Non ti mancherebbe che un po' di verde sul turbante.
- Credete che i Thugs mi possano riconoscere?
- A menoché non siano diavoli o stregoni, nessuno potrebbe sospettare in te il maharatto di ieri.
- Le precauzioni sono necessarie, signore. Anche stamane ho veduto ronzare attorno alla casa del padrone delle figure sospette.
- Che ti avranno seguito, - disse Sandokan.
- Ho preso le mie precauzioni per far perdere le mie tracce e spero di esserci riuscito. Ho lasciato la casa in un palanchino ben chiuso e mi sono fatto condurre allo Strand, dove vi è sempre una folla straordinaria, scendendo dinanzi a un albergo.
La mia trasformazione l'ho compiuta colà e quando sono uscito nessuno mi ha riconosciuto, nemmeno i servi.
Il fylt' sciarra m'aspettava lontano dallo Strand, sul quai della città nera, quindi nessuno può avermi seguito.
- Bada! I Thugs sono assai furbi e ne abbiamo avuto la prova. Essi ormai sanno che noi siamo amici del tuo padrone e ci sorvegliano.
Il maharatto fece un gesto di spavento e divenne livido.
- È impossibile! - esclamò.
- Hanno già tentato di assassinarci quando uscimmo dal palazzo di Tremal-Naik, - disse Sandokan.
- Voi!
- Bah! Un attacco male riuscito che abbiamo ricambiato con due palle, di cui una non andò perduta. Non è però quell'agguato che in questo momento ci preoccupa. È una visita che ci fu fatta poco fa e che ci ha messo indosso dei gravi sospetti.
È venuto uno stregone, o qualche cosa di simile, a sacrificare una capra...
- Un manti, - disse Yanez.
Kammamuri mandò un grido e impallidí maggiormente.
- Un manti, avete detto! - gridò.
- Lo conosceresti forse? - chiese Sandokan, con inquietudine.
Il maharatto era rimasto muto, guardandoli con gli occhi dilatati da un profondo terrore.
- Orsú, parla, - disse Yanez. - Che cosa significa lo spavento che leggo nel tuo sguardo? Chi è quell'uomo? L'hai veduto anche tu?
- Come era? - chiese Kammamuri con voce strozzata.
- Alto, vecchio, con una lunga barba bianca e due occhi nerissimi e splendenti, che pareva avessero entro la pupilla due carboni.
- È lui! È lui!
- Spiegati.
- È lo stesso che è venuto due volte a casa del mio padrone a compiere la cerimonia del putscie e che ho veduto aggirarsi altre due volte nella via, guardando le nostre finestre. Sí, alto, magro, colla barba bianca e gli occhi fiammeggianti.
- Putscie! - esclamò Sandokan. - Che cosa vuol dire?... Spiegati meglio, Kammamuri; non siamo indiani.
- È una cerimonia che si compie nelle case, in certe epoche, per propiziarsi le divinità, e che consiste nell'aspergere le stanze di orina mista a sterco di mucca([1]), nel gettare fiori di riso entro un secchio d'acqua, e nel bruciare molto burro messo entro lampade disposte intorno al recipiente.
- E il manti l'ha compiuta nella casa del tuo padrone? - chiese Sandokan.
- Sí, quindici giorni or sono, - rispose Kammamuri. - È lo stesso che stamane è venuto qui, ne sono sicuro. Quel miserabile è una spia di Suyodhana.
- Era accompagnato da un policeman indigeno?
- Da un policeman! - esclamò Kammamuri facendo un gesto di stupore. - Da quando in qua la polizia scorta i manti o i bramini nel loro giro? Siete stati doppiamente burlati.
Kammamuri s'aspettava da parte della Tigre della Malesia uno scoppio d'ira, invece il formidabile pirata non perdette un atomo della sua calma, anzi parve piú soddisfatto che malcontento.
- Benissimo, - disse. - Ecco una burla da cui trarremo dei vantaggi inapprezzabili. Riconosceresti ancora quell'uomo, mio bravo Kammamuri?
- Anche fra sei mesi.
- E anch'io. Hai portato le vesti che ti avevo raccomandato?
- Ne ho quattro casse nel fylt' sciarra.
- Che cosa vuoi farne Sandokan? - chiese Yanez.
- Il manti ci dirà se i Thugs sono tornati nella loro antica sede e se la piccola Darma si trova nascosta nei sotterranei di Rajmangal, - rispose la Tigre della Malesia. - Ci era necessario un thug per farlo cantare: lo abbiamo sottomano e per Allah, canterà ben alto.
Si tratta solo di scovarlo e non dispero.
- Calcutta è vasta e popolosa, amico. Sarebbe come trovare un granello perduto in un deserto di sabbia.
- Forse è meno difficile di quello che credete, - disse ad un tratto Kammamuri. - Vi è una pagoda dedicata alla dea Kalí, nella città nera, dove i Thugs bazzicano e dove da tre giorni si festeggia Darma-Ragia e la sua sposa Drobidè. Non sarei sorpreso se ritrovassimo là il manti.
- Sarebbe una grande fortuna, - disse Sandokan. - Quando comincia la festa?
- Alla sera.
- Devi ritornare dal tuo padrone?
- Gli ho detto di non aspettarmi; d'altronde prima di doman mattina egli sarà qui. Ha deciso di rifugiarsi sul vostro praho onde poter meglio agire senza essere spiato.
- Volevo proporglielo. Qui è al sicuro meglio che nel suo palazzo e poi la sua presenza può esserci necessaria.
Andiamo a pranzare poi faremo la nostra toletta, onde il manti non ci possa riconoscere.
Non credevo di aver tanta fortuna in dodici ore. Se il briccone cade nelle nostre mani, daremo il primo scacco all'amico Suyodhana. Ah! E gli elefanti?
- I servi del mio padrone sono già partiti per acquistarli, e fra qualche giorno noi li possederemo.
- È necessario che i Thugs non ci vedano. Potrebbero sospettare la nostra intenzione di recarci nelle jungle del sud.
- Hanno già avuto l'ordine di condurli in un bengalow che appartiene al mio padrone e che si trova nei pressi di Khari, l'ultima borgata delle Sunderbunds.
- Andiamo a pranzare, amici la giornata non è stata perduta.
Capitolo V
LA FESTA DI DARMA-RAGIA
Il sole stava per tramontare dietro le alte cupole delle pagode della città nera, quando la baleniera lasciò il praho, risalendo il fiume sotto la poderosa spinta di otto remi, maneggiati da altrettanti malesi, scelti fra i piú robusti dell'equipaggio.
A poppa stavano seduti Kammamuri, Sandokan e Yanez, tutti tre camuffati da mussulmani kolkari, e Sambigliong, il mastro della Marianna o meglio l'aiutante di campo del formidabile pirata.
Non avevano nessuna arma in vista, ma da un certo rigonfiamento della casacca, si poteva supporre che fossero invece formidabilmente muniti di bocche da fuoco e anche d'armi bianche.
La baleniera, che marciava rapidissima, costeggiò lo Strand della città bianca, ossia inglese, la via piú bella e piú frequentata di Calcutta, che si prolunga fino alla spianata del forte William e che è fiancheggiata da palazzi e da giardini degni di Londra; poi filò dinanzi ai quais dove si seguivano senza posa eleganti palazzine chiamate bengalow, cinte da graziosi giardini, e dopo una buona ora giunse di fronte alla città nera, la black-town.
Mentre la città inglese non ha nulla da invidiare alle piú belle capitali europee, questa non è altro che un ammasso immenso di catapecchie, con pochi monumenti degni della grandiosa architettura indiana che sfolgora invece a Delhi, ad Agra, a Benares ed altrove.
Dalle splendide palazzine inglesi, dai palazzi immensi, dai negozi sfolgoranti di luce, dalle chiese anglicane ai teatri, agli squares della città bianca si passa senza transizione alle capanne miserabili, alle pagode semi-crollanti, ai bazar oscuri e fetenti, alle viuzze luride e fangose.
Tutto è rovina, sporcizia, miseria, nell'antica città indiana. Casupole o capanne, parte di mattoni mal connessi, parte costruite con poche tavole inchiodate alla meglio, che non hanno quasi mai piú d'un piano, si seguono per parecchi chilometri, senza ordine, senza regola alcuna, divise solo da stradicciuole che sono pericolose a percorrersi di sera, nonostante la continua vigilanza dei policeman bianchi e indigeni.
Erano le otto di sera, quando Kammamuri, Yanez, Sandokan e Sambigliong sbarcarono sul quai della città nera, ingombro in quel momento di barche di pescatori e di pinasse provenienti dall'alto corso del Gange.
Quantunque fosse un po' tardi, una certa animazione regnava sulle gettate.
Dalle pinasse sbarcarono numerosi indiani, accorsi probabilmente dai villaggi vicini per assistere alla festa in onore di Darma-Ragia, la quale doveva già essere cominciata, udendosi in lontananza un frastuono assordante di tam-tam, di tamburi di sitar e di mirdeng.
- Arriveremo in tempo per assistere alla danza del fuoco, - disse Kammamuri a Sandokan. - Vi saranno molti piedi scottati questa sera, perché è l'ultima e quindi la piú importante.
Si unirono alla folla sbarcata dalle pinasse che si rovesciava attraverso le viuzze fangose della città, a malapena illuminate da mezze noci di cocco sospese alle finestre delle case, quasi ricolme di olio in cui nuotava uno stoppino.
Lasciandosi portare da quell'onda di curiosi, dopo venti minuti si trovarono in una vasta piazza, illuminata da un gran numero di aste di ferro piene di cotone imbevuto di materie resinose, e chiusa da un lato da una vecchia pagoda d'antico stile indiano, che s'innalzava in forma di piramide tronca con colonnati, teste d'elefanti, divinità mostruose e animali anneriti dal tempo.
La piazza era gremita di bramini, di babú, ossia di borghesi, di sudra, di battellieri e di contadini, però nel mezzo vi era uno spazio tenuto vuoto da alcuni drappelli di cipayes, dove ardevano immensi bracieri che proiettavano intorno un calore piú che torrido.
- Che cosa si cucinerà su quei bracieri? - chiese Sandokan, che s'apriva faticosamente il passo fra quella folla di curiosi e di fanatici.
- Dei piedi, signore, - rispose Kammamuri.
- Quali piedi? Di chi? Di elefanti forse? Ho udito raccontare che sono squisiti.
- Umani, capitano, - disse il maharatto. - Vedrete che spettacolo; ma giacché non è ancora cominciato spingiamoci verso la pagoda, se potremo giungervi: Quegli che cerchiamo possiamo trovarlo colà.
Facendo forza di gomiti, poterono non senza fatica giungere alla base della gradinata che conduceva alla pagoda, ma colà si videro arrestati da una vera muraglia umana che non era possibile sfondare.
Essendo però la terrazza che si estendeva dinanzi al tempio abbastanza elevata, potevano assistere egualmente alla cerimonia che si svolgeva dinanzi alla statua della dea, collocata davanti alla porta.
Tutte le pagode indiane hanno due statue che rappresentano la stessa divinità a cui il tempio è stato dedicato: una collocata all'esterno a cui il popolo può presentare le sue offerte; l'altra interna a cui gli adoratori possono egualmente far pervenire i loro doni per mezzo dei sacerdoti, i quali si sono riserbato il diritto di poterla avvicinare da soli.
Ad essi spetta il lavarla col latte di vacca, o coll'olio di cocco, l'ornarla di fiori e farle unzioni durante le grandi cerimonie.
Il popolo dove accontentarsi di guardare l'idolo interno da lontano, felice di poter avere almeno un petalo dei fiori che l'ornano e che i sacerdoti distribuiscono terminata la festa.
Intorno alle due statue di Darma-Ragia e di Drobidé sua moglie, erano state accese un gran numero di fiaccole, mentre bande di suonatori percuotevano con furore tamburi e tamburelli e laceravano gli orecchi coi suoni acutissimi dei gong e molte coppie di bajadere intrecciavano danze, facendo volteggiare in aria, con grazia, i loro veli trapunti in oro o in argento.
Kammamuri e i suoi compagni si fermarono alcuni minuti gettando qua e là degli sguardi in mezzo alla folla, colla speranza di scoprire il vecchio manti poi, disperando di poterlo scovare fra quel mare di teste agitantisi burrascosamente, retrocessero verso il centro della piazza.
- Cerchiamo un buon posto presso i fuochi, - aveva detto il maharatto a Sandokan.
- Sono certo che troveremo il vecchio stregone nel corteo della dea Kalí.
Se è veramente un thug, come abbiamo motivo di credere, vi prenderà parte.
- Non è la festa di Darma-Ragia? - chiese Yanez.
- È vero, ma essendo la pagoda dedicata a Kalí, porteranno in giro anche la mostruosa statua di quella sanguinaria divinità.
Spingendo poderosamente a destra e a sinistra, i quattro uomini poterono finalmente raggiungere il centro della piazza, il quale era coperto per un tratto considerevole di tizzoni ardenti, che un nuvolo d'indiani ravvivava servendosi di ventagli di foglie di palma.
- Sono per gli adoratori di Darma-Ragia queste brace? - chiese Yanez.
- Sí e vedrete come quei fanatici vi correranno sopra.
- Bel gusto ad abbrustolirsi le piante dei piedi.
- Ma guadagneranno il cailasson.
- Ossia? - chiese Sandokan.
- Il paradiso, signore.
- Lo lascio volentieri a loro, - rispose il pirata, sorridendo - preferisco conservare intatti i miei piedi.
Un fracasso indiavolato e un vivo ondeggiamento della folla li avvertí che la processione usciva in quel momento dalla moschea, per condurre alla prova del fuoco i devoti.
Un profondo squarcio si era prodotto fra quella massa enorme di curiosi e di adoratori e una nuvola di danzatrici vi si era cacciata dentro seguita da drappelli di suonatori e di portatori di torce.
- Tenetevi tutti presso di me, - aveva detto Kammamuri, - soprattutto non perdiamo il posto.
Quantunque fossero stati dapprima travolti da quel movimento disordinato, erano riusciti a rimettersi in prima fila, presso il margine dell'immenso braciere.
La processione scese la gradinata, e s'avanzò verso il centro della piazza sempre preceduta dalle bajadere e dai suonatori seguita da stormi di bramini salmodianti lodi in onore di Darma-Ragia e di Drobidè.
Seguivano le due statue delle divinità, l'una di pietra e l'altra di rame dorato, collocate su una specie di palanchino portato da parecchie dozzine di fedeli; poi l'orribile statua della dea Kalí, la protettrice della pagoda, in pietra azzurra e coperta di fiori.
La moglie del feroce Siva, il dio sterminatore, raffigurava come una donna negra con quattro braccia, di cui una brandiva una specie di daga e un'altra reggeva una testa mozza.
Una collana di teschi umani le scendeva fino ai piedi e una cintura di mani tagliate le stringeva i fianchi, mentre dalla bocca sporgeva la lingua che gli artisti indiani avevano dipinto in rosso onde ottenere un maggior effetto.
Dinanzi le stava un gigante coricato ai suoi piedi ed ai fianchi due figure di donna, smunte e smilze, coperte solo da una lunga capigliatura che scendeva fino alle loro ginocchia.
Una reggeva un cranio umano che teneva accostato alle labbra come se vi bevesse dentro, mentre un corvo pareva che attendesse, col becco aperto, qualche goccia di sangue, l'altra mordeva ferocemente un braccio umano e una volpe la guardava come se reclamasse la sua parte.
- È quella la dea dei Thugs? - chiese Sandokan, sottovoce.
- Sí, capitano, - rispose Kammamuri.
- Non potevano inventarne una piú spaventevole.
- È la dea delle stragi.
- La vedo, una dea che fa paura.
- Aprite gli occhi, signore. Se il manti è qui, sarà presso la statua di Kalí.
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