Sono operatore. Ma veramente, essere operatore, nel mondo io cui vivo e di cui vivo, non vuol mica dire operare. Io non opero nulla. Ecco qua. Colloco sul treppiedi a gambe rientranti la mia macchinetta. Uno o due apparatori, secondo le mie indicazioni, tracciano sul tappeto o su la piattaforma con una lunga pertica e un lapis turchino i limiti entro i quali gli attori debbono muoversi per tenere in fuoco la scena. Questo si chiama segnare il campo. Lo segnano gli altri; non io: io non faccio altro che prestare i miei occhi alla macchinetta perché possa indicare fin dove arriva a prendere. Apparecchiata la scena, il direttore vi dispone gli attori e suggerisce loro l'azione da svolgere. Io domando al direttore: - Quanti metri? Il direttore, secondo la lunghezza della scena, mi dice approssimativamente il numero dei metri di pellicola che abbisognano, poi grida agli attori: - Attenti, si gira! E io mi metto a girar la manovella. Potrei farmi l'illusione che, girando la manovella, faccia muover io quegli attori, press'a poco come un sonatore d'organetto fa la sonata girando il manubrio. Ma non mi faccio né questa né altra illusione, e séguito a girare finché la scena non è compiuta; poi guardo nella macchinetta e annunzio al direttore: - Diciotto metri, - oppure: - trentacinque. E tutto è qui. Un signore, venuto a curiosare, una volta mi domandò: - Scusi, non si è trovato ancor modo di far girare la macchinetta da sé? Vedo ancora la faccia di questo signore: gracile, pallida, con radi capelli biondi; occhi cilestri, arguti, barbetta a punta, gialliccia, sotto la quale si nascondeva un sorrisetto, che voleva parer timido e cortese, ma era malizioso. Perché con quella domanda voleva dirmi: - Siete proprio necessario voi? Che cosa siete voi? Una mano che gira la manovella. Non si potrebbe fare a meno di questa mano? Non potreste esser soppresso, sostituito da un qualche meccanismo? Sorrisi e risposi: - Forse col tempo, signore. A dir vero, la qualità precipua che si richiede in uno che faccia la mia professione è l'impassibilità di fronte all'azione che si svolge davanti alla macchina. Un meccanismo, per questo riguardo, sarebbe senza dubbio più adatto e da preferire a un uomo. Ma la difficoltà più grave, per ora, è questa: trovare un meccanismo, che possa regolare il movimento secondo l'azione che si svolge davanti alla macchina. Giacché io, caro signore, non giro sempre allo stesso modo la manovella, ma ora più presto ora più piano, secondo il bisogno. Non dubito però, che col tempo - sissignore - si arriverà a sopprimermi. La macchinetta - anche questa macchinetta, come tante altre macchinette - girerà da sé. Ma che cosa poi farà l'uomo quando tutte le macchinette gireranno da sé, questo, caro signore, resta ancora da vedere.

II

Soddisfo, scrivendo, a un bisogno di sfogo, prepotente. Scarico la mia professionale impassibilità e mi vendico, anche; e con me vendico tanti, condannati come me a non esser altro, che una mano che gira una manovella. Questo doveva avvenire, e questo è finalmente avvenuto! L'uomo che prima, poeta, deificava i suoi sentimenti e li adorava, buttati via i sentimenti, ingombro non solo inutile ma anche dannoso, e divenuto saggio e industre, s'è messo a fabbricar di ferro, d'acciajo le sue nuove divinità ed è diventato servo e schiavo di esse. Viva la Macchina che meccanizza la vita! Vi resta ancora, o signori, un po' d'anima, un po' di cuore e di mente? Date, date qua alle macchine voraci, che aspettano! Vedrete e sentirete, che prodotto di deliziose stupidità ne sapranno cavare. Per la loro fame, nella fretta incalzante di saziarle, che pasto potete estrarre da voi ogni giorno, ogni ora, ogni minuto? È per forza il trionfo della stupidità, dopo tanto ingegno e tanto studio spesi per la creazione di questi mostri, che dovevano rimanere strumenti e sono divenuti invece, per forza, i nostri padroni. La macchina è fatta per agire, per muoversi, ha bisogno di ingojarsi la nostra anima, di divorar la nostra vita. E come volete che ce le ridiano, l'anima e la vita, in produzione centuplicata e continua, le macchine? Ecco qua: in pezzetti e bocconcini, tutti d'uno stampo, stupidi e precisi, da farne, a metterli sù, uno su l'altro, una piramide che potrebbe arrivare alle stelle. Ma che stelle, no, signori! Non ci credete.