Non so perché, mi dice il cuore che, girando la manovella di questa macchinetta di presa, io sono destinato a fare anche la vostra vendetta e del vostro povero Giorgio, cara Duccella, cara nonna Rosa!

Quaderno terzo

I

Un lieve sterzo. C'è una carrozzella che corre davanti. - Pò, pòpòòò, pòòò. Che? La tromba dell'automobile la tira indietro? Ma sì! Ecco pare che la faccia proprio andare indietro, comicamente. Le tre signore dell'automobile ridono, si voltano, alzano le braccia a salutare con molta vivacità, tra un confuso e gajo svolazzìo di veli variopinti; e la povera carrozzella, avvolta in una nuvola alida, nauseante, di fumo e di polvere, per quanto il cavalluccio sfiancato si sforzi di tirarla col suo trotterello stracco, séguita a dare indietro, indietro, con le case, gli alberi, i rari passanti, finché non scompare in fondo al lungo viale fuor di porta. Scompare? No: che! È scomparsa l'automobile, la carrozzella, invece, eccola qua, che va avanti ancora, pian piano, col trotterello stracco, uguale, del suo cavalluccio sfiancato. E tutto il viale par che rivenga avanti, pian piano, con essa. Avete inventato le macchine? E ora godetevi questa e consimili sensazioni di leggiadra vertigine. Le tre signore dell'automobile sono tre attrici della Kosmograph, e hanno salutato con tanta vivacità la carrozzella strappata indietro dalla loro corsa meccanica non perché nella carrozzella ci sia qualcuno molto caro a loro; ma perché l'automobile, il meccanismo le inebria e suscita in loro una così sfrenata vivacità. La hanno a disposizione: servizio gratis; paga la Kosmograph. Nella carrozzella ci sono io. M'han veduto scomparire in un attimo, dando indietro comicamente, in fondo al viale; hanno riso di me; a quest'ora sono già arrivate. Ma ecco che io rivengo avanti, care mie. Pian pianino, sì; ma che avete veduto voi una carrozzella dare indietro, come tirata da un filo, e tutto il viale assaettarsi avanti in uno striscio lungo confuso violento vertiginoso. Io, invece, ecco qua, posso consolarmi della lentezza ammirando a uno a uno, riposatamente, questi grandi platani verdi del viale, non strappati dalla vostra furia, ma ben piantati qua, che volgono a un soffio d'aria nell'oro del sole tra i bigi rami un fresco d'ombra violacea: giganti della strada, in fila, tanti, aprono e reggono con poderose braccia le immense corone palpitanti al cielo. Caccia, sì, ma non forte, vetturino! È così stanco codesto tuo vecchio cavalluccio sfiancato. Tutti gli passano avanti: automobili, biciclette, tram elettrici; e la furia di tanto moto per le strade sospinge anche lui, senza ch'esso lo sappia o lo voglia, gli sforza irresistibilmente le povere gambe anchilosate, affaticate nel trasporto, da un punto all'altro della grande città, di tanta gente afflitta, oppressa e smaniosa, per bisogni, miserie, faccende, aspirazioni, ch'esso non può capire! E forse più di tutti lo stancano quei pochi che montano su la carrozzella con la voglia di divertirsi, e non sanno dove né come. Povero cavalluccio, la testa gli s'abbassa di mano in mano, e non la rialza più-, neanche se tu lo frusti a sangue, vetturino! - Ecco, a destra... volta a destra! La Kosmograph è qua, in questa traversa remota, fuor di porta.

II

Affossata, polverosa, appena tracciata in principio, ha l'aria e la mala grazia di chi, aspettandosi di star tranquillo, si veda, al contrario, seccato di continuo. Ma se non ha diritto a qualche fresco cespuglietto d'erba, a tutti quei fili di suono sottili vaganti, con cui il silenzio nelle solitudini tesse la pace, al quacquà di qualche raganella quando piove e le pozze d'acqua piovana rispecchiano nella notte rasserenata le stelle; insomma a tutte le delizie della natura aperta e deserta, una strada di campagna, parecchi chilometri fuor di porta, non so chi l'abbia, veramente. Invece: automobili, carrozze, carri, biciclette, e tutto il giorno un trànsito ininterrotto d'attori, d'operatori, di macchinisti, d'operaj, di comparse, di fattorini, e frastuono di martelli, di seghe, di pialle, e polverone e puzzo di benzina. Gli edificii, alti e bassi, della grande Casa cinematografica si levano in fondo alla strada, da una parte e dall'altra; ne sorgono alcuni più là, senz'ordine, entro il vastissimo recinto, che si estende e spazia nella campagna: uno, più alto di tutti, è sovrastato come da una torre vetrata, di vetri opachi, che sfòlgorano al sole; e nel muro in vista dalla strada e dal viale, su la bianchezza abbarbagliante della calce, a lettere nere, cubitali, sta scritto: LA "KOSMOGRAPH"

L'entrata è a sinistra, da una porticina accanto al cancello, che s'apre di rado. Dirimpetto è un'osteria di campagna, battezzata pomposamente Trattoria della Kosmograph, con una bella pergola su l'incannucciata, che ingabbia tutto il così detto giardino e vi fa dentro un'aria verde. Cinque o sei tavole rustiche, dentro, non molto ferme su i quattro piedi, e seggiole e panchette. Parecchi attori, truccati e parati di strani costumi, vi seggono e discutono animatamente; uno grida più forte di tutti, battendosi con furia una mano su la coscia: - E io vi dico che bisogna prenderla qua, qua, qua! E le manate, su i calzoni di pelle, pajono spari. Parlano certo della tigre, comperata or è poco dalla Kosmograph; del modo come dev'essere uccisa; del punto preciso in cui dev'essere colpita. Se ne son fatta una fissazione. A sentirli, pare che siano tutti di professione cacciatori di bestie feroci. Affollati innanzi all'entrata, stanno ad ascoltarli con visi ridenti gli chauffeurs delle vetturette, automobili, logore, impolverate; i vetturini delle carrozzelle in attesa, là in fondo, ove la traversa è chiusa da una siepe di stecchi e spuntoni; e tant'altra povera gente, la più miserabile ch'io mi conosca, sebbene vestita con una certa decenza. Sono (chiedo scusa, ma qui tutto ha nome francese o inglese) sono i cachets avventizii, coloro cioè che vengono a profferirsi, a un bisogno, per comparse.