Parlasti dettagliatamente e chiaramente, ma non ricordo i particolari, forse mi si annebbiò la vista, quasi quasi mi interessava di più la mamma che, certo completamente d’accordo con te, continuava a togliere qualcosa dal tavolo e a uscire dalla stanza. Mai mi hai umiliato di più con le parole, né mi hai mostrato più chiaramente il tuo disprezzo. Quando venti anni fa mi parlasti in modo simile, nei tuoi occhi si sarebbe potuto persino scorgere un qualche rispetto per il precoce adolescente cittadino che, a tuo giudizio, poteva già essere introdotto nella vita senza tanti giri a vuoto. Oggi questo riguardo potrebbe soltanto accrescere il disprezzo, perché l’adolescente che allora prendeva la rincorsa è rimasto impantanato, e oggi non ti sembra più ricco di qualche esperienza, ma solo più penoso di venti anni. La mia decisione per una ragazza non significava niente per te. Tu hai sempre represso (inconsciamente) la mia forza decisionale e adesso credi (inconsciamente) di sapere quanto valesse. Dei miei tentativi di salvezza in altre direzioni non hai saputo niente, e quindi non potevi sapere niente neppure dei pensieri che mi hanno condotto a questo tentativo di matrimonio, hai dovuto cercare di indovinarli e, in conformità al giudizio complessivo che ti eri fatto di me, mi hai consigliato la cosa più ripugnante, goffa e ridicola. E
non hai indugiato un istante a dirmelo, e proprio in quel modo. La vergogna di cui mi coprivi non era niente rispetto alla vergogna di cui secondo te il mio matrimonio avrebbe macchiato il tuo nome. Ora tu mi puoi dare qualche risposta, rispetto ai miei tentativi di matrimonio, e in parte l’hai anche fatto: non potevi avere molto rispetto per la mia decisione se io avevo già due volte rotto il mio fidanzamento con F. e per due volte ero tornato sui miei passi, se avevo trascinato inutilmente te e la mamma a Berlino per il fidanzamento e simili. È tutto vero, ma come siamo arrivati a tanto? Il pensiero che stava alla base dei due tentativi di matrimonio era del tutto corretto: mettere su casa, divenire autonomo. Un pensiero che a te è simpatico, solo che in realtà succede come in quel gioco in cui uno tiene stretta la mano di un altro, più forte che può, e gli grida: “Vai, vai, perché mai non vai?”. E nel nostro caso tuttavia questo è stato complicato dal fatto che tu hai da sempre pronunciato sinceramente quel “Vai!”, ma altrettanto da sempre, senza saperlo, mi hai trattenuto o più esattamente represso soltanto in virtù del tuo essere.
Tutte e due le ragazze erano state scelte certo per caso, ma straordinariamente bene. Di nuovo un segno del tuo completo fraintendimento, il fatto che tu possa credere che io, pavido, titubante e dubbioso come sono, possa decidermi tutto d’un tratto al matrimonio, rapito da una camicetta. Tutti e due i matrimoni sarebbero divenuti invece matrimoni di ragionamento, nella misura in cui da ciò emerge che giorno e notte, la prima volta per anni e la seconda per mesi tutta la mia energia intellettuale era stata dedicata a quel progetto.
Nessuna delle due ragazze mi ha deluso, sono stato io a deludere entrambe.
Il mio giudizio su di loro, oggi, è esattamente lo stesso di quando volevo sposarle.
Non è vero neppure che al secondo tentativo di matrimonio avessi trascurato l’esperienza del primo, che fossi stato cioè un po’ leggero. I due casi erano molto diversi, e nel secondo caso, indubbiamente molto più promettente, fu proprio l’esperienza precedente a darmi speranza. Non voglio scendere qui in particolari.
Perché, allora, non mi sono sposato? Ci sono stati singoli ostacoli, come dappertutto, ma la vita consiste proprio nell’accettare questi ostacoli.
L’ostacolo essenziale e purtroppo indipendente dal singolo caso era però il fatto che evidentemente io sono mentalmente incapace di sposarmi. Ciò è rivelato dal fatto che, dal momento in cui decido di sposarmi, non riesco più a dormire, la testa mi arde notte e giorno, non vivo più, mi aggiro barcollando disperato. A dire il vero non sono le preoccupazioni a provocarmi questo stato, per quanto date la mia malinconia e la mia pedanteria esso sia accompagnato da innumerevoli preoccupazioni, ma queste non sono l’elemento decisivo, completano come vermi il lavoro sul cadavere, ma è altro a colpirmi in maniera decisiva. È la pressione generica dell’angoscia, della debolezza, del disprezzo per me stesso.
Voglio cercare di spiegarlo meglio: a proposito del tentativo di matrimonio coincidono energicamente come non mai due elementi apparentemente contrapposti del mio rapporto con te. Il matrimonio è sicuramente una garanzia della più intensa liberazione di sé e indipendenza. Io avrei una famiglia, il massimo a cui a mio parere si possa arrivare, e anche il massimo a cui tu sei arrivato, sarei un tuo pari, tutte le vergogne e le tirannie antiche ed eternamente nuove sarebbero mera storia.
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