo - contro la nostra natura comune, non importa quali siano stati i delitti commessi dall'individuo, nessun oltraggio più plateale che impedire al reo di nascondere il volto per la vergogna, come appunto era lo scopo principale di quella punizione. Nel caso di Hester Prynne, tuttavia, e non infrequentemente in altri casi, la sentenza stabiliva che lei dovesse stare in piedi per un certo tempo sulla piattaforma, ma senza sottoporsi alla stretta intorno al collo e all'imprigionamento della testa - l'esservi assoggettati era la caratteristica più diabolica di quell'orribile congegno. Ben consapevole di quanto doveva fare, ascese i gradini di legno ergendosi davanti alla moltitudine circostante all'altezza della spalla di un uomo.
Se ci fosse stato un papista nella folla dei puritani, forse avrebbe ravvisato in quella bella donna, dalla veste e dal portamento così pittoreschi, con la bimba stretta al petto, il ricordo della maternità divina, che tanti illustri pittori hanno fatto a gara nel rappresentare; qualcosa che gli avrebbe rammentato, ma per contrasto, le sacre immagini della maternità immacolata, il cui frutto avrebbe redento il mondo. Qui nella qualità più sacra della vita umana c'era il marchio del peggiore peccato, con la conseguenza di far sembrare il mondo più cupo per la bellezza di quella donna, e ancora più perduto per la bambina che aveva generato.
La scena non era priva di un certo sgomento panico, quale sempre sgorga alla vista della colpa e della vergogna in un nostro simile, prima che la società diventi così corrotta da sorriderne, invece di rabbrividirne. I testimoni della sventura di Hester Prynne non si erano ancora lasciati alle spalle la semplicità. Erano abbastanza severi da guardarla morire senza un mormorio contro il suo rigore, se tale fosse stato il verdetto, ma non avevano l'insensibilità spietata di un'altra condizione sociale che in uno spettacolo del genere avrebbe trovato soltanto motivo di riso. La propensione a volgere la cosa in ridicolo, se anche fosse serpeggiata, sarebbe stata repressa e sopraffatta dalla presenza solenne di uomini della dignità del governatore e di parecchi suoi consiglieri, di un giudice, di un generale, dei ministri del culto della città, i quali tutti, seduti o in piedi sul balcone della chiesa, guardavano giù verso il palco. Quando personaggi di quel rango potevano partecipare alla scena, senza compromettere la maestà e la dignità del loro grado e del loro ufficio, si può concludere, senza timore di smentite, che l'esecuzione di una sentenza aveva un significato efficace e serio. La folla, infatti, era grave e cupa. L'infelice colpevole sostenne, come meglio non avrebbe potuto nessun'altra donna, il pesante fardello di migliaia di occhi inesorabili, fissi su di lei, puntati sul suo petto. Era quasi intollerabile. Di natura impulsiva e appassionata, si era fortificata per affrontare gli spasimi e le stilettate velenose, se la contumelia pubblica si fosse abbandonata ai peggiori insulti, ma nella solennità composta della gente c'era qualcosa di tanto più terribile che lei avrebbe auspicato di vedere quei volti gravi contorcersi in un ghigno sprezzante. Se la moltitudine fosse esplosa in una risata scrosciante - con la partecipazione di tutti: uomini, donne, bambini con le loro voci acute - Hester Prynne avrebbe forse risposto con un sorriso amaro e sdegnoso.
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