In parte però è proprio questo stretto rapporto a rendere il matrimonio così allettante ai miei occhi. Me la immagino così bella, questa parità che si costituirebbe così tra noi e che tu potresti comprendere come nessun altro, proprio perché io potrei essere un figlio libero, grato, innocente e sincero, e tu un padre sereno, non tirannico, comprensivo, contento. Ma a tal fine si dovrebbe poter far sì che non fosse accaduto tutto quel che è accaduto, ovvero che noi stessi fossimo cancellati. Così come siamo, tuttavia, il matrimonio mi è precluso proprio dal fatto che è il terreno che più ti è proprio. Talvolta immagino di poter aprire davanti a me la carta terrestre e di stendertici sopra. Mi pare allora che per la mia vita si possano prendere in considerazione solo quei territori che né copri col tuo corpo né sono comunque alla tua portata. E data l’idea che mi son fatto della tua grandezza, questi territori non sono molti né molto confortanti, e il matrimonio in particolare non ne fa parte.

Già questo paragone dimostra che io non voglio assolutamente dire che è stato il tuo esempio ad allontanarmi dal matrimonio, più o meno come col negozio.

È proprio il contrario, nonostante ogni remota analogia. Nel vostro matrimonio avevo davanti a me un matrimonio sotto molti aspetti esemplare, esemplare nella fedeltà, nell’aiuto reciproco, nel numero dei figli; e anche quando i figli sono cresciuti e hanno turbato sempre più la pace familiare, il matrimonio in quanto tale non ne è stato sfiorato. Proprio da questo esempio, forse, deriva l’alto concetto che ho di esso; il fatto però che il mio desiderio di contrarre matrimonio sia stato impotente aveva altri motivi. Essi vanno rinvenuti nel tuo rapporto con i figli, di cui tratta tutta la lettera.

C’è chi pensa che la paura del matrimonio talvolta derivi dal fatto che in realtà si teme che i figli un giorno ci restituiranno quel che abbiamo fatto ai nostri genitori. Nel mio caso, mi pare, questo non ha grande importanza, perché il mio senso di colpa deriva proprio da te ed è anche troppo intriso della sua singolarità; anzi questo senso di singolarità fa parte della sua essenza straziante, e una sua ripetizione è impensabile. Purtuttavia devo dire che un figlio così muto, ottuso, secco e decadente mi sarebbe insopportabile; sicuramente, se non ci fossero altre possibilità, lo fuggirei ed emigrerei, come in un primo momento volevi fare tu per via del mio matrimonio. È comunque possibile che la mia incapacità di sposarmi sia influenzata anche da questo.

Molto più importante a questo riguardo è però la paura per me stesso.

Questa affermazione va intesa così: ho già accennato che con lo scrivere e con tutto quello a esso collegato ho compiuto piccoli tentativi di indipendenza, tentativi di fuga dal successo minimo, non mi porteranno molto avanti, molte cose me lo confermano. Tuttavia è mio dovere, o forse questa è proprio l’essenza della mia vita, vegliare su di essi, per non lasciare che si avvicinino loro pericoli da cui debba difendermi o anche solo la possibilità di tali pericoli. Il matrimonio è la possibilità di un tale pericolo, e al contempo anche la possibilità del massimo avanzamento, ma mi basta che sia la possibilità di un pericolo. Che farei mai se poi fosse davvero un pericolo! Come potrei continuare a vivere nel matrimonio, nella sensazione forse indimostrabile ma altrettanto inconfutabile di questo pericolo! Di fronte a questo posso certo vacillare, ma l’esito finale è sicuro, debbo rinunziare. Il paragone dell’uovo oggi e della gallina domani non è molto calzante. Oggi non avrei niente e domani tutto, eppure - a decidere sono i rapporti di forza e le esigenze della vita - debbo scegliere il niente. Allo stesso modo ho dovuto decidere quando ho scelto la professione.

Il più importante ostacolo al matrimonio è comunque l’inestirpabile convinzione che per mantenere o comunque guidare una famiglia siano necessarie tutte quelle caratteristiche che ho riconosciuto in te, tutte insieme, nel bene e nel male, a costituire un tutto organico come nella tua persona, e quindi forza e disprezzo degli altri, salute e una certa smodatezza, loquacità e insufficienza, autostima e insoddisfazione del prossimo, senso di superiorità e tirannia, conoscenza degli uomini e sfiducia nei più, e anche pregi senza contropartita alcuna come laboriosità, resistenza, presenza di spirito, animo intrepido. Di tutto ciò io in confronto non avevo niente o soltanto pochissimo, e con ciò io osavo sposarmi pur vedendo che persino tu nel matrimonio dovevi lottare strenuamente e, coi tuoi figli, arrivavi a fallire? Naturalmente questa domanda non me la ponevo espressamente, né vi rispondevo espressamente; altrimenti della cosa si sarebbe impossessato il corso abituale dei pensieri, e mi avrebbe mostrato uomini molto diversi da te (per nominarne uno molto vicino e assai diverso da te: lo zio Richard) che tuttavia si sono sposati e quanto meno non sono crollati sotto il peso del matrimonio, il che è già molto e a me sarebbe bastato abbondantemente. Ma questa domanda io non me la sono posta: l’ho vissuta, sin dall’infanzia. Io non mi sono messo seriamente alla prova rispetto al matrimonio, ma rispetto a ogni piccolezza; rispetto a ogni piccolezza mi hai convinto, con il tuo esempio e la tua educazione, come ho cercato di descriverli, della mia incapacità, e quel che era vero per ogni piccolezza e ti dava ragione, doveva naturalmente essere enormemente vero per quanto c’era di più grande, ovvero il matrimonio.

Fino ai tentativi di matrimonio io sono infatti cresciuto come un uomo d’affari che si trascini giorno dopo giorno, per quanto sia preda di preoccupazioni e di cattivi presagi, senza mettere ordine nei suoi libri contabili. Ha alcune piccole entrate che, in virtù della loro rarità, continua ad accarezzare e a esagerare nella sua immaginazione, e per il resto solo perdite quotidiane.