È vero però che quelli non erano cosí enormi.

- Quando è fermo è difficile colpirlo mortalmente.

- E perché?

- Perché allora le pieghe che servono come di cerniere alla sua corazza, sono aderenti le une alle altre ed impediscono alle palle di penetrare ben dentro.

Quando è in marcia invece si spostano, lasciando scoperto il tessuto sottostante e allora vi sono maggiori probabilità di toccarlo nella carne viva.

- Lasciamo che vada a farsi uccidere altrove e cerchiamo di raggiungere le rovine di quella pagoda.

Dietro a quelle colonne ed a quelle pareti, saremo al riparo dalle cariche di quell'animalaccio e potremo fucilarlo con nostro comodo.

- Purché non s'accorga della nostra manovra.

- Finché non ci mostreremo non si muoverà, lo vedrai, - rispose Tremal-Naik.

Tornarono verso Sandokan, il quale stava consigliandosi coi suoi malesi sul da farsi, non volendo esporre le due donne ad una carica del pachiderma.

La proposta di Tremal-Naik fu subito approvata. Essendo quella parte della riva cosparsa di macerie e di enormi blocchi di pietra, il rinoceronte non poteva spiegare la sua agilità e la sua violenza.

Dopo essersi accertati che il mostro non aveva cambiato posizione, si gettarono in mezzo ai canneti, spostandosi senza far rumore e girarono attorno allo stagno.

Già non distavano dalle rovine che un centinaio di passi quando udirono un niff! niff! acuto come lo squillo d'una tromba, poi un galoppo pesante che faceva tremare il suolo.

Il pachiderma si era slanciato verso la jungla, là dove supponeva che si nascondessero i suoi avversari.

Yanez aveva preso per un braccio Surama, gridando:

- Di corsa! Ci piomba alle spalle!

Il rinoceronte, guidato da quel comando cosí inopportunamente dato, invece di precipitarsi verso il sentiero da lui poco prima aperto, aveva fatto un brusco volta faccia, scagliandosi là dove scorgeva i bambú oscillare.

Pareva un treno lanciato a tutto vapore attraverso alla jungla.

Le immense canne, spezzate come se fossero fuscelli di paglia, cadevano dinanzi a lui come falciate, mentre col corno sfondava gli ammassi intricati dei calami.

Le due donne e i pirati si erano lanciati a corsa disperata.

In pochi minuti raggiunsero la rovina, salvandosi dietro le colonne e gli enormi blocchi di granito.

Il rinoceronte sbucava in quel momento fra le canne e caricava colla testa rasente al suolo e il corno teso.

Yanez e Sandokan, che si erano rifugiiati su un muricciolo che un tempo doveva essere stato un lembo di cinta, vedendoselo dinanzi, fecero fuoco simultaneamente, quasi a bruciapelo.

Il colosso, ferito in qualche piega, s'inalberò come un cavallo che riceve una terribile speronata, poi riprese subito la corsa contro il muricciolo, il quale, già screpolato, non resse a quell'urto poderoso.

I mattoni si sfasciarono di colpo ed i due pirati rotolarono in mezzo alle macerie a gambe levate.

Tremal-Naik che si trovava su un enorme blocco di pietre assieme a Surama e alla vedova, aveva mandato un urlo di terrore, credendoli perduti, a cui aveva fatto subito eco un muggito terribile.

Il rinoceronte era stramazzato al suolo agitando disperatamente le massicce zampe deretane, dai cui tendini recisi sfuggivano flotti di sangue.

- È nostro! - aveva gridato una voce.

Quasi nel medesimo istante uno dei malesi che teneva in pugno un parang gocciolante di sangue, era balzato fra i rottami, accorrendo in aiuto della Tigre della Malesia e del portoghese.

Quel coraggioso, vedendo i suoi capi in pericolo, aveva assalito l'animale per di dietro e colla sua pesante sciabola gli aveva troncati di colpo i tendini delle gambe posteriori, producendogli due ferite che dovevano farlo in breve soccombere.

Infatti l'animale era subito caduto mandando un urlo spaventevole, ma tosto si rialzò. Quel momento però era stato bastante a Sandokan, a Yanez e anche al malese per mettersi in salvo su un masso colossale.

Per di piú i loro compagni avevano a loro volta fatto fuoco.

Il colosso, ferito in piú parti, colle gambe rovinate, girò tre o quattro volte su se stesso come se fosse impazzito, mandando clamori assordanti, poi d'un balzo si precipitò nello stagno, lasciando dietro di sé due strisce di sangue.

Cercava nell'acqua un sollievo alle ferite.

Per parecchi minuti si dibatté sollevando delle vere ondate rossastre, poi tentò di tornare verso la riva, e le forze lo tradirono.

Fu veduto sollevarsi un'ultima volta sulle gambe mutilate, poi cadere fra un gruppo di canne, mandando un urlo rauco.

Per alcuni istanti il suo corpaccio fu scosso da sussulti, quindi la massa s'irrigidí, affondando a poco a poco nella melma del fondo.

- Ha esalato l'ultimo respiro, - disse Yanez. - Bruto! Va'!

- Questi animali sono piú temibili delle tigri, - disse Sandokan, che osservava il corpaccio che affondava sempre. - Ha demolito la muraglia come se fosse stata di cartone.

Senza quelle due sciabolate non so come ce la saremmo cavata.

- Il tuo malese gli ha dato il colpo dell'elefante, è vero? - chiese Tremal-Naik.

- Sí, - rispose Sandokan. - Nei nostri paesi i pachidermi si uccidono recidendo loro i tendini delle gambe posteriori. È un metodo piú sicuro e che offre meno pericoli.

- Che peccato perdere il corno!

- Ci tieni ad averlo? La massa non affonda piú e la testa emerge.

- È un superbo trofeo di caccia.

- I nostri uomini s'incaricheranno di andarlo a tagliare. Ci accamperemo qui per un paio d'ore e faremo colazione. Fa troppo caldo per riprendere la marcia.

Essendovi presso le rovine della pagoda alcuni tamarindi che proiettavano una fresca ombra, si recarono là sotto a fare colazione.

I malesi avevano già levato dalle borse i viveri, consistenti in biscotti e carni conservate e banani che avevano raccolti sulla riva del fiume, prima di lasciare la torre dei naufraghi.

Il luogo era pittoresco e l'aria era meno soffocante che nella jungla, quantunque il sole versasse sullo stagno una vera pioggia di fuoco, producendo una evaporizzazione fortissima.

Un silenzio profondo regnava nella vicina jungla. Perfino gli uccelli acquatici, quegli eterni chiacehioroni, tacevano e parevano assopiti da quell'intenso calore.

Solo un gigantesco arghilah, alto quanto un uomo, colla testa calva e rognosa, traforata da due occhietti rotondi e rossi, ed un becco enorme appuntato ad imbuto, passeggiava gravemente sulla riva dello stagno, agitando di quando in quando le sue ali bianche fasciate di nero.

Yanez, Sandokan e Tremal-Naik, terminata la colazione, si erano spinti verso la pagoda osservando con viva curiosità le colonne e le muraglie che portavano numerose iscrizioni in sanscrito e che reggevano ancora delle statue semi-spezzate, raffiguranti elefanti, testuggini e animali fantastici.

- Che un tempo appartenesse ai Thugs? - chiese Yanez che aveva osservato sulla cima d'una colonna una figura che bene o male rassomigliava alla dea Kalí.

- No, - rispose Tremal-Naik. - Doveva essere dedicata a Visnú; vedo su tutte le colonne la figura d'un nano.

- Era un nano quel dio?

- Lo divenne nella sua quinta incarnazione, per reprimere l'orgoglio del gigante Bely che aveva vinto e cacciato gli dei dal sorgon, ossia dal paradiso.

- Un dio famoso il vostro Visnú.

- Il piú venerato dopo Brahma.

- E come ha fatto un nano a vincere un gigante? - chiese Sandokan, ridendo.

- Coll'astuzia. Visnú s'era prefisso di purgare il mondo da tutti gli esseri malvagi e orgogliosi che tormentavano l'umanità.

Dopo d'averne vinti moltissimi, pensò di domare anche Bely che spadroneggiava in cielo e in terra e gli si presentò sotto le forme d'un nano bramino.

- Il gigante in quel momento stava facendo un sacrificio. Visnú gli si rivolse per chiedergli tre passi di terreno onde potersi fabbricare una capanna.

Bely, padrone del mondo intero, rise dell'apparente imbecillità del nano e gli rispose che egli non doveva limitare la domanda a sí lieve cosa.

Visnú però insistette nella sua richiesta, dicendo che per un essere cosí piccolo tre passi di terreno erano sufficienti.

Il gigante glieli accordò e per assicurarlo del dono, gli versò sulle mani dell'acqua. Ma ecco che Visnú acquista subito una grandezza cosí prodigiosa da riempire col suo corpo l'universo intero: misurò la terra con un solo passo, il cielo con un altro e pel terzo intimò al gigante di mantenere la promessa fattargli di donargli ciò che aveva misurato.

Il gigante riconobbe subito Visnú e gli presentò la propria testa, ma il dio, soddisfatto di una tale sommissione lo mandò a governare il Pandalon e gli permise di tornare tutti gli anni sulla terra nel giorno della luna piena di novembre.

- Chissà allora quali eroiche imprese avrà compiuto durante le sue altre incarnazioni, - disse Yanez. - Erano ben bravi gli dei indiani in quelle lontane epoche. Si trasformavano a piacere loro, in giganti e in nani.

- E anche in animali, - disse Tremal-Naik. - Infatti nella sua prima incarnazione, secondo i nostri libri sacri, si tramutò in un pesce per salvare dal diluvio il re di Sattiaviradem e sua moglie...

- Ah! Anche voi ricordate il diluvio.

- I nostri libri sacri ne parlano. Nella seconda incarnazione, in una testuggine per riportare a galla dal mar di latte la montagna Mandraguiti onde trarne l'amurdon ossia il liquore dell'immortalità; nella terza, in un cinghiale per squarciare il ventre al gigante Ereniacsciassen che si divertiva a sconquassare il mondo; nella quarta, in un animale mezzo uomo e mezzo leone per abbattere e bere il sangue del gigante Ereniano; nella quinta, sesta, settima, ottava e nona è sempre uomo.

- Quindi si è tramutato nove volte quel bravo dio, - disse Sandokan.

- Ma nella decima incarnazione, che avverrà alla fine dell'epoca presente, apparirà sotto le forme d'un cavallo con una sciabola in una zampa e uno scudo nell'altra.

- E che cosa verrà a fare? - chiese Yanez.

- I nostri sacerdoti dicono che scenderà sulla terra a distruggere tutti i malvagi. Allora il sole e la luna si oscureranno, il mondo tremerà, le stelle cadranno, ed il gran serpente Adissescien che ora dorme nel mar di latte, vomiterà tanto fuoco da abbruciare tutti i mondi e tutte le creature che li abitano.

- Speriamo di non essere piú vivi, - disse Yanez.

- Ci credi tu, alla discesa di quel terribile cavallo? - chiese Sandokan, con accento scherzevole al bengalese.

Tremal-Naik sorrise senza rispondere e si diresse verso lo stagno, dove i malesi stavano spaccando il muso del rinoceronte per levarne il corno. Dopo non pochi colpi di parangs erano riusciti a tagliarlo.

Misurava un metro e venti e terminava in una punta quasi aguzza, dovuta al continuo sfregamento, servendosene i rinoceronti non solo come arma difensiva, bensí anche per scavare la terra onde mettere allo scoperto certe radici di cui sono ghiotti e che costituiscono il loro principale nutrimento.

Quei corni non sono formati veramente da una sostanza ossea come quelli delle renne, delle alci e dei cervi, bensí da fibre aderenti le une alle altre o meglio, da peli agglutinati da materia cornea, suscettibile però a ricevere una bella pulitura e cosí resistenti da sfidare l'avorio.

Alle quattro pomeridiane, cessato un po' il calore, il drappello lasciava lo stagno e rientrava nella jungla, riprendendo la lotta contro i bambú ed i calami.

Non ebbe però che una breve durata perché qualche ora dopo giungeva finalmente sul sentiero che da Khari va fino alla riva del Gange.

La marcia fu spinta allora con tale rapidità, che poco dopo il tramonto Tremal-Naik giungeva dinanzi al cancello del suo bengalow.

 

 

 

Capitolo XIII

LA MANGIATRICE D'UOMINI

 

Khari è uno dei pochi villaggi che ancora sussistono fra le jungle delle Sunderbunds, resistendo tenacemente alle insidie del cholera e delle febbri maligne e alle visite delle tigri e delle pantere, solo per la ricchezza e prodigiosa fertilità delle risaie, le quali producono in abbondanza il benafuli, quel riso finissimo, lunghissimo, molto bianco e che cuocendo spande un odore graditissimo, assai apprezzato dai bengalesi.

Non è altro che un'accozzaglia di capanne, colle pareti di fango secco e i tetti coperti di foglie di coccotiero, con tre o quattro bengalow di meschina apparenza che non sono quasi mai abitati dai loro proprietari, troppo paurosi delle febbri.

Anche quello di Tremal-Naik non aveva la bella apparenza dei bengalow di Calcutta. Era una vecchia abitazione ad un solo piano, col tetto a punta ed una veranda all'intorno, fatta costruire dal capitano Corishant durante l'aspra guerra mossa ai Thugs di Suyodhana, onde essere piú vicino alle Sunderbunds.

Nel recinto, due mostruosi elefanti, guardati dai loro cornac, consumavano la loro razione della sera, interrompendosi di quando in quando per lanciare dei barriti che facevano tremare le vecchie muraglie dell'abitazione.

Erano di specie diversa, essendovi due razze ben distinte in India: i coomareah che hanno il corpo piú massiccio, le gambe corte e la tromba larga ma che posseggono una forza muscolare straordinaria; i merghee piú alti invece, piú svelti, colla tromba meno grossa e le gambe meno massicce, e che hanno il passo piú rapido.

Sebbene siano inferiori ai primi come robustezza, nondimeno sono i piú apprezzati per la loro velocità.

- Che superbi animali! - esclamarono ad una voce Yanez e Sandokan che si erano fermati nel cortile, mentre i due pachidermi, ad un grido dei loro conduttori, salutavano i nuovi venuti, tenendo le trombe in alto.

- Sí, bellissimi e robusti, - disse Tremal-Naik che li osservava da conoscitore profondo. - Daranno da fare alle tigri delle Sunderbunds.

- Partiremo domani sul dorso di questi giganti? - chiese Yanez.

- Sí, se lo desiderate, - rispose il bengalese. - Tutto deve essere pronto per cominciare la caccia.

- Vi staremo tutti nelle haudah?

- Noi con Surama ne occuperemo una; i malesi l'altra. Darma e Punthy ci seguiranno a piedi.

- Darma! - esclamarono Yanez e Sandokan. - È qui la tua tigre?

Tremal-Naik invece di rispondere mandò un fischio prolungato.

Tosto dalla varanda balzò nel cortile, colla leggerezza d'un gatto, una bellissima tigre reale la quale andò a fregare il suo muso sulle gambe del bengalese.

Yanez e Sandokan, quantunque avessero piú volte udito a parlare della docilità di quella belva, si erano tirati precipitosamente indietro, mentre i loro uomini si salvarono dietro gli elefanti, snudando i loro parangs ed i kampilangs.

Nel medesimo istante un cane tutto nero, alto quanto una jena, che portava un collare di ferro irto di punte aguzze, uscí correndo da una delle tettoie e si mise a saltare intorno al padrone, abbaiando festosamente.

- Ecco i miei amici della jungla nera, - disse Tremal-Naik, accarezzando l'uno e l'altro, - e che diverranno pure anche amici vostri. Non temere Sandokan e nemmeno tu, Yanez. Saluta i prodi di Mompracem, Darma; sono tigri anche loro.

La belva guardò il padrone che le additava Yanez e Sandokan, poi si accostò ai due pirati ondeggiando mollemente la sua lunga coda.

Girò due o tre volte attorno a loro fiutandoli a piú riprese, poi si lasciò accarezzare, manifestando la sua soddisfazione con un rom-rom prolungato.

- È superba, - disse Sandokan. - Non ricordo di averne veduta una di cosí belle e di cosí sviluppate.

- E soprattutto affezionata, - rispose Tremal-Naik. - Mi obbedisce come Punthy.

- Hai due guardie che terranno lontani i Thugs.

- Le conoscono e sanno quanto valgono. Hanno provato nei sotterranei di Rajmangal le unghie dell'una ed i denti d'acciaio del secondo.

- Vanno d'accordo fra loro due? - chiese Yanez.

- Perfettamente, anzi dormono sempre insieme, - rispose Tremal-Naik.