Un attimo prima mi era parso di scorgere Hillyner; ma era scomparso alla velocità del lampo.
«Fermai la macchina: mi trovavo di nuovo nel mio laboratorio, tra i miei utensili e i miei strumenti posati negli stessi posti in cui li avevo lasciati. Scesi barcollando dalla macchina e mi sedetti sul banco.
Solo dopo parecchi minuti riuscii a vincere il tremito che mi scuoteva tutto e a guardarmi attentamente intorno: la stanza era nelle esatte condizioni in cui l'avevo lasciata; avrei potuto benissimo essermi addormentato e aver fatto uno strano sogno.
«E invece no! La macchina era partita dall'angolo sud-est del laboratorio ed era venuta a fermarsi in quello di fronte, di faccia al muro contro il quale voi stessi l'avevate vista; potete così calcolare l'esatta distanza che correva dal prato sul quale ero disceso al piedistallo della sfinge bianca dentro cui i Morlock avevano trasportato la mia macchina.
«Per qualche tempo il mio cervello rimase inattivo; quindi mi alzai e uscii nel corridoio zoppicando, perché il tallone mi faceva ancora male; inoltre mi sentivo sporco. Sul tavolino accanto alla porta vi era una copia della Pall Mall Gazette, e vidi che la data era quella di oggi; allora guardai l'orologio: quasi le otto. Udivo le vostre voci e l'acciottolio dei piatti; esitai: mi sentivo così debole e stanco! Poi fiutai un buon odore di carne, e aprii la porta della sala da pranzo. Il resto lo sapete; mangiai dopo essermi lavato, e adesso sto raccontandovi la mia avventura.
«So perfettamente, — disse dopo una pausa, — che tutto questo vi sembrerà incredibile; per me la sola cosa incredibile consiste nel fatto di trovarmi questa sera in questa vecchia stanza così familiare, di guardare i vostri visi amichevoli e di raccontarvi la mia favolosa avventura.
Il nostro ospite si volse quindi al medico:
— No, non posso pretendere che lei mi creda. Interpreti pure le mie parole come una menzogna... o come una profezia. Dica che nel laboratorio ho fatto un sogno, oppure che ho messo insieme questo romanzo dopo aver meditato sul destino del genere umano. Io vi assicuro che si tratta della verità, ma lei può considerare la mia asserzione come un semplice mezzo per rendere più interessante il mio racconto. Bene: pur considerando inventato tutto quello che vi ho detto, che cosa ne pensate?
Prese in mano la pipa e, secondo una sua vecchia abitudine, cominciò a batterla nervosamente contro la grata del caminetto.
14
Dopo la storia del Viaggiatore del tempo
Dopo un attimo di silenzio, si udì lo scricchiolio delle poltrone e uno scalpicciare di piedi sul tappeto. Distolsi lo sguardo dal volto del Viaggiatore del Tempo per posarlo sul suo uditorio immerso nella penombra, ravvivato solo da qualche macchia di colore. Il medico sembrava assorto nella contemplazione del nostro ospite; il direttore di giornale fissava intensamente la punta del suo sesto sigaro; il giovanotto giocherellava con l'orologio; e gli altri, per quanto mi ricordo, erano immobili.
Il direttore di giornale si alzò in piedi con un sospiro:
— Che peccato che lei non sia uno scrittore di romanzi! — esclamò appoggiando una mano sulla spalla del Viaggiatore del Tempo.
— Non mi crede?
— Be'...
— Infatti, non lo pensavo neppure.
Il Viaggiatore del Tempo si volse verso di noi — Dove sono i fiammiferi? — domandò; poi ne accese uno e parlò al di sopra della pipa, emettendo nuvole di fumo. — Vi ho detto la verità... Io stesso stento a crederla... E tuttavia...
I suoi occhi si posarono con una muta domanda sui fiori bianchi e appassiti posati sul tavolino; poi si guardò la mano che reggeva la pipa, e mi accorsi che stava fissando dei segni semicicatrizzati sulle nocche delle dita.
Il medico sì alzò, si avvicinò alla lampada, ed esaminò i fiori.
— Il gineceo è insolito, — disse.
Lo psicologo si chinò a guardare, e allungò una mano per averne uno.
— Acciderba! — esclamò il giornalista. — L'una meno un quarto. Come faremo ad andare a casa?
— Alla stazione ci sono tutte le vetture che vogliamo, — osservò lo psicologo.
— È una cosa ben strana, — riprese il medico, — ma sono sicuro di non conoscere a che famiglia appartengano questi fiori. Posso tenerli?
Il Viaggiatore del Tempo esitò un attimo; poi rispose repentinamente:
— No davvero.
— Dove li ha presi esattamente?
Il Viaggiatore del Tempo si passò una mano sul capo, poi parlò col tono di chi tenta di seguire un pensiero che vuole sfuggirgli:
— Me li mise in tasca Weena durante il mio viaggio nel tempo. — Si guardò attorno. — Sento una gran confusione in testa, tutto mi sfugge: la stanza, voi, questa stessa atmosfera familiare; tutto ciò è troppo, per la mia memoria. Ho mai costruito una Macchina del Tempo, o il modello di una Macchina del Tempo? Oppure è stato tutto un sogno? Si dice che la vita stessa è un sogno - un ben povero sogno, talvolta -, ma non posso concepirne uno simile. È una pazzia. E da dove è venuto quel sogno? Bisogna che io dia un'occhiata a quella macchina. Se pure c'è.
Afferrò di colpo la lampada e uscì nel corridoio, che si tinse di una luce rossa. Lo seguimmo. Sotto la luce vacillante la macchina si distingueva abbastanza bene: tozza, brutta, posta un po' di traverso; una cosa fatta di ottone, d'ebano, d'avorio e di quarzo trasparente e lucido. Una cosa solida al tocco: allungai una mano e sfiorai una delle parti metalliche.
L'avorio aveva delle macchie scure, e le parti inferiori recavano tracce di erba e di muschio; una delle sbarre di ferro era contorta.
Il Viaggiatore del Tempo posò la lampada sul banco, e fece scorrere la mano sulla sbarra danneggiata.
— Adesso va bene: la storia che vi ho raccontato è vera. Vi chiedo scusa di avervi fatto venire qui al freddo.
Riprese la lampada, e ritornammo tutti nel salotto da fumo senza dire una parola.
Il nostro ospite ci accompagnò quindi nell'atrio, aiutò il direttore di giornale a infilarsi il cappotto. Il medico studiò a lungo il volto del Viaggiatore del Tempo e, con voce alquanto esitante, gli disse che doveva aver lavorato troppo; l'altro rispose con una sonora risata. Lo ricordo ancora dritto sulla soglia del portone spalancato, mentre ci augurava la buona notte.
Presi una vettura insieme col direttore di giornale, il quale si riferì al racconto del nostro amico come a «una menzogna un po' robusta».
1 comment