Il mio dovere

di suddito di vostra maestà

mi vieta d’obbedire alle ordinanze

delle spietate vostre figlie, sire:

m’hanno ordinato di sbarrar le porte

e lasciare che questa notte orribile

stringesse la sua morsa su di voi;

ciò malgrado, mi sono avventurato

nel venirvi a cercare

e nel condurvi in luogo dove almeno

voi possiate trovar ristoro e fuoco.

LEAR -

Prima però lasciatemi scambiare

una parola con questo filosofo.(88)

(A Edgardo)

Tu lo sai perché tuona?

KENT -

Buon signore,

accettate l’offerta, entrate in casa.

LEAR -

Voglio scambiare solo una parola

con questo sapientone di Tebano.(89)

(A Edgardo/Tom)

Che cosa stai studiando?

EDGARDO -

Il modo come prevenire il diavolo

e ammazzare i pidocchi.

LEAR -

Ho una domanda da farti in privato.

KENT -

(A Gloucester)

Insistete con lui, signore, ancora,

perché venga con voi, il suo cervello

comincia a vacillare.

GLOUCESTER -

E ha ben ragione!

Le sue due figlie lo vogliono morto.

Ah, quel brav’uomo del conte di Kent!

L’aveva detto, povero esiliato,

che si sarebbe giunti a questo punto!

Dici che il re comincia a vacillare

con la mente, ti voglio dire, amico,

che io stesso son quasi alla follia.

Avevo anch’io un figlio

che ho dovuto bandire dal mio sangue:

aveva in animo di assassinarmi,

adesso, adesso, proprio in questi giorni!

L’avevo caro, amico,

più di quanto abbia avuto il padre un figlio.

E il dolore m’ha scosso la ragione…

(Il temporale infuria sempre con tuoni,

fulmini e pioggia)

Ma che notte è mai questa!…

(A Lear)

Vostra grazia, vi supplico…

LEAR -

(Senza ascoltarlo, a Edgardo/Tom)

Vi chiedo venia, nobile filosofo,

avvicinatevi a me…

EDGARDO -

Tom ha freddo.

GLOUCESTER -

(A Edgardo/Tom)

Va’ dentro, va’, brav’uomo,

là, dentro la capanna, a riscaldarti.

LEAR -

Andiamo dentro tutti.

KENT -

No, signore,

voi da quest’altra parte.

LEAR -

No, con lui!

Voglio restare con il mio filosofo.

KENT -

(A Gloucester)

Mio signore, vogliate assecondarlo:

lasciategli portar con sé quest’uomo.

GLOUCESTER -

Prenditelo con te.

KENT -

(A Edgardo/Tom)

Andiamo, amico,

vieni con noi.

LEAR -

Vieni, bravo Ateniese.

GLOUCESTER -

Ora, però, silenzio. Zitti tutti.

EDGARDO -

“Orlando cavaliero
“giunse al nero maniero,
“gridando: “Muzza, muzza,
“del sangue d’un britanno sento puzza”.

(Escono)

 

 

 

SCENA V – Stanza nel castello di Gloucester

 

Entrano il DUCA DI CORNOVAGLIA ed EDMONDO

 

CORNOVAGLIA -

Gliela farò pagare a caro prezzo,

e prima di lasciare la sua casa.

EDMONDO -

Ma, signore, potrebbero accusarmi

d’aver posto la mia lealtà di suddito

al disopra del vincolo di figlio:

è cosa che a pensarla mi preoccupa.

CORNOVAGLIA -

Ora capisco come in tuo fratello

non sia stata la cieca cattiveria

a fargli meditare la sua morte,

ma un generoso impulso di rivolta

contro un padre perverso.

EDMONDO -

Quale maligna sorte è quella mia:

di dovermi pentir d’essere onesto!

Ecco la lettera di cui parlava:

è la prova lampante delle intese

da lui intrattenute col partito

dei favorevoli al re di Francia.

O cieli, voi mi siete testimoni

s’io bramerei che un tale tradimento

non ci fosse mai stato, o quanto meno

che a scoprirlo non fossi stato io!

CORNOVAGLIA -

Vieni, accompagnami dalla duchessa.

EDMONDO -

Certo, se è vero quel che è scritto qui,

in questo foglio, avete per le mani

un affare di estrema gravità.

CORNOVAGLIA -

Vero o falso che sia,

esso ha fatto di te il Conte di Gloucester.

Va’ a cercare tuo padre,

vogliamo averlo qui per arrestarlo.

EDMONDO -

(A parte)

Se lo trovo che sta assistendo il re,

i suoi sospetti saran confermati.

(Forte)

Sarò perseverante con me stesso

nella mia lealtà verso di voi,

anche se mi riesca doloroso

il conflitto con il mio stesso sangue.

CORNOVAGLIA -

Ed io riporrò in te la mia fiducia,

e tu ritroverai in me un altro padre

più amoroso del tuo.

(Escono)

 

 

 

SCENA VI - Stanza in una casa colonica attigua al castello di Gloucester

 

Entrano GLOUCESTER, LEAR, KENT, il MATTO e EDGARDO

 

GLOUCESTER -

Ecco, qui si sta meglio che all’aperto.

Fate buon viso a cattiva ventura;

io cercherò di fare del mio meglio

di rendervelo ancor più confortevole.

M’allontano, ma non tarderò molto.

KENT -

(A parte, a Gloucester)

Tutte le forze della sua ragione

han ceduto all’ambascia che l’accora.

Gli dèi compensino la bontà vostra.

(Esce Gloucester)

EDGARDO -

Frateretto mi chiama:

mi vuol dire che Nerone sta a pescare

con la lenza nel lago delle tenebre.(90)

Prega, innocente, e guàrdati le spalle

dall’immondo demonio.

MATTO -

Di grazia, zio, sai dirmi tu se un pazzo

è un nobile o un borghese?

LEAR -

È un re, è un re!

MATTO -

No, è un borghese che ha per figlio un nobile,

perché dev’esser pazzo quel borghese

che vede fatto nobile suo figlio

prima che nobile sia fatto lui.

LEAR -

Averne qui un migliaio, al mio comando,

con spiedi arroventati,(91)

per conficcarli nelle loro carni

fino a vederle friggere…

EDGARDO -

Il maligno mi mozzica il didietro.

MATTO -

Pazzo è chi crede alla docilità

di un lupo, alla salute di un cavallo,

alla passione di un adolescente,

e alla fedeltà di una puttana.

LEAR -

Bisogna farlo; le processo subito.

(A Edgardo)

Vieni, siediti qui, vicino a me,

tu, dottissimo giudice.

(Al Matto)

Tu, sapiente signore, siedi qui…

Adesso a voi, volpacce…

EDGARDO -

Guardatelo là, in piedi, occhi di brace!

Non hai occhi, madama, al tuo processo?(92)

“Vieni, passa la corrente,
“Bessy, vieni dal tuo amante”

MATTO -

“La sua barca ci ha una falla,
“e perciò lei non favella,
“e perciò non ti può dire
“che da te non può venire”.

EDMONDO -

Il diavolo con voce d’usignolo

tormenta il povero Tom. Nella pancia

gli è penetrato invece Saltapicchio

e reclama due sàraghe salate.

È inutile che gracchi, angelo nero,

non ho niente da darti da mangiare.

KENT -

(A Lear)

Come state, signore?

Non statevene in piedi lì, impalato;

non volete distendervi

e riposarvi su questi cuscini?

LEAR -

Prima il processo. Avanti i testimoni.

(A Edgardo)

Tu, giudice togato, prendi posto.

(Al Matto)

E tu, giudice a latere, al suo fianco,

su quella panca.

(A Kent)

E tu sei la giurìa.

Sedete.

EDGARDO -

Procediamo con giustizia.

“Dormi o sei desto, gentil pastorello?
“Le tue pecore sono in mezzo al grano,
“ma al primo fischio del tuo labbro bello,
“le tue pecore non faranno danno.

Ron-ron, il gatto è bigio.(93)

LEAR -

Sia lei la prima ad esser processata.

È Gonerilla. Sotto giuramento

dichiaro innanzi a questa eccelsa corte

ch’ella ha cacciato a calci il re suo padre.

MATTO -

Fatevi in qua, madama. Gonerilla

è il vostro nome?

LEAR -

Non lo può negare.

MATTO -

(Fingendo d’inciampare in uno sgabello)

Oh, vi domando scusa:

v’avevo presa per uno sgabello!

LEAR -

E questa è l’altra: il suo sguardo feroce

dicono di che stoffa è fatto il cuore.

Fermatela! Armi, armi, spade, fuoco!

Ah, corruzione! Giudice fellone,

perché hai lasciato che fuggisse via?

EDGARDO -

Dio voglia conservarti i cinque sensi!

KENT -

Che pietà! Mio signore, ov’è finita

quella vostra stragrande tolleranza

di cui sì spesso vi siete vantato?

EDGARDO -

(A parte)

Le mie lacrime prendon la sua parte

a tal punto che rischian di tradire

il mio travestimento.

LEAR -

Perfino i cagnolini, coi più grossi,

Trogolo, Biancolina, Dolcecore,

vedete, tutti ad abbaiarmi dietro…

EDGARDO -

Tom getterà ad essi la sua testa.

Via, cagnacci ringhiosi!

“Sii di muso bianco o nero
“e di morso velenoso,
“sii mastino, sii levriero,
“sii segugio o can ringhioso,
“sii tu bracco o pastor vero,
“Tom farà tutti abbaiare,
“uggiolare e mugolare:
“la sua testa getterà,
“e ciascuno fuggirà”.

Dodè – dedè, su diamoci da fare,

alle veglie, ai mercati ed alle fiere!

Povero Tom, il tuo corno è all’asciutto.(94)

LEAR -

L’anatomizzino, allora, Regana,

per veder che le cresce intorno al cuore.

C’è una ragione perché la natura

debba crear questi cuori di pietra?

(A Edgardo)

Voi, signore, vi arruolo fra i miei cento.

Solo che non mi piace, ve lo dico,

la foggia dei vestiti che portate.

“È la moda – direte – alla persiana”,

ma dovete cambiarli.

KENT -

Adesso, mio signore, distendetevi

e cercate di riposare un poco.

LEAR -

(Obbedisce a Kent e si sdraia)

Non fare strepito, non fate strepito…

Tirate le cortine(95), ecco, così…

A cena andremo domani mattina.

MATTO -

Sì, sì, e io a letto a mezzogiorno.(96)

Rientra GLOUCESTER

GLOUCESTER -

(A Kent)

Senti, amico, dov’è il re mio padrone?

KENT -

Qui, signore; ma non lo disturbate.

Ha perso la ragione.

GLOUCESTER -

Ti prego, amico, prenditelo in braccio.

Ho udito d’un complotto per ucciderlo.

Là di fuori c’è pronta una lettiga,

adagialo là sopra come puoi

e dirigiti subito per Dover,

dove avrai accoglienza e protezione.

Prendilo su, alla svelta, il tuo padrone:

se indugerai soltanto una mezz’ora,

la sua vita, la tua e di quant’altri

volessero difendere la sua,

saran vite perdute, senza scampo.

Via, sollevalo, prenditelo su

e vieni via con me; ti condurrò

dove potrai trovare i primi aiuti.

KENT -

(Avvicinandosi a Lear che dorme)

La natura prostrata da stanchezza,

si ristora col sonno. Questa tregua

sarebbe stata un salutare balsamo

ai tuoi nervi spezzati,

che se miglior fortuna non aiuti,

difficilmente potranno riaversi.

(Al Matto)

Su, aiuta a portar via il tuo padrone.

Indietro tu non devi rimanere.(97)

GLOUCESTER -

Presto, presto, venite via! Alla svelta!

(Escono, trasportando Lear, tutti, tranne Edgardo)

EDGARDO -

Quando vediamo i più grandi di noi

gravati delle stesse nostre pene

quelle nostre ci sembran meno crude.

Chi è solo a soffrire la sua pena

soffre più duramente nel suo animo

della rinunzia che ha dovuto fare

ad una vita libera e felice;

aver compagni al duolo

aiuta a superare molte pene.

Come mi sembra lieve e sopportabile

quella mia, dopo aver constatato

che ciò che a me fa abbassare la testa

fa piegare la fronte anche ad un re.

Lui ha contro le figlie; io il padre.

Andiamocene, Tom; e di nascosto

segui l’alto clamore degli eventi:

rivelerai la tua identità

quando la prova della tua lealtà

avrà sconfitto la calunnia infame

che ti deturpa, e sarai riscattato.

Accada quel che vuole questa notte,

purché sia salvo il re. Giù, giù, nasconditi!(98)

(Esce)

 

 

 

SCENA VII – Stanza nel castello di Gloucester

 

Entrano il DUCA DI CORNOVAGLIA, REGANA, GONERILLA

EDMONDO e alcuni servi

 

CORNOVAGLIA -

(A Gonerilla)

Recatevi, senza frapporre indugio

dal mio signore il Duca vostro sposo

e fategli vedere questa lettera:

l’esercito di Francia è già sbarcato.

(Ai servi)

Voi, cercatemi il traditore Gloucester.

(Escono i servi)

REGANA -

Fallo impiccare!

GONERILLA -

Cavategli gli occhi!(99)

CORNOVAGLIA -

Lasciate fare a me.

Edmondo, è meglio che tu t’allontani

accompagnando la sorella nostra;(100)

le vendette che ci accingiamo a prendere

contro tuo padre pel suo tradimento

non si convengono alla tua vista.

Dirai al Duca, dal quale ti rechi,

di accelerare quanto più è possibile

gli apparecchi di guerra;

noi ci impegniamo a far la nostra parte.

Dobbiam tenerci informati a vicenda

con corrieri solleciti ed accorti.

Addio, cara sorella.

Addio, mio caro signore di Gloucestser.

Entra OSVALDO

Allora, il re dov’è?

OSVALDO -

Il conte Gloucester l’ha portato via di qui.

Una trentina(101) di suoi cavalieri

partiti subito alla sua ricerca,

l’hanno visto alla porta di città(102)

che insieme ad altri famigli del conte

si dirigeva alla volta di Dover

dove si vantano di avere amici

e bene armati.

CORNOVAGLIA -

Apprestate i cavalli

per la vostra padrona e il conte Edmondo.

(Esce Osvaldo)

GONERILLA -

Addio, caro cognato, addio sorella.

CORNOVAGLIA -

Addio, mio caro Edmondo.

(Escono Gonerilla e Edmondo)

(Ai servi)

Voi, cercatemi il traditore Gloucester;(103)

incaprettatelo come un ladrone

e portatelo qui, davanti a noi.

(Escono i servi)

Anche se non potrò metterlo a morte

senza seguire le forme di legge,

ho potere abbastanza da servire

la mia rabbia; potran biasimarmi,

ma nessuno me lo potrà impedire.

Entra GLOUCESTER, condotto da alcuni servi

Il traditore?

REGANA -

Ingrata volpe! È lui!

CORNOVAGLIA -

Orvia, legategli ben strette addosso

quelle sue braccia incartapecorite.

GLOUCESTER -

Perché? Che intende fare vostra grazia?

CORNOVAGLIA -

Legatelo, vi dico!

REGANA -

Stretto, stretto! Schifoso traditore!

GLOUCESTER -

Non io. Spietata siete voi, signora.

CORNOVAGLIA -

Legatelo seduto a questa sedia.

Canaglia, ora vedrai…

(Gloucester è messo a sedere e legato.

Regana gli tira la barba)

GLOUCESTER -

O dèi pietosi!

Oh, ignominia! È quanto di più ignobile

tirarmi per la barba.(104)

REGANA -

(Seguitando a tirargli la barba,

scuotendola e strappandogliela)

Così canuto e così traditore!

GLOUCESTER -

Oh, spudorata donna! Questi peli

che t’accanisci a strapparmi dal mento

si leveranno vivi ad accusarti.

Siete ospiti miei, in casa mia;

non devastate, con mani ladrone,

il favore dell’ospitalità.

Ma che intendete fare?

CORNOVAGLIA -

Poche storie;

quali lettere avete ricevuto

in questi ultimi tempi dalla Francia?

REGANA -

Rispondi a tono e senza reticenze,

tanto la verità già la sappiamo.

CORNOVAGLIA -

E che legame hai coi traditori

sbarcati or ora sopra il nostro suolo?

REGANA -

Nelle mani di chi

hai consegnato il re demente? Parla!

GLOUCESTER –

La lettera che avevo avuto

riferiva di mere congetture

da parte di persona neutrale,

e non nemica.

CORNOVAGLIA -

Furbo.

REGANA -

E traditore.(105)

CORNOVAGLIA -

Il re dov’è che l’hai spedito?

GLOUCESTER -

A Dover.

REGANA -

E perché a Dover? T’era stato imposto

sotto pena di…

CORNOVAGLIA -

Già, perché a Dover?

Che risponda.

GLOUCESTER -

Sono legato al palo,

e devo sostenere la canizza.(106)

REGANA -

Perché a Dover? Rispondi.

GLOUCESTER -

Per non veder le tue unghie crudeli

strappargli i poveri occhi di vecchio,

né veder tua sorella, quella belva,

affondar le sue zanne di cinghiale

dentro quelle sue carni consacrate.(107)

In una notte nera come il Tartaro

quale quella che egli a testa nuda

ha sopportato, e nella quale il mare

si sarebbe levato con la schiuma

ad estinguere i fuochi delle stelle,

lui stava lì, povero vecchio cuore

ad accrescer col pianto la gran pioggia

che il cielo rovesciava sulla terra.

Se in quell’ora tremenda della notte

fossero pur venuti ad ululare

i lupi alla tua porta, avresti detto:

“Gira la chiave ed apri, buon portiere;

“c’è pure un limite alla crudeltà!”(108)

Ma vedrò un giorno la Vendetta alata

abbattersi su figlie come queste.

CORNOVAGLIA -

Quel giorno tu non lo vedrai!… Amici!,

tenetelo ben fermo sulla sedia,

gli schiaccio gli occhi coi miei calcagni.

GLOUCESTER -

Aiuto! Che qualcuno mi soccorra!

Chi vuol vivere fino alla vecchiaia

m’aiuti!… Oh, crudeltà!… Oh, sacri dèi!

(Gloucester è rovesciato a terra con la sedia e Cornovaglia gli schiaccia un occhio con un colpo di tallone)

REGANA -

Così adesso una parte del suo volto

sogghigna all’altra. Schiacciagli anche l’altro!

CORNOVAGLIA -

Dopodiché, se ancor riuscirai

a veder la Vendetta…

(Si accinge a schiacciargli l’altro occhio,

ma un servo lo ferma)

SERVO -

Fermo, fermo!

Signore, non lo fate. Trattenetevi!

V’ho servito da quando ero fanciullo,

ma non vi ho reso mai miglior servizio

che dirvi di cessare questo scempio.

REGANA -

(Al servo)

Ehi, che ti prende, cane?

SERVO -

Se portaste una barba al vostro mento,

io ve la strapperei, di fronte a questo!(109)

CORNOVAGLIA -

(Estraendo la spada e lanciandosi contro il servo)

A me, canaglia!

SERVO -

(Estraendo anch’egli la spada)

Avanti, allora, sotto!

E sia la rabbia repressa a decidere!

(Si scontrano. Il Duca è ferito)

REGANA -

Dammi la spada. Un simile villano

ribellarsi così…

(Prende la spada dal marito ferito

e trafigge il servo alle spalle)

SERVO -

(Cadendo in una pozza di sangue)

Ah, sono ucciso!

(A Gloucester)

Monsignore, vi resta ancora un occhio

per veder come l’ho punito… Oh!…

(Muore)

CORNOVAGLIA -

E noi gl’impediremo che quell’occhio

ci veda più… Via, vile gelatina!

(Gli schiaccia l’altro occhio)

(I servi rimettono in piedi la sedia)

Che vedi adesso?

GLOUCESTER -

Tenebra e sconforto.

Dov’è mio figlio Edmondo?

Edmondo, accendi tutte le faville

del tuo affetto di figlio

per vendicar questo orrendo misfatto!

REGANA -

Smettila, scellerato traditore!

Tu invochi uno che ti aborre a morte.

Lui ci ha svelato il tuo reo tradimento,

ed è troppo leale e generoso

per provare pietà verso di te.

GLOUCESTER -

Oh, che pazzo, che pazzo sono stato!

Allora è stata tutta una calunnia

il complotto di Edgardo!… O dèi benigni,

date il vostro perdono a me insensato,

e date a lui la vostra protezione!

REGANA -

Via, gettatelo fuori della porta,

e trovi a fiuto la strada per Dover!

(Al marito)

Come va il mio signore?… Oh, qual pallore!

CORNOVAGLIA -

Son ferito. Vieni di là con me.

(Ai servi, indicando Gloucester)

E voialtri, levatemi dai piedi

quel bastardo senz’occhi.

(Indicando il corpo del servo ucciso)

E questo vile schiavo

andatelo a gettar nel letamaio.

Regana, perdo sangue in abbondanza.

Questa ferita càpita a mal punto.

Dammi il braccio, ti prego.

(Esce sorretto da Regana. Alcuni servi sciolgono Gloucester e lo accompagnano fuori.

Altri prendono il corpo del servo ucciso)

SECONDO SERVO -

Se quello là riesce a sopravvivere,(110)

giuraddio, non mi faccio più uno scrupolo

di compiere qualunque malefatta.

TERZO SERVO -

E se quell’altra arriva alla vecchiaia

e morirà di morte naturale,

tutte le donne finiranno mostri.

SECONDO SERVO -

Accompagnamo il vecchio conte cieco,

e cerchiamo quel pazzo del Betlemme

che se lo porti dove pare a lui.

La sua furba pazzia

gli permette di far quello che vuole.(111)

TERZO SERVO -

Va’ tu. Io passo intanto a procurarmi

un po’ di garza e della chiara d’uovo

per stagnargli quel sangue sulla faccia.

E poi, che il ciel l’aiuti!

(Escono)

 

ATTO QUARTO

 

SCENA I – Una landa deserta

 

Entra EDGARDO

 

EDGARDO -

Però meglio così, meglio sapere

d’essere disprezzati, piuttosto che vedersi

ad un tempo adulati e disprezzati

Essere il peggio, la cosa più bassa,

più infamata fa pur sempre sperare,

e non temere un peggio che non c’è.

Il cambiamento doloroso è quando

si va al peggio dal meglio;

perché quando si va dal peggio al meglio

si risale al sorriso. Benvenuta

sii dunque tu, o aria insostanziale

ch’io ora abbraccio! Alle tue raffiche

non deve nulla più questo rottame

che hai soffiato al peggio. Ma chi arriva?

Entra GLOUCESTER, cieco,

accompagnato da un VECCHIO

Mio padre! E sotto qual misera scorta.(112)

O mondo, mondo, mondo!

Non fosse pei tuoi strani cambiamenti

che ti rendono odioso, questa vita

non si rassegnerebbe alla vecchiaia.(113)

VECCHIO -

(A Gloucester)

Mio buon signore, da ottant’anni in qua

io sono stato fittavolo vostro,

e l’ero stato già di vostro padre.

GLOUCESTER -

Sì, però ora va’, mio buon amico,

lasciami, va’. L’aiuto che puoi darmi

a me non giova e a te può recar danno.

VECCHIO -

Ma non potete vedere la strada…

GLOUCESTER -

Io non ho una strada da vedere,

e perciò gli occhi non mi servon più;

quando li avevo sono incespicato.

Avviene spesso che i mezzi che abbiamo

ci sembra che ci diano sicurezza,

ma è la loro mancanza che ci giova.

Edgardo, figlio caro,

esca all’ira di tuo padre ingannato!

Potessi io solo ancora viver tanto

da vederti col tocco delle mani,

mi parrebbe d’aver ancora gli occhi!

VECCHIO -

(Vedendo Edgardo)

Ehi, chi è là?

EDGARDO -

(A parte)

Oh, dèi, chi mai può dire:

“Sono arrivato al peggio?”

Ora sto peggio ancor di poco fa…

VECCHIO -

(A Gloucester)

È Tom, il povero matto di Bedlam.

EDGARDO -

(c. s.)

… e potrò stare peggio di così.

Perché al peggio non siamo ancora giunti

quando possiamo dire: “Questo è il peggio”.

VECCHIO -

(A Edgardo)

Amico, dimmi, dove stai andando?

GLOUCESTER -

È un mendicante?

VECCHIO -

Mendicante e pazzo.

GLOUCESTER -

Un po’ di senno ce lo deve avere,

se no, come farebbe a mendicare?

L’altra notte, durante la bufera,

ho visto un disgraziato come lui,

e m’ha fatto pensar che verme è l’uomo.

E m’è venuto alla mente mio figlio,

anche se in quel momento il cuore mio

non gli fosse più amico.

Molte cose però ho imparato in seguito.

Noi siamo per gli dèi

quello che son le mosche pei monelli:

ci spiaccicano per divertimento.

EDGARDO -

(c. s., accorgendosi che il padre è accecato)

Com’è possibile?… Ah, Triste compito

dover far da buffone alla sventura,

angosciando così se stesso e gli altri!

(A Gloucester)

Dio ti salvi, padrone.

GLOUCESTER -

Questo è quel tale che va in giro ignudo?

VECCHIO -

Sì, mio signore, lui.

GLOUCESTER -

Ti prego, allora, va’ per la tua strada.

Se per restare ancora un po’con me,

vorrai raggiungerci a un miglio o due

più in là da qui, sulla strada di Dover,

fallo in nome del tuo antico affetto,

e porta anche con te di che coprire

in qualche modo quest’anima ignuda,

che pregherò di farmi ora da guida.

VECCHIO -

Ahimè, signore, è pazzo quello là.

GLOUCESTER -

È un malanno dei tempi

che i matti debbano guidare i ciechi.

Fa’ quello che t’ho detto;

o, piuttosto, fa’ quello che ti piace.

Ma soprattutto, vattene.

VECCHIO -

(A parte)

Gli porterò il mio miglior mantello,

accada quel che accada.

(Esce)

GLOUCESTER -

Ehi, tu, uomo nudo!

EDGARDO -

Povero Tom, ha freddo!

(A parte)

Ah, non mi vien fingere più a lungo…

GLOUCESTER -

Avvicinati, amico.

EDGARDO -

(c. s.)

… eppure devo.

Dolci occhi benedetti… Quanto sangue!…

GLOUCESTER -

Conosci bene la strada per Dover?

EDGARDO -

Tutto conosce Tom: barriere, porte,

sentieri per cavalli e per pedoni.

Povero Tom, è stata la paura

a fargli dare di volta il cervello…

Dio ti salvi dal lurido demonio,

figlio di buona gente!…

Cinque diavoli, e tutti in una volta,

son penetrati nel povero Tom:

Obbidicut, il re della lussuria;

Obbididance, il re del silenzio;

Mahu, del furto; Modo del delitto;

Flipperdigibet, re degli smorfiosi,

che dai tempi remoti è entrato in corpo

alle fantesche ed alle cameriere.(114)

Perciò, padrone, Dio ti benedica!

GLOUCESTER -

Toh, prendi questa borsa,

tu che i mali del cielo hanno umiliato

sotto il peso di tutti i loro colpi:

la mia sventura sia per te motivo

d’esser meno infelice. Fate, o cieli,

che sia sempre così in questo mondo!

Che ciascuno che guazza nel superfluo

e conduce una vita di piaceri,

e dispregia la vostra sacra legge,

e nulla vede perché nulla sente,

possa sentire la potenza vostra,

pronta a distribuir con equità

i beni e porre fine ad ogni eccesso,

sì che a ciascuno tocchi la sua parte.

Conosci Dover, tu?

EDGARDO -

Sì, sì, padrone.

GLOUCESTER -

C’è una scogliera il cui ciglio roccioso

alto sporgente guarda pauroso

l’abisso sottostante.

Ti chiedo solo di condurmi là,

su quell’estremo margine di roccia,

ed io solleverò la tua miseria

con qualcosa di ricco che ho con me.

Una volta ch’io sia giunto lassù,

non avrò più bisogno d’una guida.

EDGARDO -

Va bene, dammi il braccio.

Povero Tom ti ci accompagnerà.

(Escono)

 

 

 

SCENA II – Davanti al palazzo del Duca d’Albania

 

Entrano GONERILLA e EDMONDO; poi OSVALDO

 

GONERILLA -

(A Edmondo, che è entrato da altra porta)

Benvenuto, signore, in casa nostra.

Mi stupisce che il nostro pigro sposo

non sia venuto a incontrarci per via.

Dov’è il vostro padrone?

OSVALDO -

Dentro casa, signora; ma l’ho visto

mutato come non fu mai un uomo.

Gli ho detto dello sbarco del nemico.

Ha accolto la notizia sorridendo.

Gli ho detto che stavate per tornare,

e la risposta è stata: “Tanto peggio!”

Quando poi l’ho informato

del tradimento del Conte di Gloucester

e del leale agire di suo figlio

m’ha chiamato imbecille,

perché capivo tutto alla rovescia.

Tutto ciò che dovrebbe dispiacergli

par che lo renda allegro,

e, per converso, gli riesce odioso

tutto ciò che dovrebbe rallegrarlo.

GONERILLA -

(A Edmondo)

E allora non perdeteci altro tempo.(115)

È la paura vile che ha nell’animo

a non dargli il coraggio di far niente,

e a renderlo insensibile alle offese

che esigono onorevole risposta…

Edmondo, i voti che ci siam scambiati

lungo la strada, potranno avverarsi.

Tornate subito da mio cognato;

accelerate al massimo

le operazioni di reclutamento

delle sue truppe e assumete voi

il comando di tutte le sue forze.

Io qui da me devo scambiar le parti,

ed affidare il fuso e la conocchia

a mio marito.

(Indicando Osvaldo)

Questo fido servo

farà da intermediario fra noi due:

prima che non possiate immaginare

– se oserete rischiar per vostro bene –

sentirete il comando di un’amante.(116)

Prendete intanto da lei questo pegno,

senza parlare… Reclinate il capo.

(Gli mette intorno al collo un nastro con un amuleto

e lo bacia)(117)

Questo bacio, se avesse la parola,

innalzerebbe al cielo la tua anima.

Pensa e comprendimi. Buona fortuna.

EDMONDO -

Vostro, fin nelle schiere della morte!

GONERILLA -

Mio carissimo Gloucester!

(Esce Edmondo)

Che differenza, ahimè, tra uomo e uomo:

a te spetta il calore di una donna;

chi usurpa il letto mio, è quel balordo!

OSVALDO -

Signora, sta arrivando il mio padrone.(118)

(Esce)

Entra il DUCA D’ALBANIA

GONERILLA -

Un tempo, signor mio,

mi degnavate almen d’un vostro fischio.(119)

ALBANIA -

Tu non sei manco degna, Gonerilla,

della polvere che ti sbuffa in faccia

il vento screanzato!

Il tuo carattere mi fa paura.

Chi tiene a vili le proprie radici,

non può trovar in sé freno morale.

Il ramo che vuol scindersi dal tronco

donde gli viene il succo della vita

non potrà che appassire

e ridursi a servir da cosa morta.(120)

GONERILLA -

Finiscila, con queste balordaggini.

ALBANIA -

Bontà e saggezza son tenute a vili

dalle anime vili; la sozzura

non riesce a gustar che la sozzura.

Che avete fatto voi, tigri e non figlie,

quale prodezza avete perpetrato?

Un padre, un vecchio pieno di bontà

che pure un orso tratto in museruola

leccherebbe con tutta reverenza,

voi, barbare e degeneri creature,

l’avete reso pazzo!

Come ha potuto il mio bravo cognato

permettervi di farlo: un uomo, un principe

così tanto da lui beneficato?

Se il cielo non spedisce prontamente

i suoi spiriti in forma materiale

ad infrenar questi crudi misfatti,

gli uomini arriveranno fatalmente

a sbranarsi tra loro

come i mostri delle profondità marine.

GONERILLA -

O fegato di latte!

Faccia da schiaffi! Testa da ogni oltraggio,

che non hai occhi in fronte

per discerner l’onore dall’infamia;

che non sai che soltanto gli imbecilli

si muovono a pietà dei malfattori

da punir prima che facciano danno.

Dove tieni il tamburo? Il re di Francia

fa dispiegare i suoi vessilli al vento

su questa nostra ammutolita terra

e minaccia, col suo elmo piumato,

il tuo potere, e tu te ne stai lì

a gridare: “Ahimè, perché lo fa?”

ALBANIA -

Guàrdati in faccia, femmina demonio!

La bruttezza assoluta, quella vera,

non si mostra sì orribile nel diavolo

come nel volto di una donna.

GONERILLA -

Idiota!

ALBANIA -

Creatura contraffatta ed ingannevole,

abbi almeno vergogna

di renderti mostruosa da te stessa.

Se la decenza desse a queste mani

d’obbedire all’impulso del mio sangue,

esse sarebbero abbastanza forti

da massacrarti tutta, carne e ossa.

Una forma di donna ti fa scudo

benché sia tu un autentico demonio.

GONERILLA -

Perbacco! Eccoti un uomo adesso. Miao!

Entra un SERVO

ALBANIA -

Che notizie?

SERVO -

Ah, monsignore, questa:

che il signore di Cornovaglia è morto;

ucciso da un suo servo,

mentr’era per cavar l’altro occhio a Gloucester.

ALBANIA -

Gli occhi a Gloucester!

SERVO -

Sì, monsignore. Un servo,

ch’egli aveva allevato in casa sua,

a quella vista, mosso da pietà,

s’è opposto all’atto orrendo con la spada

minacciando il potente suo padrone;

che, infuriato, gli si è scagliato contro,

e l’ha trafitto a morte avanti a tutti,

ma non senza aver pure lui toccato

da quello là la ferita mortale

che doveva spedirlo dietro a lui.

ALBANIA -

Questo prova che voi siete lassù,

Supremi Giustizieri, a vendicare

sì prontamente i misfatti degli uomini!

Povero Gloucester! Ha perso anche l’altro?

SERVO -

Tutti e due, monsignore, tutti e due!

(A Gonerilla, consegnandole una lettera)

Signora, questa lettera

chiede da voi immediata risposta;

è di vostra sorella.

GONERILLA -

(A parte)

Per un verso,

la notizia mi fa molto piacere;

ma il fatto ch’ella sia rimasta vedova

e Gloucester ora si trovi con lei,

potrebbe far crollar sulla mia vita

ch’ella detesta a morte,

tutto il bell’edificio costruito

dalla mia fantasia. Per altro verso,

la cosa in sé non è poi sì sgradita.

(Forte, al servo)

Leggo la lettera e rispondo subito.

(Esce)

ALBANIA -

E dov’era suo figlio

mentre gli stavano cavando gli occhi?

SERVO -

Era venuto qui con la signora.

ALBANIA -

Ma qui non c’è.

SERVO -

Difatti, mio signore,

l’ho incontrato per via che ritornava.

ALBANIA -

E sa di questa infamia?

SERVO -

Oh, sì, signore.

È stato lui a denunciare il padre,

e lasciò di proposito il castello

perch’essi si sentissero più liberi

d’infliggergli la loro punizione.

ALBANIA -

Io vivo, Gloucester, per renderti grazie

dell’affetto ch’hai dimostrato al re,

e per aver vendetta dei tuoi occhi.

Amico, andiamo, vieni via con me,

e raccontami tutto quel che sai.

(Esce con il servo)

 

 

 

SCENA III – Il campo francese presso Dover

 

Entrano KENT e un GENTILUOMO

 

KENT -

Perché così all’improvviso è ripartito

il re di Francia? Sapete il motivo?

GENTILUOMO -

Un qualche affare lasciato in sospeso

nel suo Stato, che lo teneva in ansia

da quando è giunto qui;

qualche cosa che deve comportare

tali rischi e timori per il regno,

da render necessario il suo rientro

sì da dovervi accudir di persona.

KENT -

E chi ha lasciato a comandar l’esercito?

GENTILUOMO -

Monsieur La Far, maresciallo di Francia.

KENT -

E la regina, quando ha ricevuto

la lettera da voi recapitatale

ha mostrato alcun segno di dolore?

GENTILUOMO -

Oh, signore, se l’ha mostrato, e quale!

Me l’ha presa e l’ha letta in mia presenza,

e mentre la leggeva,

giù per la bella guancia, a quando a quando

le scendeva una lacrima: sembrava

di saper dominare da regina

l’interna ambascia; ma questa, ribelle,

tentava dominar su lei da re.

KENT -

Ah, dunque la notizia la commosse?

GENTILUOMO -

Non fino all’ira; pareva che in lei

la sofferenza e la sopportazione

gareggiassero a renderla più bella.

Avrete visto qualche volta, credo,

piovere con il sole:

ebbene in lei le lacrime e i sorrisi

erano vista ancor più suggestiva;

e i sorrisi che sul suo labbro roseo

giocavano sembravano ignorare

gli ospiti che abitavano i suoi occhi,

e che da quelli poi si dipartivano

come perle cadute da un diadema.

Insomma, se il dolore

si addicesse ad ognuno così bene,

sarebbe certo una preziosità

fra le più ricercate ed adorabili.

KENT -

E non parlò, non vi domandò nulla?

GENTILUOMO -

L’ho udita una-due volte

biascicare con voce palpitante

il nome “padre”, come se quel nome

le pesasse sul cuore, a contenerlo,

ed esclamare con sommessa voce:

“Oh, mie sorelle, obbrobrio delle donne!

Sorelle! Padre! Kent! Sorelle! Ahimè!

Come! Nella bufera? Nella notte?…

Ah, non si creda più alla pietà!”

E sì dicendo le caddero giù

da quegli occhi di cielo, sante stille,

a renderle più umida la voce;

poi, subito, è uscita in tutta fretta,

per restar sola con il suo dolore.

KENT -

Son le stelle lassù, sono esse, certo,

a governar le nostre inclinazioni;

altrimenti un medesimo connubio

non avrebbe potuto generare

figlie così diverse!

E non parlaste più con lei da allora?

GENTILUOMO -

No.

KENT -

E fu prima che il re suo marito

tornasse in Francia?

GENTILUOMO -

No, signore, dopo.

KENT -

Bene, signore; l’infelice Lear

ora è in città, qui a Dover;

e nei momenti di lucidità

si ricorda perché ci siam venuti,

ma si rifiuta pervicacemente

di riveder sua figlia.

GENTILUOMO -

E perché mai?

KENT -

Lo trattiene dal farlo, come penso,

un altissimo senso di vergogna:

il malvolere suo verso di lei,

che lo spinse a cacciarla via da casa;

negandole la sua benedizione,

a esporla alla ventura in terra altrui,

togliendole i diritti sacrosanti

e trasferendoli alle sue sorelle

dal cuor di cagna; tutto ciò gli punge

e gli avvelena l’animo a tal punto

che la vergogna che gli brucia dentro

lo trattiene lontano da Cordelia.

GENTILUOMO -

Povero buon signore!

KENT -

Avete udito niente degli eserciti

dei Duchi d’Albania e Cornovaglia?

GENTILUOMO -

Son sul piede di guerra. Ormai è certo.

KENT -

Bene, signore. Vi conduco subito

da Lear, nostro sovrano,

e vi lascio con lui per accudirlo.

Gravi ragioni m’impongono ancora

di restare ammantato dall’incognito.

Quando verrete a sapere chi sono,

non vi rincrescerà, decisamente,

d’avermi dato queste informazioni.

Vi prego, ora, seguitemi.

(Escono)

 

 

 

SCENA IV – Altra parte del campo francese

 

Entrano CORDELIA, un MEDICO e alcuni soldati francesi

 

CORDELIA -

Ahimè, è proprio lui! L’han visto or ora

furioso come l’oceano in burrasca,

che cantava a gran voce,

inghirlandato il capo della triste

erba fumaria e d’altre erbe selvatiche,

lappole,ortiche, cicute, papaveri,

cresciute tra le spighe del buon grano.

Spedite fuori una centuria d’uomini;

sia rastrellato ogni palmo di terra

nei campi dove sono alte le messi,

e sia condotto innanzi agli occhi nostri.

(Esce un ufficiale)

(Al medico)

Che cosa potrà far la scienza umana

per ridonargli il senno che ha smarrito?

Chi riesca a guarirlo,

si prenda tutti i beni che possiedo.

MEDICO -

Ci son mezzi, signora. La natura

non ha miglior nutrice del riposo,

e di questo ha bisogno vostro padre;

e per indurlo in lui ci sono semplici

molto efficaci le cui virtù mediche

chiudon gli occhi all’angoscia.

CORDELIA -

O voi tutti, segreti benedetti,

o voi, virtù nascoste della terra,

germogliate innaffiate dal mio pianto,

e venite in soccorso alle sventure

di un uomo buono!… Cercate, cercatelo,

che la sua collera, senza più freni,

non l’induca a distruggersi la vita,

rimasta senza cosa che la guidi!

Entra un MESSO

MESSO -

Notizie, mia signora:

forze inglesi dirigono marciando

da questa parte.

CORDELIA -

Ne siamo informati.

Ma siamo preparati ad affrontarle.

O caro padre mio, è la tua causa

che mi sta a cuore.