Re Lear Read Online
ALBANIA - | Non sta bene… Accompagnatela alla mia tenda. |
(Esce Regana, accompagnata da ufficiali) | |
Entra un ARALDO | |
Araldo, vieni qua. Suona la tromba, e leggi questo ad alta voce. | |
UN UFFICIALE - | Tromba! |
(Squillo di tromba dell’araldo) | |
ARALDO - | (Leggendo a voce alta) “Se c’è un uomo d’onore e d’alto grado “nei ranghi dell’esercito “che sia disposto a sostenere in armi “contro Edmondo, preteso conte di Gloucester, “l’accusa d’esser pluritraditore, “si faccia avanti dopo il terzo squillo. “Egli è pronto a difendersi.” |
EDMONDO - | (All’araldo) Suona i tre squilli, araldo. |
(L’araldo suona tre squilli; al terzo, una tromba risponde dall’interno) | |
Entra EDGARDO, in armi, preceduto da un trombettiere | |
ALBANIA - | (All’araldo, indicando Edgardo) Chiedigli cosa vuole, per che viene, se in risposta all’appello della tromba. |
ARALDO - | (A Edgardo) Chi siete? Declinate il vostro nome, il vostro titolo e dite il motivo per cui vi presentate a questo appello. |
EDGARDO - | Il mio nome, sappiatelo, è perduto morso e contaminato dal dente fetido del tradimento; posso dire comunque d’esser nobile quanto colui che vengo ad affrontare. |
ALBANIA - | E chi è che venite ad affrontare? |
EDGARDO - | Chi risponde tra quanti siete qui per Edmondo di Gloucester? |
EDMONDO - | Lui, in persona. Che cos’hai tu da dirgli? |
EDGARDO - | Trai fuori la spada, e se le cose che ti sto per dire suonino offesa per un cuore nobile, il tuo braccio ti possa far giustizia. Ecco, snudo la mia. Ascolta bene: quello per cui mi muovo è il privilegio che mi danno l’onore del mio nome, il giuramento fatto ed il mio stato, ed io in loro nome, ad onta della tua prestanza fisica, della tua giovinezza, del tuo grado, malgrado la tua spada vittoriosa, la tua buona fortuna ancora calda, il tuo grande valore, il tuo coraggio, sostengo che tu sei un traditore, falso agli dèi, al padre ed al fratello; che hai tramato ad insidiar la vita di questo nobile ed illustre principe, e che dal vertice dei tuoi capelli fino alla polvere sotto i tuoi piedi tu non sei che un malvagio traditore chiazzato di veleno come un rospo. Negalo, e questa spada e questo braccio e tutto il mio più fervido ardimento sono pronti a provare, sul tuo cuore al quale sto parlando, che tu menti. |
EDMONDO - | Dovrei pretendere, per buona regola, di sapere chi sei, prima di battermi;(143) ma il tuo comportamento appare così nobile e marziale, e dal tuo labbro spira un tale accento di nobiltà, che tengo a vile e a sdegno la dilazione cui avrei diritto per le leggi della cavalleria. Rigetto sul tuo capo i tradimenti di che m’accusi e ti ricaccio in cuore le tue odiose menzogne d’inferno; ma poiché le parole te lo sfiorano senza ferirtelo, questa mia spada aprirà loro una subita via per la quale vi resteranno eterne. Trombe, a voi la parola! |
(Squilli. Si battono. Edmondo cade) | |
ALBANIA - | (A Edgardo) Risparmiatelo! Basta, risparmiatelo! |
GONERILLA - | Questo è un tranello, Gloucester! Nessun obbligo, per la legge dell’armi, avevi tu d’accettare la sfida d’un ignoto. Tu non sei stato vinto, ma ingannato e truffato! |
ALBANIA - | Chiudi il becco, o te lo tappo io con questo foglio. (Ad Edgardo) Restate qui, signore. (A Gonerilla) O tu, la cui nequizia non ha nome, leggi qui la tua infamia. (Gonerilla fa l’atto di strappargli la lettera dalle mani) È inutile che tenti di strapparla, madama, vedo che già la conosci. (Dà la lettera a Edmondo) |
GONERILLA - | Che, se è così? Le leggi qui son mie, non tue;(144) chi può erigersi a mio giudice? |
ALBANIA - | Mostro! Confessi allora di saperlo? |
GONERILLA - | Non domandarmi quello che già so! |
(Esce precipitosamente) | |
ALBANIA - | (A un ufficiale) Seguila. È disperata. Sorvegliatela. |
EDMONDO - | (A Edgardo) Quello di cui m’accusi io l’ho commesso, e ben dell’altro. Il tempo lo dirà. Ma ormai è finita; e così io… Ma chi sei tu cui la fortuna ha dato di prevaler con l’armi su di me? Se nobile, tu hai il mio perdono. |
EDGARDO - | Pietà a pietà: Edmondo, io non son meno nobile di te per sangue; e se lo sono anche di più, come lo sono, tanto maggiore è il torto che m’hai fatto. Io sono Edgardo, figlio di tuo padre. Gli dèi son giusti: si fanno strumento di nostri vizi e illeciti piaceri per punirci. L’oscurità lasciva in cui t’ha generato nostro padre gli è costata la luce della vista. |
EDMONDO - | È vero. Hai detto giusto. Ora la ruota ha compiuto il suo giro,(145) ed ecco, io sono qui. |
ALBANIA - | Già m’era parso, nel tuo stesso incedere, un segno di regale nobiltà. Ah, lascia ch’io t’abbracci! (Lo abbraccia) Che mi si spezzi il cuore, s’io abbia mai odiato te e tuo padre. |
EDGARDO - | Lo so, nobile principe. |
ALBANIA - | Dove t’eri nascosto? Come hai fatto a saper le sventure di tuo padre? |
EDGARDO - | Col fare ad esse io stesso da nutrice, signore. Uditene una breve storia, e quando avrò finito di narrarvela, possa scoppiarmi il cuore!… Per sottrarmi a quel sanguinario bando che m’incalzava così da vicino (Oh, pur dolce è la vita, se c’induciamo a soffrir d’ora in ora pene simili a quelle della morte, piuttosto che incontrar la morte subito!),(146) a un certo punto concepii l’idea d’introdurmi nelle cenciose vesti d’un demente, e di darmi un tale aspetto |
da farmi disdegnare anche dai cani.(147) Fu coperto da un tal travestimento che capitò che incontrassi mio padre, con quei suoi due castoni sanguinanti che avevano perduto poco prima le lor preziose gemme. Da quel giorno divenni la sua guida, ho chiesto l’elemosina per lui, l’ho salvato dalla disperazione senza mai rivelarmi – e fu mia colpa! – fino a mezz’ora fa, quando, già armato, e, se pur fiducioso, sempre incerto dell’esito di questa mia tenzone, gli chiesi di volermi benedire; e là gli raccontai sin dal principio le trascorse mie tragiche vicende. Ma il suo cuore stremato, troppo debole, ahimè, per sopportare anche quel colpo, schiacciato fra due sentimenti estremi, estrema gioia ed estremo dolore, s’è spezzato in un ultimo sorriso… | |
EDMONDO - | Questa tua narrazione m’ha commosso e potrà farmi bene…(148) Ma continua, ho l’impressione ch’hai altro da dire. |
ALBANIA - | Se avete altro e più triste di questo, non lo dite, tenetelo per voi; è già abbastanza quel che avete detto e che ho sentito, per sciogliermi in lacrime. |
EDGARDO - | Quel che ho detto potrà sembrare, infatti, , la vetta del dolore a chi il dolore non sa sopportare; amplificarlo ed innalzarlo ancora sarebbe andarne oltre l’ultimo limite. Mentre piangevo e singhiozzavo forte, sopraggiunse lì un uomo, che, alle prime, vedendomi ridotto in quello stato, schivò la mia aborrita compagnia; ma dopo ch’ebbe in me riconosciuto chi era che soffriva quel tormento, m’abbracciò, e urlando a tutto fiato quasi a squarciare la volta del cielo, si gettò su mio padre, ed abbracciatolo, ci raccontò la più pietosa storia di sé e di Lear che mai si fosse udita; e mentre la narrava, la sua angoscia si fece a mano a mano più potente, al punto che gli si spezzavan quasi le corde della vita. Fu a quel punto che risuonarono in aria due squilli, ed io lo lasciai là, privo di sensi. |
ALBANIA - | E chi era quell’uomo? |
EDGARDO - | Kent, signore, l’esiliato, che, sotto falsa veste, aveva seguito il re suo nemico, abbassandosi a rendergli servigi indegni d’uno schiavo. |
Entra un GENTILUOMO recando un pugnale insanguinato | |
GENTILUOMO - | Aiuto! Aiuto!… |
EDGARDO - | Aiuto a chi? |
ALBANIA - | Parlate! |
EDGARDO - | Che vuol dire il pugnale insanguinato? |
GENTILUOMO - | È caldo… Fuma ancora… È appena uscito dal cuore… Oh, è morta! |
ALBANIA - | Morta, chi? |
GENTILUOMO - | Vostra moglie, monsignore, vostra moglie, e con essa sua sorella, ch’era stata da lei avvelenata, come ella stessa aveva confessato.(149) |
EDMONDO - | (A parte) M’ero promesso a entrambe. Tutti e tre, ora, d’un colpo, andremo a nozze insieme. |
EDGARDO - | Ecco Kent, monsignore. |
Entra KENT | |
ALBANIA - | Portate qui i lor corpi, vive o morte. Questo tremendo giudizio dei cieli non ci muove a pietà. |
(Esce il gentiluomo) (Vedendo Kent) Oh, è proprio lui?… Il momento purtroppo non consente l’accoglienza che cortesia vorrebbe. | |
KENT - | Vengo per dare al mio signore e re l’estrema buona notte. Non è qui? |
ALBANIA - | Oh, imperdonabile dimenticanza!… Edmondo, dov’è il re? Dov’è Cordelia? Parla, parla, perdio! |
(Vengono portati i corpi di Gonerilla e Regana) Vedi qua che spettacolo, buon Kent,? | |
KENT - | Ahimè, perché? |
EDMONDO - | Tanto, era amato Edmondo. L’una per me ha avvelenato l’altra, e poi s’è suicidata. |
ALBANIA - | E così è stato. Coprite i loro volti. |
EDMONDO - | Ah, sento che la vita m’abbandona… ma voglio fare un atto di bontà, a dispetto di questa mia natura… Presto, mandate qualcuno al castello… Ma presto: un mio ordine di morte sta sul capo di Lear e di Cordelia… Mandate, prima che sia troppo tardi! |
ALBANIA - | (A Edgardo) Correte, presto! |
EDGARDO - | Da chi, mio signore? (A Edmondo) Chi li ha in custodia? Manda un tuo segnale a conferma che revochi quell’ordine. |
EDMONDO - | Hai ben pensato. Prendi la mia spada, mostrala al capitano. |
ALBANIA - | Presto! Presto! Affrettati, se tieni alla tua vita! |
(Esce Edgardo) | |
EDMONDO - | Tua moglie ed io gli abbiamo dato l’ordine d’impiccare nel carcere Cordelia e di dar poi la colpa della cosa a un folle gesto di disperazione facendo credere ad un suicidio. |
ALBANIA - | Che gli dèi la proteggano! (Indicando Edmondo che giace in terra) Portate via costui da qui per ora. |
(Edmondo è portato via) | |
Entra LEAR recando in braccio Cordelia morta; con lui EDGARDO, un Ufficiale e altri | |
LEAR - | Urlate! Urlate! Urlate!… Oh, siete tutti uomini di pietra! Avessi io le vostre lingue e occhi, farei squarciare la volta del cielo! Se n’è andata per sempre… Io so quando uno è morto e quando è vivo… Ella è morta ed esangue, come terra… Prestatemi uno specchio… se il suo fiato l’appanna o offusca il vetro, vive ella ancora. |
KENT - | È la fine del mondo?(150) |
EDGARDO - | Oppur l’immagine di quell’orrore? |
ALBANIA - | Tutto crolli e rovini e sia finita! |
LEAR - | Questa piuma si muove… È ancora viva! Se è vero, è tal fortuna che riscatta ogni pena mai provata fino ad oggi da me! |
KENT - | (Inginocchiandosi a Lear) Mio buon padrone… |
LEAR - | Ti prego, vattene. |
EDGARDO - | È il nobile Kent, signore, amico vostro. |
LEAR - | Peste a voi, traditori, assassini! Tutti, tutti!… L’avrei ancora trattenuta in vita!(151) Se n’è andata per sempre!… Cordelia, figlia mia, rimani un poco! Eh?… Che cos’è che dici?… La sua voce era gentile, dolce, carezzevole… una cosa sublime in una donna… Ma l’ho ucciso, l’ho ucciso il miserabile che ti stava impiccando! |
UFFICIALE - | È vero, miei signori; egli l’ha fatto. |
LEAR - | È vero che l’ho ucciso, giovanotto? Ho visto giorni, io, quando con la mia brava partigiana, l’avrei fatto saltare; ora son vecchio, e croci come questa mi distruggono. (A Kent) Chi siete voi?… Vi devo dire subito che i miei occhi non sono dei migliori. |
KENT - | Se ci sono due uomini dei quali la fortuna può vantarsi di aver odiato e prediletto insieme, ciascuno di noi due ne vede uno. |
LEAR - | Ma io ci vedo poco… Non sei Kent? |
KENT - | Proprio lui, sire, il vostro servitore. Non ricordate il vostro servo Caio?(152) |
LEAR - | Bravo ragazzo, quello, garantisco! Sa menar buoni colpi, ed alla spiccia. È morto e putrefatto. |
KENT - | Ma no, mio buon signore; son io quello… |
LEAR - | Si vedrà, si vedrà! |
KENT - | … quello, signore, che dalla prima vostra dissidenza v’ha seguito pei vostri tristi passi… |
LEAR - | Siate qui benvenuto. |
KENT - | … e nessun altro. Tutto è dissoluzione, buio, morte. Le vostre due maggiori, disperate si son distrutte con le proprie mani e sono morte. |
LEAR - | Già, così io credo… |
ALBANIA - | Più non connette, non sa quel che dice, ed è vano ogni vostro tentativo di farci riconoscere da lui. |
EDGARDO - | Sì, è del tutto inutile. |
Entra un UFFICIALE | |
UFFICIALE - | Signore, Edmondo è morto. |
ALBANIA - | È men che nulla. Voi, gentiluomini e nobili amici, sappiate ora i nostri intendimenti. Tutto che possa riuscir di conforto a sì grande sciagura, sarà fatto. In quanto a noi, finché duri la vita di questa veneranda maestà, (Indica Lear) rassegneremo a lui la somma delle nostre potestà. |
(A Edgardo e Kent) In quanto a voi, sarete reintegrati nella pienezza dei vostri diritti con un compenso di riparazione e con l’aggiunta di tutti quei titoli che le vostre onorevoli persone si sono degnamente meritati. E così tutti gli altri nostri amici dovranno assaporar la ricompensa dei lori meriti; tutti i nemici berranno il calice dei lor demeriti. | |
(Lear s’accascia al suolo) | |
Oh guardate, guardate! | |
LEAR - | E la mia innocente pazzerella è strangolata!… (153) Niente, niente vita! Perché dovrebbe un cane, un brocco, un topo avere vita, e tu neppure un soffio?… Tu non tornerai più, mai più, mai più… Sbottonatemi qui… (154) Grazie, signore… Vedete questo?… Guardate, guardate! Le sue labbra… Guardate… lì… guardate… |
(Muore) | |
EDGARDO - | Viene meno… Signore! Mio signore! |
KENT - | Spèzzati, cuore mio!… Ah, che pietà! |
EDGARDO - | Aprite gli occhi, sire… |
KENT - | Non turbate il suo spirito oramai! Oh, lasciate che passi e vada in pace! È odioso prolungargli la tortura sulla ruota di questo duro mondo. |
EDGARDO - | È proprio morto! |
KENT - | Ed è stato un miracolo ch’abbia potuto trascinarsi a vivere così a lungo. Usurpava ormai la vita. |
ALBANIA - | Siano portati via. A noi non resta, nell’ora presente, che proclamare il lutto nazionale. |
(A Kent ed Edoardo) Amici del mio cuore, a entrambi voi di assumere la guida ora del regno e risanar le piaghe dello Stato, ferito e sanguinante. | |
KENT - | Io, signore, dovrò mettermi in viaggio al più presto. Mi chiama il mio padrone. Non posso dirgli no. |
EDOARDO - | Spetterà dunque a noi portare, rassegnati, tutto il peso di questi tristi tempi; e dire quello che sentiamo dentro, non quello che dovremmo.(155) Il più vecchio di noi ha più sofferto; noi non vedremo né vivremo tanto.(156) |
FINE
Si veda in proposito quanto scrive A. C. Bradley (“Shakespearian Tragedy”, McMillan, London, 1908): “Il ‘fool’ di questa tragedia non è la comune sguaiata figura del “buffone” del dramma elisabettiano, che ha il semplice scopo di divertire il principe con lazzi e arguzie più o meno sboccate. Qui la funzione del ‘fool’ è più seria e nobile: egli ha più degli altri la coscienza dell’intima sofferenza del re, al quale vuole bene sinceramente, e cerca di alleviarla con consigli di prudenza e incitamenti alla virtù accorta; e tutto ciò in uno stato d’animo che ondeggia fra la saggezza e la demenza: una demenza che concettualmente s’accorda con quella del re”. Anche il Carcano (Pirola, Milano, 1843) traduce “matto”, e dopo di lui, il Chiarini (Sansoni, Firenze, 1943), il Lodovici (Einaudi, Torino, 1960) e altri.
(2) “Albania”, “Cornovaglia”: si usava chiamare i re e i nobili titolati col nome del dominio di cui erano titolari. “Albania” (“Albany”) è l’antico nome col quale si designava la regione compresa tra la parte settentrionale dell’Inghilterra e orientale della Scozia (da Albanatte, il leggendario discendente di Enea).
(3) Gloucester gioca sul doppio significato di “conceive”, che ha, come in italiano, il significato di “concepire mentalmente” e di “rimanere incinta”.
(4) La didascalia del testo ha “Sound a sennet”. “Sennet” è uno dei segnali musicali del teatro di Shakespeare. Gli altri sono: il “Flourish”, l’“Alarm” (o “Alarum”), il “Tucket”. Quale fosse la forma musicale e la durata di ciascuno di essi, non si sa. La loro collocazione nel percorso scenico li farebbe riconoscere così, quanto alla loro funzione:
il “Sennet” è il più importante e solenne: annuncia l’ingresso in scena di un personaggio regale e consiste in una serie di squilli di tromba o di corno, o di tromba e corno insieme. È spesso usato anche per salutare l’entrata e l’uscita di scena di cortei, “pageants”, processioni, tornei, ecc.;
il “Flourish” è un semplice squillo di tromba, spesso ripetuto, ma di breve durata, usato in circostanze analoghe, ma di carattere meno solenne e pomposo;
l’“Alarm” è il rullo di uno o più tamburi, usato normalmente per annunciare lo svolgersi di una battaglia sulla scena o fuori, l’ingresso e l’uscita di un esercito in marcia. Può accompagnare uno degli altri due segnali precedenti;
il “Tucket” consiste anch’esso di uno squillo di tromba, ma è usato specificamente come segnale di marcia di truppe a cavallo.
(5) Si legga, per la metrica: “Glo-ster”.
(6) “Tell me, my daughters”: finora ha parlato col “nos majestatis”; i passaggi repentini dall’“io” al “noi” dei re sono frequentissimi in Shakespeare.
(7) “… where nature doth with merit challenge”, ossia dove il legame naturale di figlia gareggia nella sua persona con altri meriti verso il padre. Lear, in procinto di rinunciare al regno e di ripartirlo fra le figlie e rispettivi mariti, si preoccupa di trascorrere in pace i suoi ultimi anni, e pensa che questo non può essergli garantito che dalle cure e dalla devozione di quella delle sue figlie che gli è più disinteressatamente affezionata; e dice che verso costei – una volta che egli l’abbia individuata fra le tre con questo esame sommario – l’assegnazione dotale sarà più liberale.
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