Sotto la luce vacillante la macchina si distingueva abbastanza bene: tozza, brutta, posta un po' di traverso; una cosa fatta di ottone, d'ebano, d'avorio e di quarzo trasparente e lucido. Una cosa solida al tocco: allungai una mano e sfiorai una delle parti metalliche.
L'avorio aveva delle macchie scure, e le parti inferiori recavano tracce di erba e di muschio; una delle sbarre di ferro era contorta.
Il Viaggiatore del Tempo posò la lampada sul banco, e fece scorrere la mano sulla sbarra danneggiata.
— Adesso va bene: la storia che vi ho raccontato è vera. Vi chiedo scusa di avervi fatto venire qui al freddo.
Riprese la lampada, e ritornammo tutti nel salotto da fumo senza dire una parola.
Il nostro ospite ci accompagnò quindi nell'atrio, aiutò il direttore di giornale a infilarsi il cappotto. Il medico studiò a lungo il volto del Viaggiatore del Tempo e, con voce alquanto esitante, gli disse che doveva aver lavorato troppo; l'altro rispose con una sonora risata. Lo ricordo ancora dritto sulla soglia del portone spalancato, mentre ci augurava la buona notte.
Presi una vettura insieme col direttore di giornale, il quale si riferì al racconto del nostro amico come a «una menzogna un po' robusta». Per quel che mi riguarda, non sapevo a che conclusione arrivare: la storia era talmente fantastica e incredibile, mentre il suo racconto era così convincente e ragionevole!
Rimasi sveglio a pensare quasi tutta la notte e il giorno seguente decisi di tornare a far visita al Viaggiatore del Tempo. Mi fu detto che il mio amico si trovava nel laboratorio, ed essendo molto in confidenza con lui mi diressi senz'altro da quella parte.
La stanza era vuota. Fissai per un poco la Macchina del Tempo, poi allungai la mano a toccare una leva, e a questo mio gesto la tozza e ben concreta massa oscillò come un ramo scosso dal vento. La sua instabilità mi fece trasalire, e corsi con la mente ai giorni in cui, bambino, mi si proibiva di occuparmi di quello che non mi riguardava. Uscii dal laboratorio, e incontrai il Viaggiatore del Tempo nel salotto da fumo: veniva dall'interno della casa e portava sotto un braccio una piccola macchina fotografica e sotto l'altro uno zaino. Quando mi vide, si mise a ridere e sporse verso di me un gomito perché glielo stringessi.
— Sono terribilmente affaccendato, con quella cosa là.
— Ma non è uno scherzo? — chiesi. — Veramente viaggi nel tempo?
— Veramente, te lo assicuro. — Mi fissò con franchezza negli occhi; esitò a parlare e si guardò attorno. — Ti chiedo soltanto mezz'ora, — riprese. — So benissimo perché sei venuto, ed è molto gentile da parte tua. Là ci sono delle riviste; se ti fermi a colazione ti fornirò la prova del mio viaggio: completa e irrefutabile, con campioni e tutto. Vuoi scusarmi, se adesso ti lascio?
Annuii senza tuttavia comprendere l'intero significato delle sue parole; l'amico mi fece un cenno di saluto, e proseguì lungo il corridoio. Udii richiudersi la porta del laboratorio, sedetti su una poltrona, e mi misi a scorrere un giornale; poi mi ricordai di avere alle due un appuntamento con l'editore Richardson, guardai l'orologio, e mi accorsi che sarei arrivato appena in tempo al luogo dell'appuntamento. Mi alzai e uscii dalla stanza per avvertire il mio amico. Mentre appoggiavo la mano sulla maniglia della porta, udii un'esclamazione interrotta bruscamente, un breve suono metallico poi un colpo sordo: aprii la porta, e fui investito da una corrente d'aria; nello stesso tempo percepii un rumore di vetri che si spezzavano sul pavimento. Il Viaggiatore del Tempo non era nella stanza. Mi parve per un attimo di scorgere una figura spettrale seduta su una massa scura che girava vorticosamente tra scintillii metallici, una figura così trasparente, che lasciava vedere dietro di sé il tavolo coperto di fogli da disegno; ma il fantasma svanì mentre mi strofinavo gli occhi. La Macchina del Tempo se n'era andata, e la parete del laboratorio opposta a quella in cui mi trovavo era vuota, salvo una lieve nuvola di polvere. Un pannello di vetro del lucernario doveva essersi appena frantumato e caduto a terra.
Ero in preda a un assurdo senso di stupore: sentivo che doveva essere accaduto qualcosa di insolito, anche se non riuscivo a comprenderne la natura.
Mentre ero in piedi con gli occhi fissi davanti a me, la porta che dava sul giardino si aprì, e apparve la cameriera. Ci guardammo, poi cominciai a raccogliere le idee.
— Il signor... è forse uscito da quella parte? — chiesi.
— No, signore, di là non è uscito nessuno; credevo di trovare qui il mio padrone.
Allora compresi. A costo di deludere il mio amico Richardson, mi fermai in attesa del Viaggiatore del Tempo e di un secondo resoconto forse ancor più strano del primo, corredato dagli esemplari e dalle fotografie che egli avrebbe recato con sé.
Ma ormai temo proprio che dovrò aspettarlo per l'eternità: sono passati tre anni dal giorno che vidi svanire il Viaggiatore del Tempo e, come tutti sanno, non è mai più ritornato.
EPILOGO
Non ci resta ora che chiederci se il nostro amico tornerà, un giorno o l'altro. Può darsi che abbia diretto la sua macchina nel passato, capitando fra pelosi selvaggi bevitori di sangue dell'Età della Pietra, o negli abissi del Mare Cretaceo, oppure tra i grotteschi sauriani, gli enormi bruti a forma di rettile dell'Età Giurassica. Può darsi che in questo momento stia vagando - se così posso esprimermi - lungo qualche scogliera di corallo dell'epoca colitica abitata da plesiosauri, o sulle rive dei solitari laghi salati dell'Età Triassica. O si sarà forse spinto più avanti del nostro tempo, in una delle prossime ere in cui gli uomini siano ancora uomini, pur avendo trovato la risposta agli enigmi propri del nostro tempo e risolto i difficili problemi che oggi ci turbano? Intendo dire nella piena virilità della razza umana: poiché non riesco assolutamente a credere che questi nostri giorni di incerti esperimenti, di teorie frammentarie di mutue discordie, rappresentino il culmine delle conquiste effettuate dall'uomo; questa è, per lo meno, la mia precisa convinzione.
So che il mio amico - la questione era stata discussa fra noi molto tempo prima che la Macchina del Tempo fosse costruita - pensava con una certa tristezza a un progresso dell'umanità, e vedeva nel suo sempre crescente sforzo di civilizzazione soltanto un ammasso di folli conquiste che sarebbe alla fine inevitabilmente ricaduto sui suoi stessi creatori, annientandoli.
Se è così, non ci resta che vivere come se così non fosse.
Ma, per conto mio, il futuro è tuttora qualcosa di molto oscuro e misterioso, una tenebra sterminata, illuminata soltanto in pochi fortuiti punti dal ricordo della sua stessa storia.
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