Dante e Goethe al sire
36 parlano in vano
de le animose tavole: una sfinge
l'attrae con vista mobile su l'onde:
ei cede, e lascia aperto a mezzo il libro
40 del romanziero.
Oh non d'amore e d'avventura il canto
fia che l'accolga e suono di chitarre
là ne la Spagna de gli Aztechi! Quale
44 lunga su l'aure
vien da la trista punta di Salvore
nenia tra 'l roco piangere de' flutti?
Cantano i morti veneti o le vecchie
48 fate istriane?
- Ahi! mal tu sali sopra il mare nostro,
figlio d'Absburgo, la fatal Novara.
Teco l'Erinni sale oscura e al vento
52 apre la vela.
Vedi la sfinge tramutar sembiante
a te d'avanti perfida arretrando!
È il viso bianco di Giovanna pazza
56 contro tua moglie.
È il teschio mózzo contro te ghignante
d'Antonïetta. Con i putridi occhi
in te fermati è l'irta faccia gialla
60 di Montezuma.
Tra boschi immani d'agavi non mai
mobili ad aura di benigno vento,
sta ne la sua piramide, vampante
64 livide fiamme
per la tenèbra tropicale, il dio
Huitzilopotli, che il tuo sangue fiuta,
e navigando il pelago co 'l guardo
68 ulula - Vieni.
Quant'è che aspetto! La ferocia bianca
strussemi il regno ed i miei templi infranse;
vieni, devota vittima, o nepote
72 di Carlo quinto.
Non io gl'infami avoli tuoi di tabe
marcenti o arsi di regal furore;
te io voleva, io colgo te, rinato
76 fiore d'Absburgo;
e a la grand'alma di Guatimozino
regnante sotto il padiglion del sole
ti mando inferia, o puro, o forte, o bello
80 Massimiliano. -
ALLA REGINA D'ITALIA
XX NOV. MDCCCLXXVIII
Onde venisti? Quali a noi secoli
sí mite e bella ti tramandarono?
fra i canti de' sacri poeti
4 dove un giorno, o regina, ti vidi?
Ne le ardue rocche, quando tingeasi
a i latin' soli la fulva e cerula
Germania, e cozzavan nel verso
8 nuovo l'armi tra lampi d'amore?
Seguiano il cupo ritmo monotono
trascolorando le bionde vergini,
e al ciel co' neri umidi occhi
12 impetravan mercé per la forza.
O ver ne i brevi dí che l'Italia
fu tutta un maggio, che tutto il popolo
era cavaliere? Il trionfo
16 d'Amor gía tra le case merlate
in su le piazze liete di candidi
marmi, di fiori, di sole; e "O nuvola
che in ombra d'amore trapassi, -
20 l'Alighieri cantava - sorridi!"
Come la bianca stella di Venere
ne l'april novo surge da' vertici
de l'alpi, ed il placido raggio
24 su le nevi dorate frangendo
ride a la sola capanna povera,
ride a le valli d'ubertà floride,
e a l'ombra de' pioppi risveglia
28 li usignoli e i colloqui d'amore:
fulgida e bionda ne l'adamàntina
luce del serto tu passi, e il popolo
superbo di te si compiace
32 qual di figlia che vada a l'altare;
con un sorriso misto di lacrime
la verginetta ti guarda, e trepida
le braccia porgendo ti dice
36 come a suora maggior "Margherita!"
E a te volando la strofe alcaica,
nata ne' fieri tumulti libera,
tre volte ti gira la chioma
40 con la penna che sa le tempeste:
e, Salve, dice cantando, o inclita
a cui le Grazie corona cinsero,
a cui sí soave favella
44 la pietà ne la voce gentile!
Salve, o tu buona, sin che i fantasimi
di Raffaello ne' puri vesperi
trasvolin d'Italia e tra' lauri
48 la canzon del Petrarca sospiri!
COURMAYEUR
Conca in vivo smeraldo tra foschi passaggi dischiusa,
o pia Courmayeur, ti saluto.
Te da la gran Giurassa da l'ardüa Grivola bella
4 il sole piú amabile arride.
Blandi misteri a te su' boschi d'abeti imminente
la gelida luna diffonde,
mentre co 'l fiso albor da gli ermi ghiacciaï risveglia
8 fantasime ed ombre moventi.
Te la vergine Dora, che sa le sorgive de' fonti
e sa de le genti le cune,
cerula irriga, e canta; gli arcani ella canta de l'alpi
12 e i carmi de' popoli e l'armi.
De la valanga il tuon da l'orrida Brenva rintrona
e rotola giú per neri antri:
sta su 'l verone in fior la vergine, e tende lo sguardo,
16 e i verni passati ripensa.
Ma da' pendenti prati di rosso papavero allegri
tra gli orzi e le segali bionde
spicca l'alauda il volo trillando l'aerea canzone:
20 io medito i carmi sereni.
Salve, o pia Courmayeur, che l'ultimo riso d'Italia
al piè del gigante de l'Alpi
rechi soave! te, datrice di posa e di canti,
24 io reco nel verso d'Italia.
Va su' tuoi verdi prati l'ombria de le nubi fuggenti,
e va su' miei spirti la musa.
Amo al lucido e freddo mattin da' tuoi sparsi casali
28 il fumo che ascende e s'avvolge
bigio al bianco vapor da l'are de' monti smarrito
nel cielo divino. Si perde
l'anima in lento error: vien da le compiante memorie
32 e attinge l'eterne speranze.
IL LIUTO E LA LIRA
A MARGHERITA REGINA D'ITALIA
Quando la Donna Sabauda il fulgido
sguardo al lïuto reca e su 'l memore
ministro d'eroici lai
4 la mano e l'inclita fronte piega,
commove un conscio spirito l'agili
corde, e dal seno concavo mistico
la musa de' tempi che fûro
8 sale aspersa di faville d'oro;
e un coro e un canto di forme aeree,
quali già vide l'Alighier movere
ne' giri d'armonica stanza,
12 cinge l'italica Margherita.
"Io - dice l'una, cui la cesarie
inonda bionda gli omeri nivei
e gli occhi natanti nel lume
16 de l'estasi chiedono le sfere -
io son, regina, - dice - la nobile
Canzone; e a' cieli volai da l'anima
di Dante, quand'egli nel maggio
20 angeli e spiriti lineava.
Io del Petrarca sovra le lacrime
passai tingendo d'azzurro l'aere
e accesi corone di stelle
24 in su l'aurea treccia d'Avignone.
Non mai piú alto sospiro d'anime
surse dal canto. Di te le laudi
a' due leverò che l'Italia
28 poeti massimi rivelaro".
"A me la terra piace - nel cantico
una seconda balzando applaude
con l'asta e lo scudo, e da l'elmo
32 fosca fugge a' venti la criniera -.
Piace, se lampi d'acciaio solcano,
se ferrei nembi rompono l'aere
e cadon le insegne davanti
36 al flutto e a l'impeto de' cavalli.
A cui la morte teme non ridono
le muse in cielo, quaggiú le vergini.
Avanti, Savoia! non anche
40 tutta desti la bandiera al vento.
La Sirventese sono. A me l'aquila
che da Superga rivola al Tevere
e i folgori stringe severa
44 dritta ne l'iride tricolore"
"Ed io - la terza dice, di mammole
vïole un cerchio tessendo, e semplice
di rose e ligustri il sembiante
48 ombra sotto la castanea chioma -
la Pastorella sono. Di facili
amori e sdegni, danze e tripudii,
non piú rendo gli echi: una nube
52 va di tristizïa su la terra.
A te da' verdi mugghianti pascoli,
da' biondi campi, da le pomifere
colline, da' boschi sonanti
56 di scuri e dal fumo de' tuguri,
io reco il blando riso de' parvoli,
di spose e figlie reco le lacrime
e i cenni de' capi canuti
60 che ti salutano pïa madre".
Tali, o Signora, forme e fantasimi
a voi d'intorno cantando volano
dal vago liuto: a la lira
64 io li do di Roma imperïante,
qui dove l'Alpi de le virginee
cime piú al sole diffusa raggiano
la bianca letizia da immenso
68 circolo, e cerula tra l'argento
per i tonanti varchi precipita
la Dora a valle cercando Italia,
e sceser vostri avi ferrati
72 con la spada e con la bianca croce.
Dal grande altare nival gli spiriti
del Montebianco sorgono attoniti,
a udire l'eloquio di Dante,
76 ne' ritmi fulgidi di Venosa,
dopo cotanto strazio barbarico
ponendo verde sempre di gloria
il lauro di Livia a la fronte
80 de la Sabauda Margherita,
a voi, traverso l'onde de i secoli,
di due forti evi ricantar l'anima,
o figlia e regina del sacro
84 rinnovato popolo latino.
DELLE ODI BARBARE
LIBRO II
CÈRILO
Non sotto ferrea punta che strida solcando maligna
2 dietro un pensier di noia l'aride carte bianche;
sotto l'adulto sole, nel palpito mosso da' venti
4 pe' larghi campi aprici, lungo un bel correr d'acque,
nasce il sospir de' cuori che perdesi ne l'infinito,
6 nasce il dolce e pensoso fior de la melodia.
Qui brilla il maggio effuso ne l'aere odorato di rose,
8 brillano gli occhi vani, dormon ne' petti i cuori:
dormono i cuor, si drizzan le orecchie facili quando
10 la variopinta strilla nota de la Gioconda.
Oh de le Muse l'ara dal verde vertice bianca
12 su 'l mare! Alcmane guida i virginei cori:
"Voglio con voi, fanciulle, volare, volare a la danza,
14 come il cèrilo vola tratto da le alcïoni:
vola con le alcïoni tra l'onde schiumanti in tempesta,
16 cèrilo purpureo nunzio di primavera".
FANTASIA
Tu parli; e, de la voce a la molle aura
lenta cedendo, si abbandona l'anima
del tuo parlar su l'onde carezzevoli,
4 e a strane plaghe naviga.
Naviga in un tepor di sole occiduo
ridente a le cerulee solitudini:
tra cielo e mar candidi augelli volano,
8 isole verdi passano,
e i templi su le cime ardui lampeggiano
di candor pario ne l'occaso roseo,
ed i cipressi de la riva fremono,
12 e i mirti densi odorano.
Erra lungi l'odor su le salse aure
e si mesce al cantar lento de' nauti,
mentre una nave in vista al porto ammàina
16 le rosse vele placida.
Veggo fanciulle scender da l'acropoli
in ordin lungo; ed han bei pepli candidi,
serti hanno al capo, in man rami di lauro,
20 tendon le braccia e cantano.
Piantata l'asta in su l'arena patria,
a terra salta un uom ne l'armi splendido:
è forse Alceo da le battaglie reduce
24 a le vergini lesbie?
RUIT HORA
O desïata verde solitudine
lungi al rumor de gli uomini!
qui due con noi divini amici vengono,
4 vino ed amor, o Lidia.
Deh, come ride nel cristallo nitido
Lieo, l'eterno giovine!
come ne gli occhi tuoi, fulgida Lidia,
8 trïonfa amore e sbendasi!
Il sol traguarda basso ne la pergola,
e si rinfrange roseo
nel mio bicchiere: aureo scintilla e tremola
12 fra le tue chiome, o Lidia.
Fra le tue nere chiome, o bianca Lidia,
langue una rosa pallida;
e una dolce a me in cuor tristezza súbita
16 tempra d'amor gl'incendii.
Dimmi: perché sotto il fiammante vespero
misterïosi gemiti
manda il mare là giú? quai canti, o Lidia,
20 tra lor quei pini cantano?
Vedi con che desio quei colli tendono
le braccia al sole occiduo:
cresce l'ombra e li fascia: ei par che chiedano
24 il bacio ultimo, o Lidia.
Io chiedo i baci tuoi, se l'ombra avvolgemi,
Lieo, dator di gioia:
io chiedo gli occhi tuoi, fulgida Lidia,
28 se Iperïon precipita.
E precipita l'ora. O bocca rosea,
schiuditi: o fior de l'anima,
o fior del desiderio, apri i tuoi calici:
32 o care braccia, apritevi.
ALLA STAZIONE IN UNA MATTINA D'AUTUNNO
Oh quei fanali come s'inseguono
accidïosi là dietro gli alberi,
tra i rami stillanti di pioggia
4 sbadigliando la luce su 'l fango!
Flebile, acuta, stridula fischia
la vaporiera da presso. Plumbeo
il cielo e il mattino d'autunno
8 come un grande fantasma n'è intorno.
Dove e a che move questa, che affrettasi
a' carri foschi, ravvolta e tacita
gente? a che ignoti dolori
12 o tormenti di speme lontana?
Tu pur pensosa, Lidia, la tessera
al secco taglio dài de la guardia,
e al tempo incalzante i begli anni
16 dài, gl'istanti gioiti e i ricordi.
Van lungo il nero convoglio e vengono
incappucciati di nero i vigili,
com'ombre; una fioca lanterna
20 hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei
freni tentati rendono un lugubre
rintocco lungo: di fondo a l'anima
un'eco di tedio risponde
24 doloroso, che spasimo pare.
E gli sportelli sbattuti al chiudere
paion oltraggi: scherno par l'ultimo
appello che rapido suona:
28 grossa scroscia su' vetri la pioggia.
Già il mostro, conscio di sua metallica
anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei
occhi sbarra; immane pe 'l buio
32 gitta il fischio che sfida lo spazio.
Va l'empio mostro; con traino orribile
sbattendo l'ale gli amor miei portasi.
Ahi, la bianca faccia e 'l bel velo
36 salutando scompar ne la tènebra.
O viso dolce di pallor roseo,
o stellanti occhi di pace, o candida
tra' floridi ricci inchinata
40 pura fronte con atto soave!
Fremea la vita nel tepid'aere,
fremea l'estate quando mi arrisero;
e il giovine sole di giugno
44 si piacea di baciar luminoso
in tra i riflessi del crin castanei
la molle guancia: come un'aureola
piú belli del sole i miei sogni
48 ricingean la persona gentile.
Sotto la pioggia, tra la caligine
torno ora, e ad esse vorrei confondermi;
barcollo com'ebro, e mi tócco,
52 non anch'io fossi dunque un fantasma.
Oh qual caduta di foglie, gelida,
continua, muta, greve, su l'anima!
io credo che solo, che eterno,
56 che per tutto nel mondo è novembre.
Meglio a chi 'l senso smarrí de l'essere,
meglio quest'ombra, questa caligine:
io voglio io voglio adagiarmi
60 in un tedio che duri infinito.
MORS
NELL'EPIDEMIA DIFTERICA
Quando a le nostre case la diva severa discende,
2 da lungi il rombo de la volante s'ode,
e l'ombra de l'ala che gelida gelida avanza
4 diffonde intorno lugubre silenzïo.
Sotto la venïente ripiegano gli uomini il capo,
6 ma i sen feminei rompono in aneliti.
Tale de gli alti boschi, se luglio il turbine addensa,
8 non corre un fremito per le virenti cime:
immobili quasi per brivido gli alberi stanno,
10 e solo il rivo roco s'ode gemere.
Entra ella, e passa, e tocca; e senza pur volgersi atterra
12 gli arbusti lieti di lor rame giovani;
miete le bionde spiche, strappa anche i grappoli verdi,
14 coglie le spose pie, le verginette vaghe
ed i fanciulli: rosei tra l'ala nera ei le braccia
16 al sole a i giuochi tendono e sorridono.
Ahi tristi case dove tu innanzi a' vólti de' padri,
18 pallida muta diva, spegni le vite nuove!
Ivi non piú le stanza sonanti di risi e di festa
20 o di bisbigli, come nidi d'augelli a maggio:
ivi non piú il rumore de gli anni lieti crescenti,
22 non de gli amor le cure, non d'Imeneo le danze:
invecchian ivi ne l'ombra i superstiti, al rombo
24 del tuo ritorno teso l'orecchio, o dea.
UNA SERA DI SAN PIETRO
Ricordo. Fulvo il sole tra i rossi vapori e le nubi
calde al mare scendeva, come un grande clipeo di rame
che in barbariche pugne corrusca ondeggiando, poi cade.
Castiglioncello in alto fra mucchi di querce ridea
5 da le vetrate un folle vermiglio sogghigno di fata.
Ma io languido e triste (da poco avea scosso la febbre
maremmana, ed i nervi pesavanmi come di piombo)
guardava a la finestra. Le rondini rapide i voli
sghembi tessevano e ritessevano intorno le gronde,
10 e le passere brune strepïano al vespro maligno.
Brevi d'entro la macchia svariavano il piano ed i colli,
rasi a metà da la falce, in parte ancor mobili e biondi.
Via per i solchi grigi le stoppie fumavano accese:
or sí or no veniva su per le aure umide il canto
15 de' mietitori, lungo, lontano, piangevole, stanco:
grave l'afa stringeva l'aër, la marina, le piante.
Io levai gli occhi al sole - O lume superbo del mondo,
tu su la vita guardi com'ebro ciclope da l'alto! -
Gracchiarono i pavoni schernendomi tra i melograni,
20 e un vipistrello sperso passommi radendo su 'l capo.
PE 'L CHIARONE DA CIVITAVECCHIA
LEGGENDO IL MARLOWE
Calvi, aggrondati, ricurvi, sí come becchini a la fossa,
2 stan radi alberi in cerchio de la sucida riva.
Stendonsi livide l'acque in linea lunga che trema
4 sotto squallido cielo per la lugubre macchia.
Bevon le nubi dal mare con pendule trombe, ed il sole
6 piove sprazzi di riso torbido sovra i poggi.
I poggi sembrano capi di tignosi ne l'ospitale,
8 l'un fastidisce l'altro da' finitimi letti.
Scattan su da un cespuglio co 'l guizzo di frecce mancate
10 due neri uccelli: cala con pigre ruote un falco.
Corrono, mentr'io leggo Marlowe, le smunte cavalle
12 de la vettura: il sole scema, la pioggia freme.
Ed ecco a poco a poco la selva infóscasi orrenda,
14 la selva, o Dante, d'alberi e di spiriti,
dove tra piante strane tu strane ascoltasti querele,
16 dove troncasti il pruno ch'era Pier de la Vigna.
Io leggo ancora Marlowe. Dal reo verso bieco, simile
18 a sogno d'uomo cui molta birra gravi,
d'odii et incèsti e morti balzando tra forme angosciose
20 esala un vapor acre d'orrida tristizia,
che sale e fuma, e misto a l'aër maligno feconda
22 di mostri intorno le pendenti nuvole,
crocida in fondo a' fossi, ferrugigno ghigna ne' bronchi,
24 filtra con la pioggia per l'ossa stanche. Io tremo.
Ah quei pini che il vento che il mare curvaron tanti anni
26 paiono traer guai contro di me: "Che importa
- dicon - tendere a l'alto? che vale combatter? che giova
28 amare? Il fato passa ed abbassa." Ma tu,
tu sughero triste che a terra schiacciato rialzi
30 il capo, reo gobbo, bestemmïando Iddio,
perché mi tendi minaccioso le braccia tue torte?
32 che colpa ho io ne 'l fato che ti danna?
E voi, lunghe ne 'l mezzo del tetro recinto alberelle,
34 co' rami spioventi, quasi canute chiome,
siete alberelle voi? siete le tre fiere sorelle
36 che aspettâr Macbeth su la fatale via?
Odo pauroso carme che voi bisbigliate co' venti,
38 di rospi, di serpi, di sanguinari cuori.
Guglielmo, re de' poeti da l'ardüa fronte serena,
40 perché mi mandi lugubri messaggi?
Io non uccisi il sonno, ben gli altri a me spensero il cuore:
42 non cerco un regno, io solo chieggio al mondo l'oblío.
Oblío? no, vendetta. Cadaveri antichi, pensieri
44 che tutti una ferita mostrate aperta e tutti
a tradimento, su! su da 'l cimitero del petto,
46 su date a' venti i vostri veli funebri.
Qui raduniam consiglio, qui ne l'orribile spazzo,
48 a l'ombre ignave, su le mortifere acque.
Qui gonfia di serpi tra 'l fior bianco e giallo la terra,
50 pregna di veleni qui primavera ride.
Ride ubriaco il verso di gioia maligna; com'angue,
52 strisci, si attorca, snodisi tra i sibili.
Volate, volate, canzoni vampire, cercando
54 i cuor' che amammo: sangue per sangue sia.
Ma che? Disvelasi lunge superbo a veder l'Argentaro
56 lento scendendo ne 'l Tirreno cerulo.
Il sole illustra le cime. Là in fondo sono i miei colli,
58 con la serena vista, con le memorie pie.
Ivi m'arrise fanciullo la diva sembianza d'Omero.
60 Via, tu, Marlowe, a l'acque! tu, selva infame, addio.
ALLA MENSA DELL'AMICO
Non mai dal cielo ch'io spirai parvolo
ridesti, o Sole, bel nume, splendido
a me, sí come oggi ch'effuso
4 t'amo per l'ampie vie di Livorno.
Non mai fervesti, Bromio, ne i calici
consolatore saggio e benevolo,
com'oggi ch'io libo a l'amico
8 pensando i varchi de l'Apennino.
O Sole, o Bromio, date che integri,
non senza amore, non senza cetera,
scendiamo a le placide ombre
12 - là dov'è Orazio - l'amico ed io.
Ma sorridete gli augurî a i parvoli
che, dolci fiori, la mensa adornano,
la pace a le madri, gli amori
16 a i baldi giovani e le glorie.
RAGIONI METRICHE
Rompeste voi 'l Tevere a nuoto, Clelïa, come
2 l'antica vostra, o a noi nuova Rea Silva uscite?
Scarso, o nipote di Rea, l'endecasillabo ha il passo
4 a misurare i clivi de le bellezze vostre:
solo co 'l piè trïonfale l'eroico esametro puote
6 scander la vïa sacra de le lunate spalle.
Da l'arce capitolina de 'l collo fidiaco molle
8 il pentametro pender, ghirlanda albana, deve.
Batta ne 'l raggio de gli occhi, che fiero corusca sí come
10 tra i colli prenestini dietro l'aurora il sole,
batta l'alcaica strofe trepidando l'ali, e si scaldi
12 a i forti amori: indietro, tu settenario vile.
Oh, su la chioma ondosa che simile a notte discende
14 pe 'l crepuscolo pario de le doriche forme
(lasciate a le serve, nipote di Rea, gli ottonari)
16 corona aurea di stelle fulga l'asclepiadea.
FIGURINE VECCHIE
Qual da la madre battuto pargolo
od in proterva rissa mal domito
stanco s'addorme con le pugna
4 serrate e i cigli rannuvolati,
tal ne 'l mio petto l'amore, o candida
Lalage, dorme: non sogna o invidia,
s'al roseo maggio erran giocando
8 gli altri felici pargoli al sole.
Oh no 'l destare! l'udresti, o Lalage,
di torbid'ire fiedere l'aere
rompendo i giuochi a' lieti eguali,
12 dio di battaglia per me l'amore.
SOLE D'INVERNO
Nel solitario verno de l'anima
spunta la dolce imagine,
e tocche frangonsi tosto le nuvole
4 de la tristezza e sfumano.
Già di cerulea gioia rinnovasi
ogni pensiero: fremere
sentomi d'intima vita gli spiriti:
8 il gelo inerte fendesi.
Già de' fantasimi dal mobil vertice
spiccian gli affetti memori,
scendon con rivoli freschi di lacrime
12 giú per l'ombra del tedio.
Scendon con murmuri che a gli antri chiamano
echi d'amor superstiti
e con letizia d'acque che a' margini
16 sonni di fiori svegliano.
Scendono, e in limpido fiume dilagano,
ove le rive e gli alberi
e i colli e il tremulo riso de l'aere
20 specchiasi vasto e placido.
Tu su la nubila cima de l'essere,
tu sali, o dolce imagine;
e sotto il candido raggio devolvere
24 miri il fiume de l'anima.
EGLE
Stanno nel grigio verno pur d'edra e di lauro vestite
2 ne l'Appia trista le ruinose tombe.
Passan pe 'l ciel turchino che stilla ancor da la pioggia
4 avanti al sole lucide nubi bianche.
Egle, levato il capo vèr' quella serena promessa
6 di primavera, guarda le nubi e il sole.
Guarda; e innanzi a la bella sua fronte piú ancora che al sole
8 ridon le nubi sopra le tombe antiche.
PRIMO VERE
Ecco: di braccio al pigro verno sciogliesi
ed ancor trema nuda al rigid'aere
la primavera: il sol tra le sue lacrime
4 limpido brilla, o Lalage.
Da lor culle di neve i fior si svegliano
e curïosi al ciel gli occhietti levano:
il quelli sguardi vagola una tremula
8 ombra di sogno, o Lalage.
Nel sonno de l'inverno sotto il candido
lenzuolo de la neve i fior sognarono;
sognaron l'albe roride ed i tepidi
12 soli e il tuo viso, o Lalage.
Ne l'addormito spirito che sognano
i miei pensieri? A tua bellezza candida
perché mesta sorride tra le lacrime
16 la primavera, o Lalage?
VERE NOVO
Rompendo il sole tra i nuvoli bianchi a l'azzurro
2 sorride e chiama - O primavera, vieni! -
Tra i verzicanti poggi con mormorii placidi il fiume
4 ricanta a l'aura - O primavera, vieni! -
- O primavera, vieni! - ridice il poeta al suo cuore
6 e guarda gli occhi, Lalage pura, tuoi.
CANTO DI MARZO
Quale una incinta, su cui scende languida
languida l'ombra del sopore e l'occupa,
disciolta giace e palpita su 'l talamo,
sospiri al labbro e rotti accenti vengono
5 e súbiti rossor la faccia corrono,
tale è la terra: l'ombra de le nuvole
passa a sprazzi su 'l verde tra il sol pallido:
umido vento scuote i pèschi e i mandorli
bianco e rosso fioriti, ed i fior cadono:
10 spira da i pori de la glebe un cantico.
- O salïenti da' marini pascoli
vacche del cielo, grigie e bianche nuvole,
versate il latte da le mamme tumide
al piano e al colle che sorride e verzica,
15 a la selva che mette i primi palpiti -.
Cosí cantano i fior che si risvegliano:
cosí cantano i germi che si movono
e le radici che bramose stendonsi:
cosí da l'ossa dei sepolti cantano
20 i germi de la vita e de gli spiriti.
Ecco l'acqua che scroscia e il tuon che brontola:
porge il capo il vitel da la stalla umida,
la gallina scotendo l'ali strepita,
profondo nel verzier sospira il cúculo
25 ed i bambini sopra l'aia saltano.
Chinatevi al lavoro, o validi omeri;
schiudetevi a gli amori, o cuori giovani;
impennatevi a i sogni, ali de l'anime;
irrompete a la guerra, o desii torbidi:
30 ciò che fu torna e tornerà ne i secoli.
SALUTO D'AUTUNNO
Pe' verdi colli, da' cieli splendidi,
e ne' fiorenti campi de l'anima,
Delia, a voi tutto è una festa
4 di primavera: lungi le tombe!
Voi dolce madre chiaman due parvole,
voi dolce suora le rose chiamano,
e il sol vi corona di lume,
8 divino amico, la bruna chioma.
Lungi le tombe! Lontana favola
per voi la morte! Salite il tramite
de gli anni, e con citara d'oro
12 Ebe serena v'accenna a l'alto.
Giú ne la valle, freddi dal turbine,
noi vi miriamo ridente ascendere;
e un raggio del vostro sorriso
16 frange le nebbie pigre a l'autunno.
SU MONTE MARIO
Solenni in vetta a Monte Mario stanno
nel luminoso cheto aere i cipressi,
e scorrer muto per i grigi campi
4 mirano il Tebro,
mirano al basso nel silenzio Roma
estendersi, e, in atto di pastor gigante
su grande armento vigile, davanti
8 sorger San Pietro.
Mescete in vetta al luminoso colle,
mescete, amici, il biondo vino, e il sole
vi si rifranga: sorridete, o belle:
12 diman morremo.
Lalage, intatto a l'odorato bosco
lascia l'alloro che si gloria eterno,
o a te passando per la bruna chioma
16 splenda minore.
A me tra 'l verso che pensoso vola
venga l'allegra coppa ed il soave
fior de la rosa che fugace il verno
20 consola e muore.
Diman morremo, come ier moriro
quelli che amammo: via da le memorie,
via da gli affetti, tenui ombre lievi
24 dilegueremo.
Morremo; e sempre faticosa intorno
de l'almo sole volgerà la terra,
mille sprizzando ad ogni istante vite
28 come scintille;
vite in cui nuovi fremeranno amori,
vite che a pugne nuove fremeranno,
e a nuovi numi canteranno gl'inni
32 de l'avvenire.
E voi non nati, a le cui man' la face
verrà che scórse da le nostre, e voi
disparirete, radïose schiere,
36 ne l'infinito.
Addio, tu madre del pensier mio breve,
terra, e de l'alma fuggitiva! quanta
d'intorno al sole aggirerai perenne
40 gloria e dolore!
fin che ristretta sotto l'equatore
dietro i richiami del calor fuggente
l'estenuata prole abbia una sola
44 femina, un uomo,
che ritti in mezzo a' ruderi de' monti,
tra i morti boschi, lividi, con gli occhi
vitrei te veggan su l'immane ghiaccia,
48 sole, calare.
LA MADRE
(GRUPPO DI ADRIANO CECIONI)
Lei certo l'alba che affretta rosea
al campo ancora grigio gli agricoli
mirava scalza co 'l piè ratto
4 passar tra i roridi odor del fieno.
Curva su i biondi solchi i larghi omeri
udivan gli olmi bianchi di polvere
lei stornellante su 'l meriggio
8 sfidar le rauche cicale a i poggi.
E quando alzava da l'opra il turgido
petto e la bruna faccia ed i riccioli
fulvi, i tuoi vespri, o Toscana,
12 coloraro ignei le balde forme.
Or forte madre palleggia il pargolo
forte; da i nudi seni già sazio
palleggialo alto, e ciancia dolce
16 con lui che a' lucidi occhi materni
intende gli occhi fissi ed il piccolo
corpo tremante d'inquïetudine
e le cercanti dita: ride
20 la madre e slanciasi tutta amore.
A lei d'intorno ride il domestico
lavor, le biade tremule accennano
dal colle verde, il büe mugghia,
24 su l'aia il florido gallo canta.
Natura a i forti che per lei spregiano
le care a i vulghi larve di gloria
cosí di sante visïoni
28 conforta l'anime, o Adrïano:
onde tu al marmo, severo artefice,
consegni un'alta speme de i secoli.
Quando il lavoro sarà lieto?
32 quando securo sarà l'amore?
quando una forte plebe di liberi
dirà guardando nel sole - Illumina
non ozi e guerre a i tiranni,
36 ma la giustizia pia del lavoro -?
PER UN INSTITUTO DI CIECHI
Quando mirava Omero le fulgide a' dardani campi
2 pugne, con gli occhi spenti ed immoti al cielo;
quando, levata in fredda caligin la fronte, vedeva
4 Milton passare su' mondi vinti Dio;
l'alma del tutto in essi rompeva la inerte de' sensi
6 bruma, e ne' grandi spiriti il sole ardea.
Quando Tobia meschino del can riconobbe il latrato
8 e brancolando porse le bianche mani,
messa dal ciel sovvenne la santa pietà: Rafaele
10 biondo a' lassi occhi rese il bel figlio e il lume.
Stanno ne l'ampia terra gli eroi del pensiero in disparte:
12 a Rafaele tende le braccia il mondo.
SOGNO D'ESTATE
Tra le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre sonanti
la calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra 'l sonno
in riva di Scamandro, ma il cor mi fuggí su 'l Tirreno.
Sognai, placide cose de' miei novelli anni sognai.
5 Non piú libri: la stanza da 'l sole di luglio affocata,
rintronata da i carri rotolanti su 'l ciottolato
de la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli,
cari selvaggi colli che il giovane april rifioria.
Scendeva per la piaggia con mormorii freschi un zampillo
10 pur divenendo rio: su 'l rio passeggiava mia madre
florida ancor ne gli anni, traendosi un pargolo a mano
cui per le spalle bianche splendevano i riccioli d'oro.
Andava il fanciulletto con piccolo passo di gloria,
superbo de l'amore materno, percosso nel core
15 da quella festa immensa che l'alma natura intonava.
Però che le campane sonavano su dal castello
annunzïando Cristo tornante dimane a' suoi cieli;
e su le cime e al piano, per l'aure, pe' rami, per l'acque,
correa la melodia spirituale di primavera;
20 ed i pèschi ed i méli tutti eran fior bianchi e vermigli,
e fior gialli e turchini ridea tutta l'erba al di sotto,
ed il trifoglio rosso vestiva i declivii de' prati,
e molli d'auree ginestre si paravano i colli,
e un'aura dolce movendo quei fiori e gli odori
25 veniva giú da 'l mare; nel mar quattro candide vele
andavano andavano cullandosi lente nel sole,
che mare e terra e cielo sfolgorante circonfondeva.
La giovine madre guardava beata nel sole.
Io guardava la madre, guardava pensoso il fratello,
30 questi che or giace lungi su 'l poggio d'Arno fiorito,
quella che dorme presso ne l'erma solenne Certosa;
pensoso e dubitoso s'ancora ei spirassero l'aure
o ritornasser pii del dolor mio da una plaga
ove tra note forme rivivono gli anni felici.
35 Passâr le care imagini, disparvero lievi co 'l sonno.
Lauretta empieva intanto di gioia canora le stanze,
Bice china al telaio seguia cheta l'opra de l'ago.
COLLI TOSCANI
Colli toscani e voi pacifiche selve d'olivi
a le cui ombre chete stetti in pensier d'amore,
tósca vendemmia e tu da' grappi vermigli spumanti
4 in faccia al sole tra giocondi strepiti,
sole de' giovini anni; ridete a la dolce fanciulla
che amor mi strappa e rende sposa al toscano cielo;
voi le ridete, e quella che sempre negaronmi i fati
8 pace d'affetti datele ne l'anima.
Colli, tacete, e voi non susurratele, olivi,
non dirle, o sol, per anche, tu onniveggente, pio,
ch'oltre quel monte giaccion, lei forse aspettando, que' miei
12 che visser tristi, che in dolor morirono.
Ella ammirando guarda la cima, tremarsi nel cuore
sente la vita e un lieve spirto sfiorar le chiome,
mentre l'aura montana, calando già il sole, d'intorno
16 al giovin capo le agita il vel candido.
PER LE NOZZE DI MIA FIGLIA
O nata quando su la mia povera
casa passava come uccel profugo
la speranza, e io disdegnoso
4 battea le porte de l'avvenire;
or che il piè saldo fermai su 'l termine
cui combattendo valsi raggiungere
e rauchi squittiscon da torno
8 i pappagalli lusingatori;
tu mia colomba t'involi, trepida
il nuovo nido voli a contessere
oltre Apennino, nel nativo
12 aëre dolce de' colli tóschi.
Va' con l'amore, va' con la gioia,
va' con la fede candida. L'umide
pupille fise al vel fuggente,
16 la mia Camena tace e ripensa.
Ripensa i giorni quando tu parvola
coglievi fiori sotto le acacie,
ed ella reggendoti a mano
20 fantasmi e forme spïava in cielo.
Ripensa i giorni quando a la morbida
tua chioma intorno rogge strisciavano
le strofe contro a gli oligarchi
24 librate e al vulgo vile d'Italia.
E tu crescevi pensosa vergine,
quand'ella prese d'assalto intrepida
i clivi de l'arte e piantovvi
28 la sua bandiera garibaldina.
Riguarda, e pensa. De gli anni il tramite
teco fia dolce forse ritessere,
e risognare i cari sogni
32 nel blando riso de' figli tuoi?
O forse meglio giova combattere
fino a che l'ora sacra richiamine?
Allora, o mia figlia, - nessuna
36 me Beatrice ne' cieli attende -
allora al passo che Omero ellenico
e il cristïano Dante passarono
mi scorga il tuo sguardo,
40 la nota voce tua m'accompagni.
PRESSO L'URNA DI PERCY BYSSHE SHELLEY
Lalage, io so qual sogno ti sorge dal cuore profondo,
2 so quai perduti beni l'occhio tuo vago segue.
L'ora presente è in vano, non fa che percuotere e fugge;
4 sol nel passato è il bello, sol ne la morte è il vero.
Pone l'ardente Clio su 'l monte de' secoli il piede
6 agile, e canta, ed apre l'ali superbe al cielo.
Sotto di lei volante si scuopre ed illumina l'ampio
8 cimitero del mondo, ridele in faccia il sole
de l'età nova. O strofe, pensier de' miei giovini anni,
10 volate omai secure verso gli antichi amori;
volate pe' cieli, pe' cieli sereni, a la bella
12 isola risplendente di fantasia ne' mari.
Ivi poggiati a l'aste Sigfrido ed Achille alti e biondi
14 erran cantando lungo il risonante mare:
dà fiori a quello Ofelia sfuggita al pallido amante,
16 dal sacrificio a questo Ifïanassa viene.
Sotto una verde quercia Rolando con Ettore parla,
18 sfolgora Durendala d'oro e di gemme al sole:
mentre al florido petto richiamasi Andromache il figlio;
20 Alda la bella, immota, guarda il feroce sire.
Conta re Lear chiomato a Edippo errante sue pene,
22 con gli occhi incerti Edippo cerca la sfinge ancora:
la pia Cordelia chiama - Deh, candida Antigone, vieni!
24 vieni, o greca sorella! Cantiam la pace a i padri. -
Elena e Isotta vanno pensose per l'ombra de i mirti,
26 il vermiglio tramonto ride a le chiome d'oro:
Elena guarda l'onde: re Marco ad Isotta le braccia
28 apre, ed il biondo capo su la gran barba cade.
Con la regina scota su 'l lido nel lume di luna
30 sta Clitennestra: tuffan le bianche braccia in mare,
e il mar rifugge gonfio di sangue fervido: il pianto
32 de le misere echeggia per lo scoglioso lido.
O lontana a le vie de i duri mortali travagli
34 isola de le belle, isola de gli eroi,
isola de' poeti! Biancheggia l'oceano d'intorno,
36 volano uccelli strani per il purpureo cielo.
Passa crollando i lauri l'immensa sonante epopea
38 come turbin di maggio sopra ondeggianti piani;
o come quando Wagner possente mille anime intona
40 a i cantanti metalli; trema a gli umani il core.
Ah, ma non ivi alcuno de' novi poeti mai surse,
42 se non tu forse, Shelley, spirito di titano,
entro virginee forme: dal divo complesso di Teti
44 Sofocle a volo tolse te fra gli eroici cori.
O cuor de' cuori, sopra quest'urna che freddo ti chiude
46 odora e tepe e brilla la primavera in fiore.
O cuor de' cuori, il sole divino padre ti avvolge
48 de' suoi raggianti amori, povero muto cuore.
Fremono freschi i pini per l'aura grande di Roma:
50 tu dove sei, poeta del liberato mondo?
Tu dove sei? m'ascolti? Lo sguardo mio umido fugge
52 oltre l'aurelïana cerchia su 'l mesto piano.
AVE
IN MORTE DI G. P.
Or che le nevi premono,
lenzuol funereo, le terre e gli animi,
e de la vita il fremito
4 fioco per l'aura vernal disperdesi,
tu passi, o dolce spirito:
forse la nuvola ti accoglie pallida
là per le solitudini
8 del vespro e tenue teco dileguasi.
Noi, quando a' soli tepidi
un desio languido ricerca l'anime
e co' i fiori che sbocciano
12 torna Persèfone da gli occhi ceruli,
noi penseremo, o tenero,
a te non reduce. Sotto la candida
luna d'april trascorrere
16 vedrem la imagine cara accennandone.
NEVICATA
Lenta fiocca la neve pe 'l cielo cinerëo: gridi,
2 suoni di vita piú non salgon da la città,
non d'erbaiola il grido o corrente rumore di carro,
4 non d'amor la canzon ilare e di gioventú.
Da la torre di piazza roche per l'aere le ore
6 gemon, come sospir d'un mondo lungi dal dí.
Picchiano uccelli raminghi a' vetri appannati: gli amici
8 spiriti reduci son, guardano e chiamano a me.
In breve, o cari, in breve - tu càlmati, indomito cuore -
10 giú al silenzio verrò, ne l'ombra riposerò.
CONGEDO
A' lor cantori diano i re fulgente
collana d'oro lungo il petto, i volghi
a' lor giullari dian con roche strida
4 suono di mani.
Premio del verso che animoso vola
da le memorie a l'avvenire, io chiedo
colma una coppa a l'amicizia e il riso
8 de la bellezza.
Come ricordo d'un mattin d'aprile
puro è il sorriso de le belle, quando
l'età fugace chiudere s'affretta
12 il nono lustro;
e tra i bicchier che l'amistade infiora
vola serena imagine la morte,
come a te sotto i platani d'Ilisso,
16 divo Platone.
VERSIONI
TOMBE PRECOCI
DA FR. G. KLOPSTOCK
Ben vieni, o bell'astro d'argento,
compagno tacente a la notte.
Tu fuggi? oh rimanti, splendore pensoso!
4 Vedete? ei rimane: la nuvola va.
Piú bel d'una notte d'estate
è solo il mattino di maggio:
a lui la rugiada gocciando da i ricci
8 riluce, e vermiglio pe 'l colle va su.
O cari, già il musco severo
a voi sopra i tumuli crebbe:
deh come felice vedeva io con voi
12 le notti d'argento, vermigli i bei dí!
NOTTE D'ESTATE
DA FR. G. KLOPSTOCK
Quando il tremulo splendore de la luna
si diffonde giú pe' boschi, quando i fiori
e i molli aliti de i tigli
4 via pe 'l fresco esalano,
il pensiero de le tombe come un'ombra
in me scende; né piú i fiori né piú i tigli
dànno odore; tutto il bosco
8 è per me crepuscolo.
Queste gioie con voi, morti, m'ebbi un tempo:
come il fresco era e il profumo dolce intorno!
come bella eri, o natura,
12 in quell'albor tremulo!
LA TORRE DI NERONE
DA A. VON PLATEN
Narra la fama, e ancor n'ha orrore il popolo:
Nerone, indétto a la città l'incendio,
salí su quella torre a lo spettacolo
4 del rogo, allegro ed avido.
Correano al cenno suo gl'incendiarii,
baccanti in festa, e roteavan picei
serti di fiamma. Dritto su' merli aurei
8 Neron tocca la cetera.
- Gloria - egli canta - al fuoco: a l'oro ei simile
ei degno del Titan che al cielo tolselo:
l'augel di Giove il porta; ed il primo alito
12 egli accolse di Bromio.
Vieni, splendido nume: al crine i pampini,
molle danza su 'l mondo anzi che in polvere
torni: di Roma qui raccogli il cenere
16 e nel tuo vino mescilo.
ERO E LEANDRO
DA A. VON PLATEN
Ero l'amata muore, ne i flutti cercando la morte:
2 Saffo l'amante muore, morte chiedendo a i flutti.
Amore, iddio crudele, a te cadon vittime entrambe:
4 scorgile tu nel cheto reame di Persèfone.
Ma di Leandro al petto conduci la vergin di Sesto,
6 guida al fiume di Lete la deserta di Lesbo.
LA LIRICA
DA A. VON PLATEN
A la materia l'anima s'appiglia,
polso del mondo è l'azïone; e a sorde
orecchie spesso versa i canti l'alta
4 lirica musa.
A tutti Omero s'apre e svarïati
gli arazzi de la favola dispiega,
l'autor del dramma trascinando i volghi
8 le scene eleva.
Ma il vol del sacro Pindaro, di Flacco
l'arte e, o Petrarca, il tuo librato verso,
lento ne i cuori imprimesi, e a la plebe
12 ardüo sfugge.
Grazia che pensa, non agevol ritmo
di canzoncine intorno la teletta:
non lieve sguardo penetra le loro
16 alme possenti.
Eterno vaga per le genti il nome,
ma raro ad essi spirito s'aggiunge
amico e pio che onori le gagliarde
20 menti profonde.
.
1 comment