Sono, a voi sconosciuti, uomini, anch’essi mortali sì, ma, come dei, celesti,
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che non coi piedi, come i lenti bovi,
vanno, e con la vicenda dei ginocchi,
ma con la spinta delle aeree braccia,
come gli uccelli, ed hanno il color d’aria sotto di sé, vasto. Io vidi viaggiando
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sbocciar le stelle fuor del cielo infranto, sotto questi occhi, e il guidator del Carro venir con me fischiando ai buoi lontano,
e l’auree rote lievi sbalzar sulla
tremola ghiaia della strada azzurra.
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Né sempre l’ali noi tra cielo e cielo
battiamo: spesso noi prendiamo il vento:
a mezzo un ringhio acuto, per le froge
larghe prendiamo il vano vento folle,
che ci conduca, e con la forte mano
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le briglie io reggo per frenarlo al passo.
Ma un dio ce n’odia, come voi la terra
odia, che voi sostenta sì, ma spezza.
Ch’ha tutto un fine. Or tu fa che un torello dal re mi venga, ed un agnello e un verro; 25
che qui ne onori quell’ignoto iddio”.
E l’altro ancora rispondea stupito:
“L’ignoto è grande, e grande più, se dio.
Or vieni al re, che raddolcito ha il cuore oggi, che il grano gli avanzò le corbe”.
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Così l’eroe divino in una forra
selvosa il remo suo piantò, la lieve
ala incrostata dalla salsa gromma.
Al dio sdegnato per il suo Ciclope,
egli uccise un torello ed un agnello
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e terzo un verro montator di scrofe;
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 37
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– L’ultimo viaggio Q
e poi discese, e insieme a lui più lune
vennero, e l’una dopo l’altra ognuna
sé, girando tra roccie aspre, consunse.
L’ultima, piena tremolò sul mare
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riscintillante, e su la bianca sabbia,
piccola e nera gli mostrò la nave,
e i suoi compagni, ch’attendean guardando
a monte, muti. Ed ei salpò. Sbalzare
vide ancora le rote auree del Carro
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sopra le ghiaie dell’azzurra strada:
rivide il fumo salir su, rivide
Itaca scabra, e la sua grande casa.
Dove il timone al focolar sospese.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 38
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– L’ultimo viaggio Q
III
LE GRU NOCCHIERE
E un canto allora venne a lui dall’alto,
di su le nubi, di raminghe gru.
— Sospendi al fumo ora il timone, e dormi.
Le Gallinelle fuggono lo strale
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già d’Orione, e son cadute in mare.
Rincalza su la spiaggia ora la nave
nera con pietre, che al ventar non tremi,
Eroe; ché sono per soffiare i venti.
L’alleggio della stiva apri, che l’acqua
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scoli e non faccia poi funghir le doghe,
Eroe; ché sono per cader le pioggie.
Sospendi al fumo ora il timone, e in casa
tieni all’asciutto i canapi ritorti,
ogni arma, ogni ala della nave, e dormi.
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Ché viene il verno, viene il freddo acuto
che fa nei boschi bubbolar le fiere
che fuggono irte con la coda al ventre:
quando a tre piedi, il filo della schiena
rotto a metà, la grigia testa bassa,
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il vecchio va sotto la neve bianca;
e il randagio pitocco entra dal fabbro,
nella fucina aperta, e prende sonno
un poco al caldo tra l’odor di bronzo.
Navigatore di cent’arti, dormi
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nell’alta casa, o, se ti piace, solca
ora la terra, dopo arata l’onda. —
Questo era canto che rodeva il cuore
del timoniere, che volgea la barra
verso un approdo, e tedio avea dell’acqua; 30
ché passavano, agli uomini gridando
giunto il maltempo, venti nevi pioggie,
e lo sparire delle stelle buone;
e tra le nubi esse con fermo cuore,
gittando rauche grida alla burrasca,
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andavano, e coi remi battean l’aria.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 39
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IV
LE GRU GUERRIERE
Dicean — Dormi — al nocchiero — Ara — al villano, di su le nubi, le raminghe gru.
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