Chi giura, come ho giurato io, è anche pronto a rompere il giuramento, come sono pronto io.” E subito sentì che la lotta cominciava davvero: ed ebbe tale sgomento che si alzò e andò a guar-darsi allo specchio.

“Ecco, sei qui, segnato da Dio: se tu non ti abbandoni a lui, lo spirito del male ti prenderà irrepa-rabilmente.”

Allora andò barcollando verso il lettuccio, vi si buttò vestito e si mise a piangere. Piangeva piano, per non farsi sentire, per non sentire egli stesso il suo pianto; ma dentro di sé gemeva forte, gridava con tutto il suo cuore.

“Dio, Dio prendetemi; portatemi via.”

E provava un vero sollievo perché gli pareva di essersi abbandonato sopra una tavola di salvezza che lo trasportava attraverso il mare del suo dolore.

Cessata la crisi, riprese a ragionare.

Ecco che adesso tutto gli appariva chiaro, come un paesaggio dalla finestra sotto la luce del sole.

Era prete, credeva in Dio, s’era sposato con la Chiesa, aveva giurato castità: era come un uomo ammogliato, insomma, che non deve tradire la moglie. Perché aveva amato e amava quella donna non sapeva precisamente. Era forse in una età di crisi fisica, verso i ventotto anni; la sua carne addormentata dalla lunga astinenza, o meglio chiusa ancora in una specie di prolungata adolescenza, s’era d’un tratto svegliata e tendeva a quella donna perché era la più affine a lui, anche lei non più giovanissima eppure ancora ignara e priva d’amore, chiusa nella sua casa come in un convento.

Così, in principio era stato un amore larvato di amicizia. Si erano presi in una rete di sorrisi, di sguardi: la stessa impossibilità di amarsi li avvicinava; nessuno sospettava di loro, e loro stessi s’in-contravano senza turbamento, senza paura, senza desiderio: il desiderio però s’infiltrava a poco a poco nel loro amore casto come un’acqua silenziosa sotto un muro che d’un tratto poi marcisce e crolla.

Ma tutte queste cose le pensava lui. Scendendo bene nella sua coscienza trovava la verità: sentiva di aver desiderato la donna fin dal loro primo sguardo: fin dal primo sguardo si erano posseduti.

Tutto il resto era inganno col quale egli tentava giustificarsi ai suoi propri occhi.

Ebbene, era così. Ed egli accettava la verità. Era così; ed era così perché la natura dell’uomo è questa: soffrire, amare, congiungersi, godere, soffrire ancora: fare e ricevere il bene, fare e ricevere il male: questa è la vita dell’uomo. E tutto il suo pensare non gli toglieva un grammo dell’angoscia che gli pesava sul cuore; e adesso intendeva il vero senso di quest’angoscia: era il senso della morte, poiché rinunziando ad amare, a possedere quella donna, era rinunziare alla vita stessa.

Ma poi pensava: “non è vanità anche questa?”. Passato l’attimo del piacere d’amore, lo spirito riprende padronanza di sé, ritorna, anzi si rifugia con più desiderio di solitudine nella prigione del corpo mortale che lo riveste. Perché dunque soffrire per questa solitudine? Non l’aveva accettata e vissuta per tanti anni? I più freschi della sua vita? - Anche se potessi fuggire davvero con Agnese, e sposarla, resterei egualmente solo entro di me…

13

Eppure il solo pronunziare il nome di lei, la sola idea della possibilità di vivere con lei, lo fecero balzare fremendo: ed ecco di nuovo sentì la donna lunga distesa accanto a lui: gli parve di stringerla, fresca e liscia come un giunco, le parlò sul collo tiepido, sui capelli sciolti che odoravano un po’

caldi e un po’ selvaggi come la chioma dello zafferano. E le disse, mordendo il guanciale, tutti i versetti del Cantico dei Cantici, e quando questi furono finiti le disse che sarebbe tornato a lei il giorno dopo, e che era felice di dar dolore a sua madre e a Dio, e di aver giurato, e d’essersi abbandonato al rimorso, alla superstizione, al terrore, per rompere tutto e tornare a lei.

Poi di nuovo riprese a ragionare.

Come il malato si contenta di conoscere almeno la diagnosi del suo male, egli si sarebbe contenta-to di sapere almeno perché gli accadeva tutto questo. Volle anche lui rifare tutta la strada della sua vita come la madre.

Il rumore del vento accompagnava i suoi ricordi più lontani e più vaghi. Si rivedeva in un cortile, dove, non sapeva; forse il cortile della casa dove serviva la madre; arrampicato al muro con altri bambini. Il muro era tempestato di pezzetti di vetro acuti come punte di pugnale: ciò non impediva ai ragazzi di affacciarvisi, anche se si tagliavano le mani; anzi provavano un certo gusto a ferirsi, e si mostravano il sangue l’uno con l’altro, poi se lo asciugavano sotto l’ascella, immaginandosi che così nessuno si accorgerebbe delle loro ferite. Dal muro essi vedevano solo la strada, nella quale erano liberi di andare: ma amavano arrampicarsi sul muro perché ciò era proibito; e si divertivano a buttare sassi sulle poche persone che passavano, nascondendosi poi, fra il gusto della prodezza commessa e la paura di venire scoperti. Una ragazzina storpia e sordomuta sedeva ai piedi della le-gnaia, in fondo al cortile; e di laggiù li guardava con due grandi occhi scuri, supplichevoli e severi: i ragazzi avevano paura di lei, ma non osavano molestarla, anzi abbassavano la voce come s’ella avesse potuto sentirli, e a volte la invitavano a giocare con loro.