Re Lear

 

WILLIAM SHAKESPEARE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

RE LEAR

 

Tragedia in 5 atti

 

Traduzione e note di Goffredo Raponi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Titolo originale “THE TRAGEDY OF KING LEAR”

 

NOTE PRELIMINARI

 

 

 

  1. Il testo inglese adottato per la traduzione è quello dell’edizione dell’opera completa di Shakespeare curata dal prof. Peter Alexander (“William Shakespeare – The Complete Works”, Collins, London & Glasgow, 1960, pp. XXXII-1376) con qualche variante suggerita da altri testi, in particolare quello della più recente edizione dell’Oxford Shakespeare curata da S. Wells & G. Taylor per la Clarendon Press di Oxford, U.S.A, 1994, pp. XLIX - 1274. Questa comprende anche “I due nobili cugini” (“The Two Noble Kinsmen”) che manca nell’Alexander.

 

    1. Alcune didascalie (“stage instructions”) sono state aggiunte dal traduttore di sua iniziativa, per la migliore comprensione dell’azione scenica alla lettura, cui questa traduzione è essenzialmente ordinata ed intesa, il traduttore essendo convinto della irrappresentabilità del teatro di Shakespeare sulle moderne ribalte. Si è lasciata comunque invariata, all’inizio e alla fine della scena o all’entrata ed uscita dei personaggi nel corso della stessa scena, la rituale indicazione “Entra”/ “Entrano” (“Enter”) e “Esce”/ “Escono” (“Exit”/“Exeunt”), avvertendo peraltro che non sempre essa indica movimenti di entrata/ uscita, potendosi dare che i personaggi cui si riferisce si trovino già in scena all’apertura o vi restino a chiusura della stessa.

 

    1. Il metro è l’endecasillabo sciolto alternano da settenari. Altro metro si è usato per citazioni, proverbi, canzoni, cabalette e altro, quando sia stato richiesto, in accordo col testo, uno stacco di stile.

 

    1. I nomi dei personaggi e delle località sono resi nella forma italiana, quando ne esista il corrispondente. Sono lasciati nella forma inglese i nomi di persona quando preceduti da Sir o da Lady.

 

    1. In questo dramma, più che in altri di Shakespeare, ha una parte cospicua il personaggio del “Fool”, che viene comunemente reso con “Buffone”. Anche se questo appellativo è stato usato qua e là nella traduzione, il personaggio è indicato, nel cast dei personaggi e nel corso del testo, come “Il Matto”, per distinguerlo appunto dagli altri buffoni shakespeariani.(1)

 

    1. Il traduttore riconosce di essersi avvalso di traduzioni precedenti, dalle quali ha preso in prestito, oltre alla interpretazione di passi controversi del copione, intere frasi e costrutti, di tutto dando opportuno credito in nota.

 

PERSONAGGI

 

RE LEAR, sovrano di Britannia

IL RE DI FRANCIA

IL DUCA DI BORGOGNA

IL DUCA DI CORNOVAGLIA

IL DUCA D’ALBANIA

IL CONTE DI KENT

IL CONTE DI GLOUCESTER

EDGARDO, suo figlio

EDMONDO, suo figlio bastardo

UN VECCHIO, suo vassallo

CURANO, cortigiano

OSVALDO, maggiordomo di Gonerilla

UN MEDICO

IL MATTO, buffone di corte

UN UFFICIALE, al servizio di Edmondo

UN GENTILUOMO, al servizio di Cordelia

UN ARALDO

GONERILLA

REGANA

figlie di Re Lear

CORDELIA

Servi del Duca di Cornovaglia

Cavalieri del seguito di Lear

Ufficiali

Messaggeri

Soldati

Persone del seguito

 

 

 

 

SCENA: in Britannia.

 

ATTO PRIMO

 

 

 

SCENA I – Sala nel palazzo di Re Lear. Un grande tavolo con sedie nel mezzo.

 

Entrano KENT, GLOUCESTER e EDMONDO

 

KENT -

Mi pareva che il re

prediligesse il Duca d’Albania

al Cornovaglia.(2)

GLOUCESTER -

Così anche a noi;

senonché ora, nella spartizione

che vuol fare del regno, non appare

quale dei duchi ei voglia prediligere;

son sì ben bilanciate le lor parti,

ch’anche il più minuzioso scrutatore

non saprebbe indicare quale scegliere.

KENT -

(Indicando il giovane Edmondo)

Vostro figlio, signore?

GLOUCESTER -

A me è toccato crescerlo, signore.

Il riconoscerlo come mio figlio

m’ha procurato ormai tanti rossori

che ormai ci ho fatto la faccia di bronzo.

KENT -

Come?… Mi pare di non concepire…

GLOUCESTER -

Oh, quanto a concepire,(3) signor mio,

ci riuscì benissimo la madre

di questo bellimbusto, e per l’appunto

divenne tanto rotondetta in grembo

da ritrovarsi un figlio nella culla

prima d’avere un marito nel letto.

Che, vi pare mal fatto?

KENT -

Anzi, tutt’altro;

mi spiacerebbe che fosse disfatto,

visto il bel frutto.

GLOUCESTER -

Ho, però, un altro figlio,

signore, fatto a rispetto di legge,

più o meno un anno maggiore di lui,

che non tengo però in maggior conto,

nonostante che sia venuto al mondo

piuttosto alla sprovvista, il birboncello

voglio dire, senz’esservi chiamato;

ma sua madre era bella,

e il fabbricarlo è stato un bel trastullo;

ed il bastardo va riconosciuto.

Conosci questo gentiluomo, Edmondo?

EDMONDO -

No, signore.

GLOUCESTER -

È Lord Kent.

D’ora in avanti ti devi ricordare

di lui come d’un mio onorato amico.

EDMONDO -

(A Kent)

Servitore di vostra signoria.

KENT -

Ti dovrò voler bene, giovanotto,

e conoscerti meglio, con il tempo.

EDMONDO -

Farò di meritarlo, mio signore.

GLOUCESTER -

È stato via nove anni,

e dovrà presto partire di nuovo.

(Squilli di tromba all’interno)(4)

Ma ecco, arriva il re.

Entra uno che reca su un cuscino di velluto rosso una corona; dietro a lui, nell’ordine, RE LEAR, il DUCA D’ALBANIA, il DUCA DI CORNOVAGLIA, GONERILLA, REGANA, CORDELIA e persone del seguito.

LEAR -

Gloucester,(5) andate voi ad occuparvi

dei signori di Francia e di Borgogna.

GLOUCESTER -

Va bene, mio sovrano.

(Esce insieme con Edmondo)

LEAR -

Nel frattempo vi renderemo note

qui le nostre segrete decisioni.

Ecco la mappa.

(Dispiega sul tavolo un rotolo con la mappa del regno)

Voglio che sappiate

che abbiam diviso il nostro regno in tre

e che è nostro preciso intendimento

scrollarci dalle nostre vecchie spalle

tutte le cure e gli affari di Stato

per affidarli a più giovani forze,

mentre, sgravati ormai d’ogni fardello,

ci avviamo alla morte.

Figlio nostro di Cornovaglia, e voi

non meno caro figlio d’Albania,

è nostra ferma volontà in quest’ora

notificarvi quel che avranno in dote

le nostre figlie, sì da prevenire

sin d’ora ogni futura lor discordia.

I principi di Francia e di Borgogna,

rivali illustri nel chieder la mano

della nostra più giovane figliola,

hanno protratto ormai fin troppo a lungo

l’amoroso soggiorno in questa corte,

e bisognerà dar loro risposta.

Ordunque ditemi, figliole mie,(6)

poiché siamo in procinto di spogliarci

da oggi d’ogni nostra potestà,

come di ogni possesso materiale

e d’ogni altro interesse dello Stato,

ditemi dunque quale di voi tre

dovremo dire ci vuol più bene,

sì che la nostra liberalità

si possa estendere in maggior misura

a quella nel cui animo l’affetto

naturale di figlia rivaleggia

con il merito.(7) Parla tu per prima,

Gonerilla, che sei nata per prima.

GONERILLA -

Signore, il bene mio è ben maggiore

di quanto possa dirvi la parola;

v’ho più caro della mia stessa vista,

del mio spazio, della mia libertà,

più d’ogni cosa al mondo,

per preziosa e per ricca che si stimi;

io non v’ho meno caro d’una vita

che sia fatta di grazia, di salute,

di bellezza, d’onore; v’amo il massimo

che possa amare un figlio il padre, e il padre

essere amato: v’amo d’un amore

che la mia lingua è povera e impotente

a dire: v’amo oltre ogni misura.(8)

CORDELIA -

(Tra sé)

Che potrà dir Cordelia?

Tacere, solo, ed amare in silenzio.

LEAR -

(A Gonerilla)

Di quanto è incluso tra questi confini,

da questa linea a questa: un territorio

ricco di ombrose selve e di campagne,

con abbondanti fiumi e vasti prati,

noi ti facciamo da oggi signora:

restino essi in perpetuo possesso

dei discendenti tuoi e d’Albania.

(A Regana)

Che cosa dice la nostra seconda,

la dilettissima nostra Regana

sposa di Cornovaglia? Parla, figlia.

REGANA -

Io sono fatta dello stesso conio

di mia sorella, e mi stimo moneta

di egual valore. Trovo nel mio cuore

uno stesso sincero atto d’amore,

ma il mio è senza limiti o confini;

perché professo d’essere refrattaria

a ogni altra gioia che possa venirmi

dal più prezioso equilibrio dei sensi

e di trovare l’unica mia gioia

nell’amore per vostra cara altezza.

CORDELIA -

(c. s.)

Ah, povera Cordelia!…

Anzi, non povera, perché il mio amore,

sono sicura, è ricco, assai più ricco

di quanto possa esserlo la lingua.

LEAR -

(A Regana)

Resti dunque assegnato a te e ai tuoi

in possessione e perpetuo retaggio

questo terzo di tutto il nostro regno,

non inferiore, sia per estensione

che per valore e rendita fondiaria,

a quello destinato a Gonerilla.

Ed ora a te, Cordelia, gioia nostra,

ultima nell’età ma non nel cuore,

il cui giovane amore

i vigneti di Francia si contendono

col latte di Borgogna:(9) che sai dire

per ottenere un terzo del mio regno

più ricco ed opulento

rispetto a quelli delle tue sorelle?

Parla!

CORDELIA -

Nulla, signore.

LEAR -

Come, nulla!

CORDELIA -

Nulla.

LEAR -

Da nulla non può uscire nulla.(10)

Su, parla ancora.

CORDELIA -

Infelice ch’io sono,

non so portare il cuore sulle labbra!

Amo vostra maestà, né più né meno.

che mi detta il mio vincolo di figlia.

LEAR -

Su, Cordelia, su, su,

correggi un poco questo tuo parlare,

se non vuoi rovinar le tue fortune.

CORDELIA -

Signore, voi m’avete generata,

allevata ed amata. Questi debiti

io vi ripago al lor giusto valore:

io vi obbedisco, vi amo e vi onoro

su ogni altra cosa al mondo.

Perché le mie sorelle hanno un marito,

se dicono di amare voi soltanto?

Io, se mi sposerò,

il mio signore con la stessa mano

che avrà preso la mia come mio pegno

porterà via con sé

anche metà dell’amor mio per voi,

delle mie cure e di tutto il mio debito

di figlia.. Certo non mi sposerò,

come professano le mie sorelle,

per riservare poi tutto l’amore,

solo a mio padre.

LEAR -

Parli con il cuore?

CORDELIA -

Con il cuore, mio buon signore, sì.

LEAR -

Così giovane, e già così impassibile?

CORDELIA -

Così giovane, sì, e così sincera.

LEAR -

E così sia! La tua sincerità

sia pure allora tutta la tua dote!

Ché, per il sacro fulgore del sole,

per i misteri d’Ecate e la notte,

e per tutti gli influssi dei pianeti

per cui viviamo o cessiamo di vivere,

io qui rinnego ogni paterna cura,

propinquità e affinità di sangue

con te, e d’ora in poi

consìderati estranea per sempre

a me ad al mio cuore. D’ora in poi

troveranno maggiore simpatia,

pietà ed aiuto nell’animo mio

il barbarico Scita o chi per cibo

si divora la carne dei suoi figli,(11)

di te, non più mia figlia.

KENT -

Mio buon re…

LEAR -

Taci, Kent! Non venire ad interporti

fra il drago e la sua furia!

Costei l’ho amata più delle altre due,

e pensavo d’affidar quel che mi resta

da vivere alle cure sue gentili

di figlia.

(A Cordelia)

Via di qua,

togliti da dinnanzi alla mia vista!

Così spero aver pace nella tomba

com’è certo che il cuore di suo padre

oggi costei l’ha perduto per sempre!

Chiamate il re di Francia!… Chi si muove?…

E il Duca di Borgogna!

Voi due, Cornovaglia ed Albania,

con la dote dell’altre mie due figlie

spartitevi fra voi anche la terza.

Se la prenda per moglie il suo orgoglio,

ch’ella chiama sincerità e schiettezza.

Investo qui in voi due, congiuntamente,

i miei poteri, la dignità regia

e l’insieme degli ampi privilegi

che s’accompagnano alla maestà.

Noi fisseremo presso ognun di voi

la nostra residenza, a mesi alterni,

con cento cavalieri al nostro seguito,

che saran mantenuti a vostre spese.

Riterremo per noi soltanto il titolo

ed ogni onore che s’addice a un re;

ma il potere sovrano, le finanze

e il governo di tutto il rimanente

siano ormai vostri, miei diletti figli.

A conferma queste decisioni,

spartisco tra voi due questa corona.

(Si toglie la corona dal capo e la porge ai due duchi che l’afferrano contemporaneamente e la poggiano sul tavolo sulla mappa del regno)

KENT -

Regale Lear, da me sempre onorato

come mio re, come padre amato,

sempre seguìto come mio padrone

ed invocato nelle mie preghiere

come mio gran patrono e protettore…

LEAR -

L’arco è piegato, Kent, la corda è tesa,

bada a schivar lo strale!

KENT -

E invece scoccalo,

dovesse pur la sua forcuta punta

penetrarmi nel cuore!

Sia Kent irriguardoso al suo sovrano,

se Lear è insensato!

Che intendi fare, vecchio, su di me?

Credi tu che il rispetto

debba starsene zitto per paura,

quando vede la maestà d’un re

inchinarsi così all’adulazione?

È dell’uomo d’onore parlar chiaro,

quando la maestà si fa follia.

Conserva in mano tua il tuo potere,

e frena, in più maturo tuo consiglio,

questa mostruosa precipitazione.

Son convinto, e son pronto con la vita

a risponder di questo mio giudizio

che la più giovane delle tue figlie

non t’ama meno delle sue sorelle;

non è vuoto quel cuore la cui voce

non ripercuote vacui rimbombi.(12)

LEAR -

Smettila, Kent, se t’è cara la vita!

KENT -

La mia vita l’ho sempre ritenuta

come un pegno d’onore, mio signore,

contro i nemici tuoi;(13)

perciò di perderla non ho paura,

quando si tratti della tua salvezza.

LEAR -

Fuori dalla mia vista!

KENT -

La tua vista,

faccia lo sforzo, Lear, di veder meglio,

e rimanga io sempre del tuo occhio

l’autentico bersaglio.(14)

LEAR -

Ah, per Apollo!…

KENT -

Non bestemmiare, re, gli dèi invano.


LEAR -

Insolente vassallo!

(Mette mano alla spada, ma i duchi lo fermano)

ALBANIA /CORNOVAGLIA -

(Insieme)

Fermo, sire!

trattenetevi!

KENT -

Uccidi, Lear, il medico

e paga con la spada la parcella

al male della tua insensatezza!

Revoca in nulla questa donazione,

altrimenti finché avrò fiato in gola,

ti griderò che quel che fai è male.

LEAR -

Ascolta, rinnegato, ascolta bene,

per l’obbedienza che sempre mi devi:

per aver tu tentato, come hai fatto,

d’indurci a venir meno a un giuramento

- cosa che mai osammo fino ad ora -

e di frapporti, con caparbio orgoglio,

fra la nostra condanna pronunciata

ed il nostro potere di eseguirla,

- cosa che né la nostra dignità

né la nostra natura può accettare -,

ricevi dalla nostra autorità

il guiderdone che per ciò ti spetta:

ti concediamo ancora cinque giorni

per provvederti di quanto t’occorra

per ripararti dalle avversità

del mondo fuori dai nostri confini:

al sesto dovrai volgere le spalle,

le tue odiate spalle al nostro regno.

Se il dì seguente(15) si ritroverà

in alcuno dei nostri territori

codesta tua carcassa di bandito,

sarà per te la morte. Via, per Giove!

E non ci sarà revoca per questo!

KENT -

Buona fortuna, allora, a te, maestà;

se è così che ti vuoi manifestare,

libertà vive altrove, e qui è l’esilio.

(A Cordelia)

Gli dèi t’accolgano, cara fanciulla,

sotto la loro sacra protezione,

ché giusto è il tuo pensare

e giustissimamente l’hai espresso.

(A Gonerilla e Regana)

Possano i vostri atti esser coerenti

con i vostri discorsi roboanti,

e buoni risultati possan nascere

da tante vostre affettuose parole.

Così, principi, Kent rivolge a tutti

il suo adieu: andrà in altra terra

a proseguire il suo vecchio cammino.

(Esce)

Squilli di tromba. Rientra GLOUCESTER insieme con il RE DI FRANCIA, il DUCA DI BORGOGNA e altri nobili.

GLOUCESTER -

I principi di Francia e di Borgogna

son qui da voi, mio nobile signore.

LEAR -

Mio signor di Borgogna,

ci rivolgiamo in primo luogo a voi

che insieme a questo re siete rivali

nel chiedere in isposa nostra figlia:

quale minima dote, insieme a lei,

richiedereste voi, per non desistere

dalla vostra profferta di sposarla?

BORGOGNA -

Io, regale maestà, non chiedo più

di quanto offerto già da vostra altezza,

né vorrete, confido, offrire meno.

LEAR -

Nobilissimo Duca di Borgogna,

quello era per noi il suo valore

finché ella ci è stata cara al cuore;

ora il suo prezzo è calato di molto.

Signore, eccola là:

se c’è qualcosa, in quel po’ di apparenza,

di sostanza, o anche nel suo tutto,(16)

che, unitamente al nostro disfavore,

possa riuscire accetto a vostra grazia,

senza aggiungervi altro, eccola, è vostra.

BORGOGNA -

Quand’è così, non so cosa rispondere.

LEAR -

La volete, con tutti i suoi difetti,

senza parenti, figlia nuovogenita

del nostro odio, e per sua sola dote

la paterna maledizione e il padre

che vi giura che ella gli è estranea?

Così ella è: o prenderla o lasciarla.

BORGOGNA -

Perdonatemi, mio regale signore,

ma a tali condizioni non v’è scelta.

LEAR -

E allora rinunciate a lei, signore!

V’ho detto, per Colui che m’ha creato,

il patrimonio ch’ella porta in dote.

(Al re di Francia)

In quanto a voi, gran re,

io non mi sento proprio di alienarmi

a tal punto la vostra simpatia

da volervi congiunto in matrimonio

a una che detesto;

rivolgete, pertanto, ve ne supplico,

il favor vostro su più degna via,

che non su una meschinità di donna

che la Natura stessa si vergogna

quasi di riconoscere per sua.

FRANCIA -

È davvero assai strano, monsignore,

che colei ch’era fino a poco fa

per voi la cosa più preziosa al mondo,

l’oggetto della vostra lode, il balsamo

della vostra vecchiaia, la migliore

e la più cara delle vostre gioie,

abbia potuto in questo poco tempo

commettere un’azione sì mostruosa

da strapparsi di dosso, in un momento,

tanti drappeggi del vostro favore.

C’è da pensare che la sua mancanza

sia di natura così innaturale,

da farne un mostro, oppur che il vostro affetto

fino a poc’anzi fosse in lei malposto.

Creder questo di lei, è, francamente,

un tale atto di fede,

cui la ragione non potrebbe indurmi

se non con un miracolo.

CORDELIA -

Vostra maestà, vi supplico…

- io non ho l’arte untuosa e disinvolta

del dire senza intenzione di fare:

quello che intendo fare

sono usa a farlo ancor prima di dirlo -

vi supplico di render noto a tutti

che non è stata in me macchia d’infamia,

di vizio o di delitto,

o azione impura o gesto disdicevole

a privarmi così del favor vostro,

ma l’assenza di ciò la cui mancanza

mi fa ricca: un occhio adescatore

ed una lingua che sono felice

di non avere, s’anche il non averla

m’abbia alienata dalle vostre grazie.

LEAR -

Meglio non fossi nata

ch’esserti dimostrata con tuo padre

sì poco compiacente.

FRANCIA -

È dunque solo questa la sua colpa?

Solo una naturale ritrosia

che molto spesso lascia nel silenzio

ciò che vuol fare?… Signor di Borgogna,

che altro avete voi da dire ancora

a questa dama? Amore non è amore

se commisto con scrupoli e interessi

estranei al suo vero fondamento.

La volete? Ella sola è già una dote.

BORGOGNA -

(A Lear)

Regale Lear, purché le diate in dote

la parte che voi stesso avete offerto,

io prendo qui la mano di Cordelia,

duchessa di Borgogna.

LEAR -

Nulla, ho detto!

L’ho giurato; io sono irremovibile.

BORGOGNA -

(A Cordelia)

Quand’è così, sono molto spiacente

che dopo aver così perduto un padre

dobbiate perdere ora un marito.

CORDELIA -

Si dia pur pace il Duca di Borgogna.

Poiché il suo amore non è fatto d’altro

che di scrupoli e beni materiali,

io non sarò sua moglie.

FRANCIA -

E sarò io, bellissima Cordelia,

tanto più ricca adesso perché povera,

tanto più amata perché disprezzata,

e sarò io, allora, a impossessarmi

ora di te e delle tue virtù:

io, a raccogliere, mi sia legittimo,

quel ch’è gettato via! O dèi, o dèi,

è strano che dal lor freddo rigetto

io senta divampare l’amor mio

in ardente rispetto. O re, tua figlia,

respinta senza dote alla mia sorte,

sarà regina, la nostra regina,

dei nostri e della nostra bella Francia!

Tutti i duchi dell’umida Borgogna

non si potranno ricomprar da me

questa dama di prezzo inestimabile.

Di’ loro addio, Cordelia, in cortesia,

per quanto furono con te scortesi.

Tu perdi qui, per trovar meglio altrove.

LEAR -

Tu l’hai, Francia; sia tua, se tu la vuoi,

perché noi non l’abbiamo più per figlia,

né mai più rivedremo la sua faccia.

Va’ dunque, fuori dalla nostra grazia,

fuori dal nostro amore,

dalla nostra benedizione! Via!

Venite, nobile Borgogna, andiamo.

(Tromba. Escono Lear, i Duchi di Borgogna, d’Albania, di Cornovaglia, Gloucester e seguito)

FRANCIA -

(A Cordelia)

Prendi commiato dalle tue sorelle.

CORDELIA -

(A Gonerilla e Regana)

Gemme di nostro padre, a voi Cordelia

gli occhi molli di pianto, dice addio.

Io so quello che siete; e, da sorella,

sento disgusto a chiamare per nome

i vostri vizi. Amate nostro padre!

Ai vostri cuori che con tanta enfasi

gli avete offerto lo lascio affidato;

anche se, essendo – ahimè – nelle sue grazie,

preferirei per lui luogo migliore.

Addio a entrambe.

REGANA -

Non è certo il caso

che ci prescriva tu gli obblighi nostri.

GONERILLA -

Adoprati piuttosto a far contento

il tuo signore che t’ha ricevuta

come elemosina della fortuna.

Sei stata troppo avara d’obbedienza

e ben ti meriti d’esser privata

di ciò di cui sei priva.(17)

CORDELIA -

Il tempo scoprirà quel che l’astuzia

cela tra le sue pieghe;

la vergogna si fa alla fine scherno

di chi sa ricoprire i propri vizi.

Buona fortuna a entrambe.

FRANCIA -

Venite, andiamo, mia bella Cordelia.

(Escono il re di Francia e Cordelia)

GONERILLA -

Sorella, avrei non poco da ridire

su quel che ci riguarda da vicino

sia te che me nella stessa maniera.

Penso che nostro padre

se n’andrà via di qua stanotte stessa.

REGANA -

È più che certo, e verrà a star da te;

il mese prossimo starà da noi.

GONERILLA -

Ecco: tu vedi come è capricciosa

la sua vecchiaia; anche poco fa

ne abbiamo avuto non piccola prova

Ha sempre amato più nostra sorella,

e adesso la ripudia come figlia;

con qual mancanza di discernimento,

salta agli occhi.

REGANA -

È il male dell’età;

anche se è stato sempre, in verità,

scarsamente cosciente di se stesso.

GONERILLA -

Anche ai suoi tempi migliori e più sani

è stato tutto un’impulsiva asprezza;

perciò dobbiamo attenderci, in vecchiaia,

non solo riacuiti quei difetti

che gli si sono radicati dentro,

sì bene quella cieca testardaggine

che l’età cagionevole e biliosa

porta sempre con sé naturalmente.

REGANA -

Ah, sì, dobbiamo attenderci da lui

di questi suoi accessi subitanei,

come quello d’aver bandito Kent.

GONERILLA -

Ci saranno ulteriori convenevoli

di commiato tra lui e il re di Francia.

Muoviamoci, ti prego, di concerto:

se nostro padre vorrà seguitare

a far valere la sua autorità

con l’umore che adesso si ritrova,

questa sua abdicazione

si risolverà solo a nostro danno.

REGANA -

Ci penseremo sopra a miglior tempo.

GONERILLA -

No, no, dobbiamo far qualcosa, e subito.

(Escono)

 

 

 

SCENA II – Sala nel castello del Conte di GLOUCESTER

 

Entra EDMONDO, con un foglio in mano

 

EDMONDO -

Tu sei, Natura, l’unica mia dea;

alla tua legge son solo legati

i miei servigi. Perché dovrei io

acconciarmi a dannate convenzioni

e lasciare ai sofismi delle genti(18)

di privarmi del mio,

solo perché tra mio fratello e me

ci corron dodici o tredici lune?

Perché bastardo? Perché sarei ignobile,

se le mie membra sono ben costrutte,

il mio ingegno altrettanto vivace,(19)

la mia struttura altrettanto verace

che quelli d’un qualsiasi altro rampollo

di un’onesta madama?

Perché ci devono marchiar d’“ignobili”,

di “bassa nascita”, di “bastardia”?

Ignobili, bastardi…

noi che dal clandestino godimento

dell’umana natura abbiamo tratto

più forte tempra e più fiero vigore

di quello che s’impiega a procreare

tra sonno e veglia, in letti pigri e stracchi,

tra fredde, frolle e squallide lenzuola

un’intera tribù di smidollati?

Allora, dunque, legittimo Edgardo,

la tua terra mi spetta, come a te.

Nostro padre vuol ugualmente bene

al bastardo Edmondo e al legittimo…

Bella parola, questo tuo “legittimo”!…

Ebbene, mio legittimo,

se questa lettera coglie nel segno,

e mi riesce il colpo, il basso Edmondo

scavalcherà il legittimo Edgardo.

Io salgo, prospero. È ora, o dèi,

che vi ergiate in favore dei bastardi!

Entra GLOUCESTER

GLOUCESTER -

(Tra sé, prima di vedere Edmondo)

Kent bandito così…

Il Francia andato via incollerito…

Il re partito anche lui questa notte,

dopo aver rinunziato ai suoi poteri,

confinato in pensione… E tutto questo

all’improvviso, come sotto un pungolo…(20)

(Vede Edmondo)

Oh, Edmondo, che nuove?

EDMONDO -

(Cercando frettolosamente di nascondere in tasca la lettera)

Nessuna, se vi piaccia, mio signore.

GLOUCESTER -

Perché con tanta fretta

cerchi di mettere via quella carta?

EDMONDO -

Oh, niente, mio signore.

GLOUCESTER -

Che cos’è quella carta che leggevi?

EDMONDO -

Nulla signore.

GLOUCESTER -

Nulla?

Allora perché tutta quella fretta

nel cacciartela in tasca?

Il nulla, per sua stessa qualità,

non ha tanto bisogno di nascondersi.

Vediamo, su: se è nulla

posso far anche a meno degli occhiali.

EDMONDO -

Vi supplico, signore, dispensatemi.

È uno scritto di mio fratello a me,

che non avevo finito di leggere;

ma da quel poco che ho potuto scorrerlo,

non mi par conveniente sottoporvelo.

GLOUCESTER -

Su, dammi quella lettera, ragazzo.

EDMONDO -

A darvela e non darvela

faccio egualmente male. Il contenuto,

per quello che ne ho potuto capire,

non è niente di buono.

GLOUCESTER -

Beh, vediamolo!

EDMONDO -

Spero, a discarico di mio fratello,

che l’abbia scritta solo per saggiare

o porre al vaglio la mia lealtà.

GLOUCESTER -

(Leggendo la lettera)

“Questa pratica d’esser riguardosi
“della vecchiaia rende il mondo amaro
“ai nostri anni migliori;
“tien lontani da noi i nostri beni
“fino a quando saremo troppo vecchi
“per goderli. Una tale tirannia
“mi comincia a pesare francamente
“come una schiavitù sciocca e infingarda,
“non già per il potere ch’essa esercita,
“ma pel fatto che viene sopportata.
“Vieni da me e te ne dirò di più.
“Se nostro padre dovesse dormire
“fin quando non andassi io a svegliarlo,
“tu ti potresti godere in perpetuo
“la metà dei suoi beni,
“e viver, vita natural durante,
“con l’affetto del tuo fratello EDGARDO.”

Oh, ma questo è un complotto!

“… se nostro padre dovesse dormire

“fin quando non andassi io a svegliarlo,

“tu ti potresti godere in perpetuo…”

Questo, mio figlio Edgardo?

Ed ha potuto scriver di sua mano…

ha potuto egli avere cuore e mente

a concepirlo? Quando t’è arrivata

questa lettera? Chi te l’ha portata?

EDMONDO -

Non me l’hanno portata, mio signore.

È lì l’astuzia. Me la son trovata

ch’era stata buttata nel mio studio

da fuori alla finestra.

GLOUCESTER -

È la calligrafia di tuo fratello?

Puoi dir di riconoscerla?

EDMONDO -

Se fosse cosa buona, mio signore,

oserei ben giurare ch’è la sua;

ma di fronte ad un tale contenuto,

preferirei pensare che non è.

GLOUCESTER -

È la sua!

EDMONDO -

La sua mano, sì, signore;

ma spero non ci sia dentro il suo cuore.

GLOUCESTER -

T’aveva mai sentito prima d’ora

su questo affare?

EDMONDO -

No, mai, mio signore.

Ma l’ho udito sovente sostenere

che, una volta venuti adulti i figli

e fatti vecchi i padri,

sarebbe giusto che fossero i padri

a porsi sotto tutela dei figli,

e questi amministrassero i lor beni.

GLOUCESTER -

Ah, canaglia, canaglia!

Esattamente come nella lettera!

Aborrita canaglia! Malcreato,

malnato, snaturato, traditore,

peggio che bestia! Va’, ragazzo, cercalo

e portamelo qui. Lo fo arrestare!

Canaglia abominevole! Dov’è?

EDMONDO -

Non lo so di preciso, mio signore.

Ma se vi piacerà di trattenere

la vostra indignazione fino a quando

non abbiate ottenuto da lui stesso

miglior ragguaglio sulle sue intenzioni,

vi mettereste sulla giusta via;

mentre a procedere impulsivamente

contro di lui, rischiate di fraintendere

quelli che sono i suoi veri propositi,

e ciò potrebbe aprire una gran falla

nel vostro cuore e manderebbe in pezzi

il cuore stesso della sua obbedienza.

Scommetterei la vita che l’ha scritta

sol per sondare il mio attaccamento

alla vostra onorevole persona,

senza ulteriori fini criminosi.

GLOUCESTER -

Sei sicuro di ciò?

EDMONDO -

Se vostro onore lo crede opportuno,

io vi potrò far appostare in luogo

da dove ci potrete ben sentire

mentre parliamo insieme della cosa,

e chiarire così i vostri dubbi

mediante accertamento auricolare;

e questo non più tardi di stasera.

GLOUCESTER -

Ma no, che non può essere un tal mostro…

EDMONDO -

Sicuramente, no.

GLOUCESTER -

… verso suo padre,

che lo ama così teneramente

e con tutto l’affetto!… Cielo e terra!…

Edmondo, va’ a cercarlo;

insinuati, ti prego, nel suo animo,

per me, e vedi di condur la cosa

secondo che saggezza ti consiglia.

Sarei pronto a spogliarmi del mio rango

pur di veder risolti i miei sospetti.

EDMONDO -

Ve lo cercherò subito, signore,

e farò di condurre la faccenda

con ogni mezzo e col massimo impegno.

Ve ne terrò informato puntualmente.

GLOUCESTER -

Queste eclissi del sole e della luna

verificatesi recentemente

non presagiscono nulla di buono:

per quante spiegazioni razionali

ne sappia dar la scienza, la natura,

è afflitta dagli effetti che ne seguono:

si raffredda tra gli uomini l’amore,

si rompono amicizie, fratellanze:

sommovimenti nelle città, discordie

nelle campagne, intrighi nei palazzi,

infranti i vincoli tra padri e figli.

E questo sciagurato figlio mio

rientra anch’egli nella profezia:

è il figlio contro il padre;

il re contro il suo corso naturale;(21)

ed ecco ora il padre contro il figlio.

Avremo visto i nostri anni migliori:

ormai macchinazioni, tradimenti,

falsità, ogni sorta di disordini

senza più tregua ci accompagneranno

fino alla tomba… Va’, Edmondo,va’

vedi di rintracciar quel miserabile;

in quanto a te, non devi aver paura

che possa derivartene alcun danno.

Mettici tutta la tua diligenza…

Il nobile e fedele Kent, bandito!…

Sua colpa, l’onestà!… Che strano mondo!

(Esce)

EDMONDO -

Questa è la somma stoltezza del mondo:

che quando la fortuna ci vacilla

- spesso perché l’abbiam troppo ingozzata -

diamo al sole, alla luna ed alle stelle

la colpa della nostra malasorte,

come se, per necessità del fato

fossimo le canaglie che noi siamo;

fossimo stolti per celeste impulso,

o malfattori, ladri, traditori

per volontà delle celesti sfere;

o mentitori, adulteri, beoni

in forza d’una imposta sommissione

all’influsso maligno dei pianeti;

quasiché tutta la malvagità

ch’è in noi ci venga infusa dagli dèi.

Bella scusa, per l’uomo puttaniere,

imputare i suoi istinti da caprone

all’influenza di qualche pianeta!(22)

Mio padre s’è accoppiato con mia madre

sotto il segno della “Coda del Drago”,

ed io che son nato

sotto l’influsso dell’“Orsa maggiore”,

sarei per questo violento e lascivo…

Bubbole senza senso!

Sarei stato lo stesso quel che sono

anche se sopra la mia bastardia

fosse venuto a fare l’occhiolino

l’astro più vergine del firmamento…

Entra EDGARDO

(A parte)

… Arriva a punto, come la catarsi

della commedia antica.

La mia parte ora è quella(23) del furfante

triste, col sospiro doloroso,

alla maniera di Tom di Betlemme(24)

Eh, questi eclissi son proprio presagi

di certe dissonanze… Fa-sol-la…

EDGARDO -

Ehi, là, fratello Edmondo!

In quali profondissimi pensieri

ti trovo assorto?

EDMONDO -

Stavo ripensando,

fratello, ad un pronostico che ho letto

alcuni giorni fa su questi eclissi.

EDGARDO -

E t’interessa tanto?

EDMONDO -

Sì, gli effetti di cui scrive quel libro

si producono, te lo garantisco,

e sono veramente disgraziati,

come: brutalità innaturali

tra padri e figli, morti, carestie,

dissoluzione d’antiche amicizie,

divisioni all’interno degli Stati,

minacce, oltraggi al re, alla nobiltà,

sospetti sorti senza fondamento,

messa al bando di amici,

scioglimento di corpi militari,

infedeltà di sposi, ed altro ancora.

EDGARDO -

Eh, da quant’è che ti sei fatto adepto

della scienza astrologica?

EDMONDO -

Lascia stare. Su, su, parliamo d’altro.

Da quanto tempo non vedi mio padre?

EDGARDO -

Da ieri sera.

EDMONDO -

Vi siete parlati?

EDGARDO -

Per due ore di seguito. Perché?

EDMONDO -

E vi siete lasciati in buona pace?

Non hai notato nelle sue parole,

nel suo contegno, alcuna ostilità?

EDGARDO -

Neanche l’ombra.

EDMONDO -

Ripensa in te stesso

in che cosa potresti averlo offeso;

e se vuoi ascoltare un mio consiglio,

evita per un poco d’incontrarlo,

finché non sia smorzato in lui il fuoco

dell’ira, che ora infuria così forte,

che per calmarla non gli basterebbe

sfogarla sulla stessa tua persona.

EDGARDO -

Questa è opra di qualche farabutto

che avrà voluto nuocermi alle spalle.

EDMONDO -

È quel che temo anch’io.

Ti prego tuttavia di contenerti

e d’essere paziente fino a tanto

che non sia placata la sua collera;

intanto, dammi retta,

ritirati con me nelle mie stanze,

da dove, al buon momento,

ti farò ascoltar con le tue orecchie

quel che dice di te.

Va’ prima tu.