E appena fatto,

verrete a ripararvi a Crosby Place.(32)

Però mi raccomando, amici miei,

siate fulminei nell’esecuzione,

ed inflessibili: nessun indugio

ad ascoltar le sue perorazioni;

perché Clarenza è un bravo parlatore,

e per poco che voi gli diate spago,

quello vi muove il cuore alla pietà.

SECONDO SICARIO -

Signore, non staremo certo lì

a scambiar quattro chiacchiere. I ciarlieri

son gente poco idonea all’azione.

Andiamo a usar le mani, non la lingua.

Potete star sicuro.

RICCARDO -

Gli occhi vostri, difatti, come vedo,

versano macine di pietra; lacrime

piovono sol dagli occhi degli sciocchi.

Mi piacete ragazzi. All’opra, subito.

E fate presto.

I DUE SICARI -

Sì, sì, monsignore.

(Escono)

 

 

 

SCENA IV - Londra, la Torre.

 

Entrano CLARENZA e BRAKENBURY

 

BRAKENBURY -

Oggi vi vedo triste, vostra grazia.

CLARENZA -

Ahimè, ho trascorso una brutta nottata,

così piena di spaventosi sogni,

di orribili visioni, che vi dico,

quant’è vero che sono un buon cristiano,

non ne vorrei passare un’altra eguale

nemmeno se dovessi ricavarne

un mondo intero di giorni felici,

sì piena è stata di tetro terrore.

BRAKENBURY -

Che sogno è stato il vostro, monsignore?

Vogliate raccontarmelo, vi prego.

CLARENZA -

M’è parso d’essere fuggito a forza

dalla Torre e di essermi imbarcato

per raggiunger per mare la Borgogna;

e con me era mio fratello Gloucester,

che m’invitò a lasciare la cabina

per passeggiar sul ponte della nave:

da lì volgemmo gli occhi all’Inghilterra

e ci trovammo a ricordare insieme

mille atroci episodi capitatici

nella contesa fra York e Lancàster.

Camminavamo in su e in giù a coperta

sulle sconnesse plance, quando a un tratto

m’è sembrato che Gloucester inciampasse

e, cadendo, venisse addosso a me,

che mi sforzavo di tenerlo su,

e mi sbalzasse via di soprabordo

negli agitati flutti dell’oceano.

Dio, che pena! Mi parve di annegare.

Che pauroso strepito dell’acque

sentivo negli orecchi, e innanzi agli occhi

e quali orrende immagini di morte!

Mi sembrò di vedere intorno a me

mille orribili resti di naufragio

e uomini a diecine di migliaia

dilaniati da squali; e verghe d’oro,

ed ancore giganti, e perle a mucchi,

pietre rare, gioielli favolosi

sparpagliati sul fondo dell’oceano:

stavano alcuni dentro a teschi umani

incastrati nell’orbite degli occhi

dov’erano una volta le pupille,

quasi a beffa di queste:

gemme lucenti, splendide, occhieggianti

di tra il melmoso fondo dell’abisso,

parevano schernir l’ossa dei morti

sparse all’intorno.

BRAKENBURY -

Ed aveste tal agio,

trovandovi sull’orlo della morte,

di contemplar tutti questi segreti

delle profondità?

CLARENZA -

Così m’è parso.

Più volte mi sforzai di render l’anima,

ma sempre il flutto impediva, maligno,

al respiro di uscire e di esalarsi

nella libera vastità dell’aria

ed era come se la trattenesse

soffocata nel mio petto ansimante

ch’era quasi sul punto di scoppiare

nell’anelito d’eruttarla in mare.

BRAKENBURY -

E tutta questa angosciante agonia

non v’ha svegliato?

CLARENZA -

Per nulla. Il mio sogno

si proiettava al di là della vita.

Oh, adesso cominciò per la mia anima

la tempesta: passai, così mi parve,

la palude della malinconia,(33)

con lo scorbutico traghettatore

che cantano i poeti,

per entrare nel regno della tenebra.

Il primo a salutare la mia anima

appena giunta là, fu il grande Warwick,

il mio suocero illustre, che gridò:

“Qual pena per spergiuro

potrà assegnare all’infido Clarenza

la nera monarchia che regna qui?”

Disse e sparì. Mi venne quindi accanto

un’ombra erratica in sembianza d’angelo

con la chioma lucente insanguinata

e levò alto il grido: “Ecco Clarenza,

il perfido, spergiuro voltafaccia!

Clarenza che m’ha pugnalato a Tewksbury

sul campo. Impadronitevi di lui,

voi Furie, e trascinatelo al tormento!”(34)

A quel punto m’è parso intorno a meualeQ

che una legione di schifosi diavoli

m’accerchiasse e m’urlasse nelle orecchie

sì orrende grida che al loro clamore

mi son destato ch’ero tutto un tremito

e per un certo tempo non riuscivo

a creder di non esser più all’inferno

sì violenta era stata l’impressione

lasciatami nell’animo dal sogno.

BRAKENBURY -

Nessuna meraviglia, monsignore,

ch’esso v’abbia così terrorizzato:

sento venirmi anch’io la pelle d’oca

a udirvelo soltanto raccontare.

CLARENZA -

Ah, Brakenbury! Tutte queste cose

che ora gridano contro la mia anima

io le ho commesse per amor d’Edoardo,

e guarda come me ne ricompensa.

O Dio, se le contrite mie preghiere

non valgono a placar la tua vendetta

e mi vuoi castigar delle mie colpe,

sfoga su me soltanto la tua ira,

ma risparmia la mia sposa incolpevole

e i miei poveri bimbi.

Mio cortese custode, stammi accanto:

ho il cuore stanco e vorrei riposare.

BRAKENBURY -

Sì, certo, vostra grazia.

Il cielo vi conceda un buon riposo.

(Clarenza si assopisce)

Il dolore fa sovvertire agli uomini

le stagioni ed i tempi del riposo;

fa giorno della notte,

e notte del meriggio. A loro gloria

i principi non hanno che i lor titoli,

lustro esteriore d’interiore affanno;

e spesso per piaceri immaginari

soffrono mille triboli:

sicché tra i loro titoli gloriosi

e un nome oscuro non v’è differenza

se non che nell’esterna risonanza.

Entrano i due SICARII

PRIMO SICARIO -

Oh, c’è nessuno qui?

BRAKENBURY -

Che vuoi, compare?

E come hai fatto ad arrivar fin qui?

SECONDO SICARIO -

Devo parlare al Duca di Clarenza,

e son venuto qui con le mie gambe.

BRAKENBURY -

Brusco, l’amico!

SECONDO SICARIO -

Meglio che noioso,

signore, a starla a fare troppo lunga.

(Al compagno)

Mostragli questo, senza tante chiacchiere.

(Gli dà il foglio col mandato di Riccardo)

BRAKENBRURY -

Qui mi si ordina di consegnare

in vostre mani il Duca di Clarenza.

Io non voglio indagare

che cosa possa ciò significare,

ché non mi voglio rendere colpevole

d’essermene immischiato.

Il Duca di Clarenza è là che dorme

e queste son le chiavi.

Andrò intanto dal re ad informarlo

che ho lasciato a voi la mia consegna.

PRIMO SICARIO -

Saggia pensata. Fatelo, signore.

(Esce Brakenbury)

SECONDO SICARIO -

Che dici, lo pugnalo mentre dorme?

PRIMO SICARIO -

No, altrimenti poi quando si sveglia

dirà ch’è stata un’azione vigliacca.(35)

SECONDO SICARIO -

Bah, per svegliarsi non si sveglierà

che il giorno del Giudizio.

PRIMO SICARIO -

Va bene, ed anche allora ci dirà

che l’abbiam pugnalato che dormiva.

SECONDO SICARIO -

“Giudizio…” a pronunciar questa parola,

m’è venuto una specie di rimorso…

PRIMO SICARIO -

Che! Hai paura?

SECONDO SICARIO -

Non già di ammazzarlo,

visto che abbiamo a ciò l’ordine espresso,

ma di dannarmi per averlo fatto,

e per questo non c’è ordine espresso

che mi possa servir di copertura.

PRIMO SICARIO -

E io che t’ho creduto ben deciso…

SECONDO SICARIO -

Lo sono, sì… a lasciarlo campare.

PRIMO SICARIO -

Quand’è così, torno dal Duca a dirglielo.

SECONDO SICARIO -

No, un momento, ti prego;

spero che questo umor compassionevole

mi passi presto: mi dura di solito

il tempo di contare fino a venti.

PRIMO SICARIO -

(Dopo un po’ di silenzio in cui s’immagina che il Secondo Sicario conti da uno a venti)

Come ti senti adesso?

SECONDO SICARIO -

Alcuni rimasugli di coscienza

mi son rimasti dentro…

PRIMO SICARIO -

Ricòrdati che a ordine eseguito

c’è per noi il compenso.

SECONDO SICARIO -

Sangue di Cristo, è vero! Muoia, muoia!

M’ero dimenticato del compenso!

PRIMO SICARIO -

Dov’è andata la tua coscienza adesso?

SECONDO SICARIO -

Oh, nella borsa del Duca di Gloucester.

PRIMO SICARIO -

Dimodoché quand’egli l’aprirà

per pagarci il compenso,

la coscienza se ne volerà via?

SECONDO SICARIO -

Che se ne vada, non m’importa niente.

Saran certo ben pochi

o nessuno che la vorranno in casa.

PRIMO SICARIO -

E se dovesse ritornarti indietro?

SECONDO SICARIO -

Di coscienza non voglio più sapere;

fa d’un un uomo un codardo.

Uno non può rubare,

ch’essa non sia là pronta ad accusarti;

uno non può imprecare,

ch’essa non sia là pronta a rimbeccarti;

uno non può giacersi

a letto con la moglie del vicino,

ch’essa non sia lì pronta a denunciarlo.

La coscienza è un compunto spiritello

dal volto sempre rosso di pudore,

che fa il ribelle nel petto dell’uomo

creando all’uomo una massa di ostacoli.

Una volta m’ha fatto addirittura

riportare una borsa piena d’oro

rinvenuta per caso. La coscienza

riduce alla mendicità chi l’ospiti;

la caccian tutti da città e villaggi

come una cosa piena di pericoli;

ed ognuno che voglia viver bene

cerca di farne a meno

e di contare solo su se stesso.

PRIMO SICARIO -

Perdio, eccola giusto qui al mio fianco

che mi vuol persuader di non ucciderlo,

il duca.

SECONDO SICARIO -

E tu non credere a quel diavolo,

chiudilo nella mente e tienlo là:

lui ti si vuole intrufolare dentro

per farti sospirare e niente più.

PRIMO SICARIO -

Sono di buona tacca;

con me non riuscirà ad averla vinta.

SECONDO SICARIO -

Parli da valentuomo

che rispetta la sua reputazione.

E dunque forza, ci mettiamo all’opera?

PRIMO SICARIO -

Tu, con il manico del tuo pugnale,

gli affibbi una gran botta sulla zucca,

poi lo buttiamo dentro quella botte

di malvasia che sta nell’altra stanza.

SECONDO SICARIO -

Oh, eccellente trovata!

E ne facciamo una zuppa nel vino.

PRIMO SICARIO -

Piano, si sveglia.

SECONDO SICARIO -

Colpiscilo!

PRIMO SICARIO -

No, prima ragioniamo un po’ con lui.

CLARENZA -

(Svegliandosi, senza accorgersi della presenza dei sicari)

Custode, dove sei?… Dammi del vino.

SECONDO SICARIO -

Ne avrete presto più che a sufficienza,

di vino, monsignore.

CLARENZA -

E tu chi sei?

SECONDO SICARIO -

Un uomo, come voi.

CLARENZA -

Ma non regale, come sono io.

PRIMO SICARIO -

Né voi siete leale, come noi.(36)

CLARENZA -

Tu hai voce di tuono,

ma nell’aspetto mi sembri modesto.

PRIMO SICARIO -

La mia voce è del re,(37) l’aspetto è mio.

CLARENZA -

Come scuro, funereo parli tu!

I tuoi occhi mi sono minacciosi;

perché sei così pallido?

Chi v’ha mandati? Perché siete qui?

I DUE -

Per… per…

CLARENZA -

Assassinarmi?…

I DUE -

Per l’appunto.

CLARENZA -

Avete appena il coraggio di dirlo;

non avrete perciò quello di farlo.

In che cosa v’ho offeso, amici miei?

PRIMO SICARIO -

Non noi, ma il re avete voi offeso.

CLARENZA -

Con lui vedrò di rappacificarmi.

PRIMO SICARIO -

Questo mai lo potrete, monsignore.

E perciò preparatevi a morire.

CLARENZA -

E ha scelto voi, fra tanti uomini al mondo,

per far assassinare un innocente?

Di che sono accusato? E su che prove?

Quale inchiesta, condotta legalmente,

ha messo in mano ad un arcigno giudice

il suo verdetto? Chi ha decretato

amara morte al misero Clarenza?

È procedura del tutto illegale

minacciarmi di pena capitale

prima di sottopormi ad un processo.

Io, per il sangue prezioso di Cristo,

e per la redenzione in cui sperate,

v’ingiungo di lasciare questo luogo

senza alzare su me nemmeno un dito!

L’atto che avete in animo di compiere

vi condurrebbe a dannazione certa.

PRIMO SICARIO -

Facciamo quanto ci è stato ordinato.

SECONDO SICARIO -

E chi ce l’ha ordinato è il nostro re.

CLARENZA -

O erronei vassalli! Il Re dei re

nelle tavole dei Comandamenti

ha scritto. “Non commettere omicidio!”

Violereste il precetto del Signore

per obbedire all’ordine d’un uomo?

Attenti! Ch’egli ha in mano la vendetta

da scagliare sul capo di coloro

che ardiscono violare la Sua legge.

SECONDO SICARIO -

E quella Egli ora scaglia su di te,

spergiuro traditore ed assassino.

Tu giurasti, prendendo il sacramento,

di combattere per la casa Lancaster.

PRIMO SICARIO -

Ma traditore a Dio,

hai infranto quel sacro giuramento

e infitto la tua lama traditrice

nelle budella del figlio del re…

SECONDO SICARIO -

… che giurasti di amare e di difendere.

PRIMO SICARIO -

Come puoi invocare su di noi

l’inesorabile legge di Dio,

quando tu stesso l’hai sì gravemente

violata?

CLARENZA -

Ahimè, per amore di chi

ho io commesso quell’atto malvagio?

L’ho fatto per Edoardo, mio fratello.

Non può mandarvi a uccidermi per questo,

giacché di quel delitto

è non meno di me lui responsabile.

Se Dio vuol castigare questa colpa,

oh, lo farà, sappiatelo!, in palese;

non togliete dal suo braccio potente

la causa del castigo; a Lui non serve

di agire in modo subdolo e indiretto

per togliere dal mondo chi l’ha offeso.

PRIMO SICARIO -

Chi ti fece strumento sanguinario,

allora, quando trafiggesti a morte

quel gagliardo germoglio, il valoroso

giovine principe Plantageneto?

CLARENZA -

L’amor per mio fratello,

il diavolo e il rabbioso mio furore.

PRIMO SICARIO -

L’amor per tuo fratello,

ora, il nostro dovere e le tue colpe

conducono noi qui per ammazzarti.

CLARENZA -

Oh, se davvero amate mio fratello,

non odiatemi; sono suo fratello,

e l’amo molto. Se siete assoldati

per guadagno, tornatevene indietro:

vi manderò da mio fratello Gloucester

che son sicuro vi compenserà

per la mia vita, meglio che Edoardo

per l’annuncio di avermi dato morte.

SECONDO SICARIO -

In questo v’ingannate:

vostro fratello Gloucester vi detesta.

CLARENZA -

Oh, no, mi vuole bene, e mi tien caro.

Andate pur da lui, da parte mia.

PRIMO SICARIO -

Per andarci, ci andremo.

CLARENZA -

E ricordategli

che quando il nostro augusto padre York

benedisse col suo braccio glorioso

i suoi tre figli e dal fondo dell’anima

ci comandò di amarci l’un con l’altro,

era ben lungi dall’immaginare

questa nostra divisa fratellanza:

dite a Gloucester di ripensare a questo,

e lo vedrete piangere.

PRIMO SICARIO -

Sì, macine,

come quelle che ha consigliate a noi.

CLARENZA -

Oh, non lo calunniate! Egli è gentile.

PRIMO SICARIO -

Sì, come la gelata sul raccolto!

Insomma, via, non vi fate illusioni:

è lui che ci ha mandato qui a sopprimervi.

CLARENZA -

Non può essere. Ha pianto alla mia sorte,

m’ha stretto fra le braccia

mentre mi ripeteva singhiozzando,

che avrebbe fatto tutto il suo possibile

per ottener la mia liberazione.

PRIMO SICARIO -

Ed è quello che fa

ora col mandar noi a liberarvi

da questa vostra schiavitù terrena,

per le gioie del cielo.

SECONDO SICARIO -

Riconciliatevi perciò con Dio,

perché dovete morire, signore.

CLARENZA -

E voi che in fondo all’anima

accogliete un sì sacro sentimento

da consigliarmi a far pace con Dio,

avreste l’anima tanto accecata

da fare guerra a Dio, assassinandomi?

Amici, riflettete:

chi v’ha indotto a commettere quest’atto,

v’odierà poi per averlo commesso.

SECONDO SICARIO -

E che dobbiamo fare?

CLARENZA -

Commuovervi, cedendo alla pietà,

e salvare così le vostre anime.

PRIMO SICARIO -

Commuoverci? È da vili,

da femminucce, no!

CLARENZA -

E non aprirsi alla pietà è da bestie,

da selvaggi, da diavoli d’inferno.

Chi di voi due, essendo figlio a un principe

e privato della sua libertà,

com’io adesso, se due assassini

gli venissero avanti come voi,

non li supplicherebbe per avere

salva la vita? Sì, li implorereste,

se vi trovaste nelle mie strettezze.

(Al secondo sicario)

Oh, amico, nel tuo sguardo

mi par di scorgere un po’ di pietà:

se il tuo occhio non è un adulatore

bugiardo, mettiti dalla mia parte

e supplica per me:

d’un principe che chiede l’elemosina

quale mendico non avrà pietà?

SECONDO SICARIO -

Guardatevi alle spalle, monsignore!

PRIMO SICARIO -

(Pugnalandolo)

Toh, questo!… E questo!… E questo!…

E se non bastano, ti annegherò

nella botte di malvasia di là.

(Esce col corpo di Clarenza a spalla)

SECONDO SICARIO -

Azione sanguinaria,

e disperatamente consumata.

Come vorrei poter, come Pilato,

lavarmi ambo le mani,

da questo nefandissimo assassinio!

(Rientra il Primo Sicario)

PRIMO SICARIO -

Allora? Che significa?

Perché non ti sei mosso a darmi mano?

Perdio, il Duca lo dovrà sapere

da me quale fiaccone tu sei stato!

SECONDO SICARIO -

Potesse il Duca sapere da te

che ho salvato la vita a suo fratello!…

Prenditi pure tu tutto il compenso,

e riportagli quello che ti ho detto.

Io son pentito di questo assassinio.

(Esce)

PRIMO SICARIO -

Io no. Va’, va’, vigliacco!…

Beh, ora vado a nascondere il corpo

in qualche buco fin che venga il Duca

a dare l’ordine di sepoltura.

E una volta intascato il mio compenso,

me la squaglio: perché questa faccenda

si scoprirà, e conviene stare al largo.

(Esce)

 

 

ATTO SECONDO

 

SCENA I - Londra, sala nel palazzo reale.

 

Entrano RE EDOARDO, sofferente, sorretto da HASTINGS; la regina ELISABETTA,

DORSET, RIVERS, BUCKINGHAM, GREY e altri.

 

EDOARDO -

E così tutto a posto: una giornata

bene impiegata. Ora a voi, miei Pari,

di mantenere stretta questa unione.

a mantenervi in unità e concordia.

Io m’aspetto oramai da un giorno all’altro

un messaggio dal nostro Redentore

che venga a liberarmi da quaggiù;

e salirà tanto più in pace in cielo

l’anima mia, se in pace

avrò lasciato i miei amici in terra.

Rivers e Hastings, datevi la mano;

non nascondete in voi sordi rancori:

giurate di volervi sempre bene.

RIVERS -

(Offrendo la destra a Hastings che la stringe)

Giuro che la mia anima

è purgata da odio e da rancore;

ed io suggello con questa mia mano

l’affetto più leale del mio cuore.

HASTINGS -

Così possa venirmi tanto bene,

com’io giuro la stessa lealtà.

EDOARDO -

Badate a non parlar solo per gioco

davanti al vostro re,

che non abbia il Supremo Re dei re

a castigare la vostra finzione

e a fare che ciascuno di voi due

sia la fine dell’altro.

HASTINGS -

Quanto a me,

così m’arrida una benigna sorte

per quanto è schietto l’amore che giuro.

RIVERS -

E così arrida a me,

per quanto schietto è il mio cuore con Hastings.

EDOARDO -

(Alla regina)

Né siete voi, madama, dispensata

da questo impegno, né voi, figlio Dorset,(38);

né voi, Buckingham: siete stati tutti

faziosi l’uno contro l’altro. Moglie,

vogliate bene ad Hastings,

porgetegli la mano da baciare,

ma che non sia finzione ciò che fate.

ELISABETTA -

(Porgendo la mano ad Hastings)

Ecco, Hastings; e voglia così il cielo

far prosperare me e i miei parenti

com’io vorrò dimenticar per sempre

il nostro odio trascorso.

EDOARDO -

Abbracciatelo, Dorset; e voi, Hastings,

vogliate bene a questo lord marchese.

DORSET -

Dichiaro per mia parte

che questo patto d’amore reciproco

non sarà mai violato.

HASTINGS -

E così io.

(Si abbracciano)

EDOARDO -

Ed ora tu, nobilissimo Buckingham,

suggella questo patto di alleanza

abbracciando i parenti di mia moglie,

ed allietatemi di tal concordia.

BUCKINGHAM -

(Alla regina)

Se sarà mai, che Buckingham, signora,

rivolga il proprio odio a vostra grazia,

s’egli non amerà voi ed i vostri

col più sincero e doveroso affetto,

Dio mi punisca facendo rivolgere

su di me l’odio di tutti coloro

da cui più aspetto e specialmente amore;

e quando avrò maggior necessità

d’un amico del quale io sia sicuro,(39)

questi mi si riveli infido, falso,

traditore e imbottito di perfidia.

Questo invoco da Dio, o mia regina,

se mai dovesse intiepidirsi in me

l’affetto verso voi e i vostri cari.

(Labbraccia)

EDOARDO -

Benefico cordiale, illustre Buckingham,

è questo tuo solenne giuramento

per l’infermo mio cuore. Ora non manca

che l’intervento del fratello nostro

Gloucester, a chiudere felicemente

il cerchio di codesta fausta pace.

Entra RICCARDO(40)

Ma eccolo che viene, ed in buon punto.

RICCARDO -

Buon giorno ai miei sovrani, re e regina,

e a tutti voi, nobilissimi Pari,

felice giorno.

EDOARDO -

Felice davvero,

pel modo come noi l’abbiamo speso.

Abbiam compiuto, Gloucester, buone azioni,

riconducendo in pace inimicizie,

in amore reciproco vecchi odii,

fra questi Pari sempre tra di loro

ingiustamente gonfi di rancore.

RICCARDO -

Sacrosanta fatica, mio sovrano

ed augusto signore. Quanto a me,

se alcuno in questa nobile congrega,

sulla base di falsa informazione

o d’erroneo suo convincimento,

mi creda suo nemico;

o se io stesso, inconsapevolmente,

o in un momento d’ira, abbia commesso

cosa mal sopportata, io qui con lui

desidero riconciliarmi e stringere

amichevole pace; ché per me

stare in inimicizia con qualcuno

è la morte, è qualcosa che aborrisco;

io bramo vivere in amicizia

con tutti i buoni.

(Alla regina)

Anzitutto da voi,

madama, impetro una pace sincera,

che spero di sapermi guadagnare

coi miei servigi di devoto suddito;

da voi, mio nobile cugino Buckingham,

se mai albergò astio tra noi due;

da voi, lord Rivers e da voi lord Grey,

che finora m’avete riguardato,

senza giusta ragione, con cipiglio

e da voi tutti, duchi, conti, nobili

e gentiluomini: proprio da tutti.

Non conosco nessun Inglese vivo

col quale la mia anima sia in urto

più di quanto lo sia con un infante

che sia nato stanotte.

E di tanta umiltà ringrazio Dio.

ELISABETTA -

Sia per noi questo giorno, d’ora innanzi,

giorno di festa; e voglia Dio

che tutte le discordie sian composte.

Mio sovrano signore, vostra altezza

voglia, vi supplico, di nuovo accogliere

nelle sue grazie il fratello Clarenza.

RICCARDO -

Madama, avrei io qui poc’anzi offerto

un tesoro di buoni sentimenti

per vedermi così da voi schernito

davanti a questa reale presenza?

Chi non lo sa che il nobil duca è morto?

RIVERS -

“Chi non lo sa che è morto”…

C’è qualcuno qui dentro che lo sa?

ELISABETTA -

O Dio che tutto vedi,

che mondo è questo?

BUCKINGHAM -

Sono anch’io, lord Dorset,

pallido in viso come tutti gli altri?

DORSET -

Sì, monsignore; e non c’è tra i presenti

chi non abbia le guance scolorite.(41)

EDOARDO -

Come! Morto Clarenza? Ma quell’ordine

era stato da me poi revocato!

RICCARDO -

Ma egli è morto, pace alla sua anima,

per il primo dei vostri ordini, e quello

lo recò al carcere un Mercurio alato,(42)

mentre a recare là la vostra revoca

è stato qualche tardigrado storpio,

giusto in tempo a vederlo seppellire.

Dio non voglia che altri,

di meno nobiltà e lealtà,

e più prossimo a lui non che per sangue

per pensieri di sangue su di lui,

meriti peggio di quanto è toccato

al povero Clarenza, e ciò malgrado

circoli franco da ogni sospetto.

Entra STANLEY, conte di Derby,

va davanti a re e s’inginocchia

STANLEY -

Mio sovrano, una grazia,

in nome dei servizi che v’ho reso!

EDOARDO -

Taci, ti prego; ho l’anima in gran pena.

STANLEY -

Non mi rialzerò

finché l’altezza vostra non m’ascolti.

EDOARDO -

Parla, allora, ma subito. Che chiedi?

STANLEY -

La grazia, mio sovrano,

della vita di uno dei miei servi

che oggi ha ucciso in rissa un gentiluomo

già al seguito del Duca di Norfolk.

EDOARDO -

Ed io dovrei, con questa stessa lingua

che ha condannato a morte mio fratello,

pronunciare la grazia ad uno schiavo?

Quel mio fratello non aveva ucciso;

sua colpa era soltanto il suo pensiero,

e il suo castigo è stato nondimeno

una morte crudele.

Chi ha intercesso per lui presso di me?

Chi è venuto, durante la mia collera,

a gettarsi ai miei piedi

e ad esortarmi a più mite consiglio?

Chi a parlarmi d’amore e fratellanza?

Chi a ricordarmi che la pover’anima

aveva disertato il grande Warwick

per venire a combattere al mio fianco?(43)

Chi a ricordarmi che sul campo, a Tewksbury

quando Oxford m’aveva già abbattuto,

egli solo era accorso in mio aiuto

gridandomi: “Fratello, vivi e regna!”?

Chi a ricordarmi di quell’altra volta,

che, al campo, stesi a terra tutti e due

rischiando di morire assiderati,

egli m’avviluppò nei suoi vestiti,

incurante di esporsi, nudo e fragile,

all’agghiacciante freddo della notte?

Tutto questo una collera bestiale

m’aveva delittuosamente tolto

dalla memoria, e non ci fu tra voi

uno che si degnasse rammentarmelo.

Ma se uno dei vostri carrettieri

o dei vassalli della vostra casa

ha commesso, ubriaco, un omicidio,

e sfigurato la preziosa immagine

del nostro Redentore,

eccovi subito qui inginocchiati

ad implorare: “Grazia, grazia!”, ed io,

se pure ingiustamente, ad accordarla.

Ma per quel mio fratello,

nessuno volle spendere parola,

né io, spietato, ne spesi a me stesso

in suo favore, sventurata anima!

I più orgogliosi tra voi hanno avuto

un qualche debito di gratitudine

con lui, mentr’era in vita, ma nessuno

è venuto da me ad impetrare

grazia per la sua vita! Dio Signore,

la Tua giustizia, temo, chiederà

per questo un duro conto a me, a voi,

ai miei parenti, ai vostri… Andiamo Hastings,

sorreggimi fino al mio gabinetto.

Mio povero Clarenza!…

(Escono Re Edoardo sorretto da Hastings, Elisabetta, Rivers, Dorset e Grey)

RICCARDO -

Ecco i frutti dell’impetuosità:

non avete notato qual pallore

nei volti dei colpevoli parenti

della regina, quando hanno sentito

l’annuncio della morte di Clarenza?

Oh, l’han voluta loro quella morte,

continuamente istigandovi il re.

Dio ne farà vendetta.

Andiamo adesso a confortare Edoardo,

signori, con la nostra compagnia.

BUCKINGHAM -

Seguiamo vostra grazia.

(Escono tutti)

 

 

 

SCENA II - Londra, altra sala nel palazzo reale.

 

Entra la vecchia DUCHESSA DI YORK con i due BIMBI,

maschio e femmina, figli di Clarenza.

 

BIMBO -

Nonnina, nostro padre è morto, vero?

DUCHESSA -

Ma no, bambino mio.

BIMBA -

Perché allora

stai sempre a piangere, e a batterti il petto,

e a gridare: “Oh, Clarenza,

povero figlio mio?”

BIMBO -

Perché allora

ci guardi e scuoti il capo,

e dici: “Poveri orfanelli miei?”,

se poi dici che nostro padre è vivo?

DUCHESSA -

Cari miei nipotini, tutti e due

mi fraintendete: io piango e mi lamento

per la presente malattia del re,

perché non vorrei perderlo; non piango

per vostro padre; è dolore sprecato

piangere per qualcuno che è perduto.

BIMBO -

Allora, nonna, con ciò vieni a dire

ch’egli è morto; e di questo ci ha la colpa

il re mio zio. Ma Dio farà vendetta,

ed io non cesserò d’importunarlo

a questo con ardenti mie preghiere.

BIMBA -

E così io.

DUCHESSA -

Bambini, buoni, zitti:

il re vi vuole certamente bene.

Siete troppo inesperti ed innocenti

perché possiate indovinar chi è stato

causa della morte di vostro padre.

BIMBO -

Sì, che possiamo, nonna: il buon zio Gloucester

m’ha lui detto che il re,

a ciò istigato dalla sua regina,

ha macchinato delle false accuse

per farlo imprigionare; e nel dir questo

mio zio piangeva e mi commiserava,

e mi diceva povero bambino,

e m’ha anche baciato sulla guancia.

E poi m’ha detto di pensare a lui

come a mio padre, che m’avrebbe amato

come se fossi stato figlio suo.

DUCHESSA -

Ah, che l’Inganno debba mascherarsi

di frodo sotto sì gentile forma,

ed il Vizio più nero travestirsi

in sì virtuosa foggia!

È figlio mio, purtroppo, a mia vergogna,

seppur non ha succhiato dal mio seno

tanta perfidia.

BIMBO -

Pensi allora, nonna,

che lo zio simulasse?

DUCHESSA -

Sì, bambino.

BIMBO -

Non lo credo… Ma che clamore è questo?

Entra, gemendo scarmigliata, la regina ELISABETTA; la seguono RIVERS e DORSET

ELISABETTA -

Ah, chi m’impedirà, povera me,

di lamentarmi e piangere e imprecare

alla mia malasorte,

e infliggermi da me tutti i tormenti?…

Voglio allearmi alla disperazione

contro l’anima mia,

e diventar nemica di me stessa!

DUCHESSA -

Che significa adesso questa scena

d’incivile scomposta intemperanza?

ELISABETTA -

È la scena finale

di un atto(44) di mortifera violenza:

Edoardo, il mio signore, il figlio tuo,

il nostro re, è morto!…

Oh, perché i rami seguitano a crescere,

se la radice dell’albero è morta?

Perché non avvizziscono le foglie,

se non ricevon più linfa dal tronco?

Chi vuol vivere, pianga;

chi vuol morire, muoia, e che sia subito,

sì che l’anime nostre a volo d’ala

raggiungano l’anima del re,

e da obbedienti sudditi la seguano

nel nuovo regno dell’eterna notte.

DUCHESSA -

Io prendo tanta parte al tuo dolore

per quanti titoli potei vantare

sul tuo nobile sposo.(45) Anch’io ho pianto

la morte, come te, d’un degno sposo,

e m’ha tenuto in vita

poterne contemplare nei suoi figli

riflessa la sua immagine vivente.

Ma la maligna sorte ha frantumato

quei due specchi del suo regal sembiante;

e non mi resta, ad unico conforto,

che uno specchio di vetro

che mi provoca solo altra tristezza

nel vedervi riflesso il mio squallore.

Tu sei vedova ora, ma sei madre,

e ti rimane il conforto dei figli:

la morte a me ha strappato dalle braccia

il marito, ed ha tolto dalle mani,

queste deboli mani, le mie grucce,

Clarenza ed Edoardo.

Oh, quante più ragioni non ho io

di soverchiar coi miei i tuoi lamenti,

le tue con le mie grida, il tuo dolore

essendo solo la metà del mio!

BIMBO -

(A Elisabetta)

Ah, zia, tu non hai pianto per la morte

di nostro padre; e noi come possiamo

unirci alle tue lacrime

con le lacrime nostre di nipoti?

BIMBA -

Il nostro smarrimento di orfanelli

è rimasto da te incommiserato,

resti perciò da noi illacrimato

il tuo duolo di vedova.

ELISABETTA -

Non chiedo aiuto di lamentazioni;

non sono sterile dal partorire

sospiri e lacrime; tutte le fonti

versino nei miei occhi il loro flusso,

ch’io, dall’umida luna governata,

possa a mia volta versar tante lacrime

da sommergere il mondo… Ah, mio signore,

Edoardo, mio diletto!

I DUE BIMBI -

Ah, padre nostro,

nostro amato Clarenza!

DUCHESSA -

Ah, l’uno e l’altro,

il mio Edoardo ed il mio Clarenza!

ELISABETTA -

Qual sostegno, all’infuori di Edoardo,

noi avevamo? Ed ora non c’è più.

I DUE BIMBI -

Qual sostegno, all’infuori di Clarenza,

noi avevamo? Ed ora non c’è più.

DUCHESSA -

Quali sostegni, fuor di loro due,

avevo io? E non ci sono più.

ELISABETTA -

Mai vedova soffrì più grave perdita.

I DUE BIMBI -

Mai soffrirono due orfanelli

più grave perdita.

DUCHESSA -

Mai soffrì madre

più grave perdita. Io son la madre,

di tutti questi lutti; i lor dolori

sono ripartiti, il mio li abbraccia tutti.

Ella piange un Edoardo, ed io lo stesso;

ma io piango un Clarenza, ed ella no;

Clarenza è pianto da questi bambini,

ed io piango Clarenza insieme a loro,

ma io piango Edoardo, e loro no.

Ahimè, voi riversate tutti insieme

sovra di me, tre volte addolorata,

le lacrime di tutti gli occhi vostri.

Son la nutrice del vostro dolore,

e ve lo nutrirò coi miei lamenti.

DORSET -

Coraggio, madre: spiace molto a Dio

chi riceve con tanta malagrazia

quello ch’Egli ci manda.

In questo mondo noi chiamiamo ingrato

chi ripaga di malavoglia un debito

che largito gli fu graziosamente

da mano generosa;

tanto più ingrato chi si oppone a Dio

quando Egli chieda la restituzione

del regal prestito che ci ha largito.(46)

RIVERS -

Signora, adesso, da madre amorosa,

pensate al principino vostro figlio.

Fatelo venir qui senz’altro indugio,(47)

perché sia senza indugio incoronato;

in lui vive il conforto di noi tutti.

Seppellite il dolore disperato

nella tomba dell’Edoardo morto,

e piantate le gioie di domani

sopra il trono dell’Edoardo vivo.

Entrano RICCARDO, BUCHINGHAM,

STANLEY, HASTINGS e RATCLIFF

RICCARDO -

Cognata, fate cuore;

abbiam tutti motivo di compiangere

lo spegnersi del nostro fulgido astro,

ma nessuno rimedia ai propri mali

con il piangersi sopra.

(Alla Duchessa)

Oh, madama mia madre, perdonatemi,

non vi avevo notata, vostra grazia!

Umilmente in ginocchio,

v’imploro di volermi benedire.

(S’inginocchia. La Duchessa gli pone una mano sul capo)

DUCHESSA -

Che Dio ti benedica, nel tuo cuore

e infonda nel tuo cuore mansuetudine,

umiltà, amore, carità, obbedienza

e fedeltà al dovere.

RICCARDO -

Così sia.

(A parte, rialzandosi)

… e mi dia buona morte a tarda età:

questa è la rituale conclusione

della benedizione d’una madre.

Chi sa perché se l’è dimenticata…

BUCKINGHAM -

Voi, principi, che siete scuri in volto,

e voi, Pari, che avete il cuore in doglio,

e che portate insieme il grave carico

di questo lutto, trovi ora conforto

ciascun di voi nell’affetto dell’altro.

Benché il nostro raccolto

con questo re sia stato consumato,

ora ci resta da far maturare

quello del figlio. L’astioso bubbone

dei vostri cuori traboccanti d’odio

testé inciso, sanato e ricomposto,

deve ora nobilmente esser protetto

e accudito, che non si formi più…

Sarebbe conveniente, a mio giudizio,

che con piccola scorta il giovin principe

sia prelevato subito da Ludlow

e ricondotto a Londra

per esser qui incoronato re.

RIVERS -

Perché “con piccola scorta”, Lord Buckingham?

BUCKINGHAM -

Eh, mio signore, perché se son molti

non s’abbia a riaprire la ferita,

testé rimarginata, del rancore;

ciò che sarebbe tanto più nefasto

quanto più giovane e ingovernato

è il nostro Stato. Dove ogni cavallo

dispone della briglia a suo talento

e può correre dove più gli aggrada,

occorre prevenire, a mio giudizio,

tanto il male futuro che il presente,

già in atto e manifesto.

RICCARDO -

La mia speranza è che il patto di pace

fra tutti noi dal re patrocinato,

sia saldo e fermo in tutti, com’è in me.

RIVERS -

E in me, e così credo in tutti noi.

Tuttavia, poiché esso è ancora verde,

sarebbe bene non venisse esposto

al pericolo d’essere violato;

il che potrebbe esser favorito

dalla presenza di una grossa scorta.

Perciò concordo col nobile Buckingham

sull’opportunità di dare al principe,

nel prelevarlo, una piccola scorta.

HASTINGS -

Sono d’accordo anch’io.

RICCARDO -

Come volete.

Andiamo allora a designare insieme

chi si dovrà recar subito a Ludlow.

Signora madre, e voi, cara cognata,

non vorreste venire a consigliarci

in questa scelta?

ELISABETTA e DUCHESSA -

Molto volentieri.

(Escono tutti meno Buckingham e Gloucester)

BUCKINGHAM -

Monsignore, per carità di Dio,

chiunque debba andare incontro al principe,

noi due non s’ha da rimanere a casa.

Perché lungo la strada,

io, come prologo a tutta la faccenda

di cui abbiam parlato ultimamente,

farò in modo di allontanar dal principe

i parenti della regina.

RICCARDO -

O Buckingham!

O tu altro me stesso! O concistoro

dei miei pensieri, oracolo, profeta,

caro cugino! Mi farò guidare

da te per mano, come un fanciullino.

A Ludlow! noi indietro non si resta!

(Escono)

 

 

 

SCENA III - Londra, una strada.

 

Entrano, incontrandosi, DUE CITTADINI, uno quasi correndo.

 

PRIMO CITTADINO -

Buongiorno, vicinante!

Che cos’è che vi chiama in tanta fretta?

SECONDO CITTADINO -

Nemmeno io lo so, ve lo confesso.(48)

Avete udito la grande notizia?

PRIMO CITTADINO -

Che il re è morto? Sì.

SECONDO CITTADINO -

Brutta notizia,

per la Vergine Santa! È sempre raro

che segua il meglio.(49) Si sta preparando,

ho gran paura, un mondo squinternato.

Entra un TERZO CITTADINO

TERZO CITTADINO -

Che Dio vi mandi salute, vicini!

PRIMO CITTADINO -

E mandi a voi un buon giorno, signore.

TERZO CITTADINO -

È vera la notizia della morte

del buon re Edoardo?

SECONDO CITTADINO -

Vera, sì,

purtroppo; e Dio ci aiuti.

TERZO CITTADINO -

Allora, prepariamoci, maestri,

a vivere in un mondo turbolento.

PRIMO CITTADINO -

No, non lo credo; per grazia di Dio,

c’è suo figlio a regnare.

TERZO CITTADINO -

Misera quella terra il cui governo

si trova nelle mani di un bambino.

SECONDO CITTADINO -

Una speranza di governo c’è

comunque in lui: nella minore età

attraverso il Consiglio di reggenza,

e, quando avrà egli stesso maturato

la sua età, governerà da solo,

e governerà bene, senza dubbio.

PRIMO CITTADINO -

Così venne a trovarsi il nostro Stato,

quando, in età di nove mesi appena,

fu incoronato re Enrico VI,

a Parigi.(50)

TERZO CITTADINO -

Così? No, no, signori,

e lo sa Dio; ché allora questa terra

era famosa per la sua abbondanza

di gravi ed avveduti consiglieri

di politica; e il re teneva al fianco

zii virtuosi a proteggere sua grazia.

PRIMO CITTADINO -

Eh, quanto a zii, anche questo ce n’ha,

sia da parte di padre che di madre.

TERZO CITTADINO -

Meglio sarebbe se li avesse tutti

dalla parte del padre,

o che dal padre non ne avesse punto:

perché adesso la gelosia tra loro

a chi più sta più vicino al giovin re

ci toccherà fin troppo da vicino

tutti quanti, se Dio non lo previene.

Ah, che grosso pericolo per questo

è quel Duca di Gloucester!

E che boria e arroganza hanno i parenti

della regina, suoi figli e fratelli!

Se costoro, non che stare al governo,

fossero governati, questa terra

da malata che è, ritornerebbe

ad essere in salute come prima.

PRIMO CITTADINO -

Via, via, che noi temiamo sempre il peggio!

Tutto sarà per bene.

TERZO CITTADINO -

Quando compaiono nubi di pioggia,

i saggi indossano la palandrana;

quando cadono le più grosse foglie,

l’inverno è là; quando tramonta il sole

chi non s’aspetta il buio della notte?

I temporali fuori di stagione

di solito prometton carestia.

Tutto potrà andar bene; ma se è vero

che Dio ha decretato sia così,

sarà pur più di quanto meritiamo,

o di quanto io possa prevedere.

SECONDO CITTADINO -

Però la gente è piena di paura,

in cuor suo; e non c’è quasi persona

con cui si parli, che non si dimostri

tutta preoccupata e impaurita.

TERZO CITTADINO -

Sempre è stato così,

alla vigilia di rivolgimenti.

La gente avverte, per divino istinto,

nell’intimo, il pericolo imminente,

così come vediamo, nel palese,

bollir l’onda del mare

prima d’una burrasca fragorosa.

Ma lasciamo ogni cosa in mano a Dio…

Dove stavate andando?

SECONDO CITTADINO -

In tribunale.

Siamo stati citati avanti ai giudici.

TERZO CITTADINO -

E così io. Vi terrò compagnia.

(Escono)

 

 

 

SCENA IV - Londra, sala nel palazzo reale.

 

ENTRANO l’ARCIVESCOVO DI YORK, IL GIOVANE DUCA DI YORK,

LA REGINA ELISABETTA, E LA DUCHESSA DI YORK.

 

ARCIVESCOVO -

La scorsa notte, da quanto ho saputo,

ha fatto sosta presso Stony-Stratford;

e questa notte dormirà a Northampton;

saranno qui domani o doman l’altro.

DUCHESSA -

Bramo con tutta l’anima

di rivedere il principino Edoardo;

sarà molto cresciuto, come penso,

da quell’ultima volta che l’ho visto.

ELISABETTA -

Mi si dice di no; mio figlio qui

pare che l’abbia quasi superato

nella crescita.

YORK -

Sì, mamma, è così,

ma vorrei che non fosse.

DUCHESSA -

E perché mai,

caro nipote mio? È bello crescere.

YORK -

Nonna, una sera ch’eravamo a cena,

lo zio Rivers, parlando allo zio Gloucester,

appunto gli diceva come io

crescessi meglio che non mio fratello,

e quello gli rispose:

“Già, l’erbe piccole hanno bellezza;

le grosse erbacce crescono più presto.”

E da allora ho pensato ch’era male

per me crescere tanto prestamente,

perché i bei fiori vengono su lenti,

le erbacce crescono in fretta.

DUCHESSA -

Alla faccia!

Però la massima non s’è avverata

in colui che l’ha adattata a te!

Perché quand’era piccolo, tuo zio

era la più striminzita creatura,

così stenta e tardiva nel suo crescere

che se mai quel suo detto fosse vero,

oggi sarebbe un fiore di bellezza.

ARCIVESCOVO -

E tale è senza dubbio, mia signora.

DUCHESSA -

Vorrei bene sperarlo anch’io, signore;

ma lasciate alle madri i loro dubbi…

YORK -

Ah, se di ciò mi fossi ricordato

in quel momento, gliel’avrei suonata

a sua grazia mio zio una stoccata

sopra il suo crescere, ben più sonora

di quella da lui data sopra il mio!

DUCHESSA -

E che gli avresti detto,

piccolo York? Sentiamolo, ti prego.

YORK -

Diamine, dicon tutti che mio zio

è cresciuto così rapidamente

che già due ore dopo essere nato,

si sgranocchiava una crosta di pane,

e a me ci sono occorsi ben due anni

prima che mi spuntasse il primo dente.

Penso sarebbe stato questo, nonna,

un frizzo ben mordace, non ti pare?

DUCHESSA -

Chi te l’ha raccontato, tesoruccio?

YORK -

La sua nutrice, nonna.

DUCHESSA -

La nutrice?…

Ma è morta che non eri ancora nato.

YORK -

Me l’avrà detta allora qualcun altro.

ELISABETTA -

Che bambino terribile!… Va’, va’

malizioso!

DUCHESSA -

Buona signora, no,

non siate sì severa col ragazzo!

ELISABETTA -

Le pareti hanno orecchi in questa casa.

Entra un MESSO

ARCIVESCOVO -

Un messaggero. Che notizie porti?

MESSO -

Ah, tali, monsignore,

che a riferirle mi fa male al cuore.

ELISABETTA -

Il principe sta bene?

MESSO -

Lui sì, signora, in ottima salute.

DUCHESSA -

E allora, quali son le tue notizie?

MESSO -

Lord Rivers e lord Grey spediti a Pomfret,(51)

e con loro lord Vaughan, in prigione.

DUCHESSA -

Per ordine di chi?

MESSO -

Per ordine dei due potenti duchi

di Gloucester e di Buckingham, signora.

DUCHESSA -

E la ragione?

MESSO -

Vostra grazia, io

v’ho riportato quello che sapevo;

del resto non so nulla.

ELISABETTA -

Oh, me meschina! Vedo la rovina

della mia casa! La tigre ha ghermito

coi suoi artigli il tenero cerbiatto.

La bieca tirannia comincia ora

ad allungar le mani sopra un trono

innocente e incapace di difendersi;

vedo, come segnata su una mappa,

la nostra fine.

DUCHESSA -

Giorni maledetti,

tormentose continue discordie!

Quanti di voi hanno visto i miei occhi!

Mio marito, per ottenere il trono,

ha perduto la vita; i figli miei,

tante volte innalzati e ricaduti,

sono stati per me lacrime e gioie

nell’alternanza delle lor fortune;

e una volta assestati, vincitori,

si fan tra loro guerra,

da fratello a fratello, sangue a sangue,(52)

da sé a se stessi!… O insensata discordia,

smetti questa dannata tua violenza,

o ch’io muoia, Signore,

per mai più rivedere questa terra!

ELISABETTA -

Vieni, ragazzo mio, vieni con me;

andiamo a rifugiarci al santuario.(53)

Addio, signora.

DUCHESSA -

Aspetta, vengo anch’io.

ELISABETTA -

Perché? Voi non ne avete alcun motivo.

ARCIVESCOVO -

Andateci anche voi, sì, vostra grazia,

e raccogliete là le vostre robe

ed il vostro tesoro.

(A Elisabetta)

Per parte mia, graziosa mia signora,

io riconsegnerò in vostre mani

il sigillo di cui sono custode;(54)

e mi riservi Iddio lo stesso bene

ch’io auspico per voi e per i vostri.

V’accompagno al santuario. Incamminiamoci.

(Escono)

 

 

ATTO TERZO

 

SCENA I - Londra, una strada.

 

Trombe. Entrano il giovane principe EDOARDO, i duchi RICCARDO DI GLOUCESTER e BUCKINGHAM; poi CATESBY, il CARDINALE BOURCHIER e altri

 

BUCKINGHAM -

Benvenuto, bel principe, a Londra,

la vostra capitale.

RICCARDO -

Benvenuto tra noi, caro cugino,

signor dei miei pensieri.

La fatica del viaggio v’ha stancato,

e reso triste, vedo.

EDOARDO -

Non il viaggio,

ma le contrarietà del viaggio, zio,

me l’han reso tedioso, e faticoso;

e avrei voluto fossero più zii

ad accogliermi qui.(55)

RICCARDO -

Mio dolce principe

la candida innocenza dei vostri anni

non s’è ancor tuffata nelle insidie

ingannevoli della società,

né sa ancora distinguere, in un uomo,

altro che l’esteriore sua apparenza,

la quale, Dio lo sa, di rado o mai

s’accorda col colore del suo animo.

Gli zii di cui sentite la mancanza

son persone malfide; vostra grazia

prestò sempre un orecchio compiaciuto

alle loro parole zuccherate,

senza mai avvedersi del veleno

ch’essi avevano in cuore.

Dio vi voglia proteggere da loro,

e da falsi parenti come loro.

EDOARDO -

Dio mi protegga da parenti falsi…

ma quelli non lo erano. Lo so.

Entra il LORD MAYOR di Londra con seguito

RICCARDO -

Il sindaco di Londra, mio signore,

viene a rendervi omaggio.

LORD MAYOR -

Dio salvi vostra grazia,

e vi conceda salute e letizia.

EDOARDO -

Grazie, mio buon signore, e grazie a tutti.

In verità, mi sarei aspettato

che mia madre con mio fratello York,

mi fossero venuti ad incontrare

lungo la strada. Vergogna, quell’Hastings,

che poltrone, che non mi torna a dire

s’essi verranno o no!

Entra Lord HASTINGS

BUCKINGHAM -

Eccolo, appunto,

il nostro lord, e tutto trasudato.

EDOARDO -

Oh, finalmente!… Verrà nostra madre?

HASTINGS -

Sua grazia la regina vostra madre

con il Duca d York vostro fratello

si sono rifugiati nel santuario,

per qual ragione, Dio lo sa, non io.

Il giovinetto sarebbe venuto

volentieri con me ad incontrarvi,

ma sua madre l’ha trattenuto a forza.

BUCKINGHAM -

Che maniera! Vergogna!

Un comportarsi subdolo e sgarbato.

Lord Cardinale, vuole vostra grazia

andar dalla regina e persuaderla

che mandi subito il Duca di York

a salutare il regal suo fratello?

E se rifiuta, andate voi, Lord Hastings,

col Cardinale, e strappatelo a forza

dalle gelose braccia della madre.

CARDINALE -

Monsignore di Buckingham,

se saprà la mia debole eloquenza

strappare il Duca di York dalla madre,

aspettatelo pure qui fra poco;

ma s’ella si mostrasse irremovibile

all’umili mie suppliche,

non voglia Dio che osiamo profanare

il sacro privilegio del santuario.

Io non mi macchierei d’un tal peccato

per tutto l’oro di questo paese.

BUCKINGHAM -

Questa è, da parte vostra, monsignore,

una caparbia troppo irragionevole,

legata a cerimonie d’altri tempi.

Ponderate la cosa nello spirito

più grossolano della nostra età.

Voi non profanerete il santuario

portando via il duca da quel luogo:

il diritto d’asilo è un beneficio

sempre concesso a chi l’ha meritato

con la propria condotta, ed a coloro

che furono solerti a reclamarlo.

Questo principe né l’ha reclamato,

né ha compiuto alcunché di meritevole;

e dunque, a parer mio, non può godere

del diritto. Portando via di là

uno ch’è come se non stesse là,

non violerete nessun privilegio

né alcuna legge scritta.

Finora ho sempre saputo di uomini

con diritto d’asilo in santuario,

mai di bambini con quel beneficio.

CARDINALE -

Per una volta tanto, monsignore,

m’arrenderò alla vostra opinione.

Andiamo; Hastings venite con me?

HASTINGS -

Eccomi, monsignore.

EDOARDO -

Fate al più presto, gentili signori.

(Escono il Cardinale e Hastings)

Zio Gloucester, se verrà nostro fratello,

ditemi, dove dovremo risiedere

finché io non sia stato incoronato?

RICCARDO -

Dove più piacerà a vostra altezza;

se posso darvi un consiglio, però,

vostra altezza dovrebbe, un giorno o due,

riposare alla Torre;

poi, dove meglio vi sarà gradito

e sarà ritenuto meglio adatto

alla vostra salute e al vostro svago.

EDOARDO -

La torre è il luogo che men d’ogni altro

mi gradisce.