E nessuno crede sul serio di poterla creare, quest'illusione. Si fa alla meglio per dar roba da prendere alla macchina, qua nei cantieri, là nei quattro teatri di posa o nelle piattaforme. Il pubblico, come la macchina, prende tutto. Si fan denari a palate, e migliaja e migliaja di lire si possono spendere allegramente per la costruzione d'una scena, che su lo schermo non durerà più di due minuti. Apparatori, macchinisti, attori si dànno tutti l'aria d'ingannare la macchina, che darà apparenza di realtà a tutte le loro finzioni. Che sono io per essi, io che con molta serietà assisto impassibile, girando la manovella, a quel loro stupido giuoco?
IV
Permettete un momento. Vado a vedere la tigre. Dirò, seguiterò a dire, riprenderò il filo del discorso più tardi, non dubitate. Bisogna che vada, per ora, a vedere la tigre. Dacché l'hanno comperata, sono andato ogni giorno a visitarla, prima di mettermi all'opera. Due giorni soli non ho potuto, perché non me n'hanno dato il tempo. Abbiamo avuto qua altre bestie feroci sebbene molto immalinconite: due orsi bianchi, che passavano le giornate, ritti su le zampe di dietro, a picchiarsi il petto, come trinitarii in penitenza: tre leoncini freddolosi, ammucchiati sempre in un canto della gabbia, l'uno su l'altro: anche altre bestie, non propriamente feroci: un povero struzzo spaventato d'ogni rumore come un pulcino, e sempre incerto di posare il piede: parecchie scimmie indiavolate. La Kosmograph è fornita di tutto, e anche d'un serraglio, per quanto gl'inquilini vi durino poco. Nessuna bestia m'ha parlato come questa tigre. Quando noi l'abbiamo avuta, era arrivata da poco, dono di non so quale illustre personaggio straniero, al Giardino Zoologico di Roma. Al Giardino Zoologico non han potuto tenerla, perché assolutamente irriducibile, non dico a farle soffiare il naso col fazzoletto, ma neanche a rispettare le regole più elementari della vita sociale. Tre, quattro volte minacciò di saltare il fosso, si provò anzi a saltarlo, per lanciarsi sui visitatori del Giardino, che stavano pacificamente ad ammirarla da lontano. Ma qual altro pensiero più spontaneo di questo poteva sorgere in mente a una tigre (se non volete in mente, diciamo nelle zampe), che quel fosso cioè fosse fatto appunto perché essa si provasse a saltarlo e che quei signori si fermassero lì davanti per essere divorati da lei, se riusciva a saltare? È certo un pregio sapere stare allo scherzo; ma sappiamo che non tutti l'hanno. Parecchi non sanno neppure tollerare che altri pensi di poter scherzare con loro. Parlo di uomini, i quali pure, in astratto, possono riconoscer tutti che talvolta sia cosa lecita scherzare. La tigre, voi dite, non sta esposta in giardino zoologico per ischerzo. Lo credo. Ma non vi sembra uno scherzo pensare, ch'essa possa supporre che la teniate lì esposta per dare al popolo una "nozione vivente" di storia naturale? Eccoci al punto di prima. Questa - non essendo noi propriamente tigri ma uomini - è retorica. Possiamo aver compatimento per un uomo che non sappia stare allo scherzo; non dobbiamo averne per una bestia; tanto più se questo scherzo a cui l'abbiamo esposta, dico della "nozione vivente", può avere conseguenze funeste: cioè per i visitatori del Giardino Zoologico, una nozione troppo sperimentale della ferocia di essa. Questa tigre fu dunque saggiamente condannata a morte. La Società della Kosmograph riuscì a saperlo in tempo e la comperò. Ora è qui, in una gabbia del nostro serraglio. Dacché è qui, è saggissima. Come si spiega? Il nostro trattamento, senza dubbio, le sembra molto più logico.
1 comment