I successi che Karl conseguiva non erano eccelsi, in compenso però potè impadronirsi di molte esclamazioni di disappunto in inglese, che durante la lezione gridava col fiato corto al suo professore d'inglese il quale, per lo più mezzo addormentato, si appoggiava allo stipite della porta. Ma ogni insoddisfazione nel cavallo cessava quando giungeva Mack. L'individuo allampanato veniva mandato via, e presto nella sala ancora semibuia non si udivano che gli zoccoli dei cavalli al galoppo e non si vedeva quasi altro che il braccio alzato di Mack quando questi impartiva un ordine a Karl. Dopo una mezz'ora di questo godimento, che trascorreva quasi come sonno, si fermavano. Mack aveva una gran fretta, salutava Karl, qualche volta gli dava un buffetto sulla guancia quand'era rimasto particolarmente soddisfatto del suo modo di cavalcare e spariva, senza nemmeno aspettarlo per uscire dalla porta insieme a lui, tanta era la fretta. Allora Karl prendeva in automobile il suo professore e andavano alla lezione d'inglese, per lo più facendo lunghi giri, perché immettersi nella ressa della grande strada che portava direttamente dalla casa dello zio al maneggio avrebbe fatto perdere troppo tempo. Del resto questo accompagnamento del professore d'inglese cessò presto perché Karl, che si faceva una colpa di far andare inutilmente al maneggio quell'uomo già così affaticato, tanto più che la sua conversazione in inglese con Mack era delle più semplici, pregò lo zio di esonerare il professore da queir obbligo. Dopo averci riflettuto un po', lo zio accondiscese anche a questa preghiera.
Ci volle parecchio tempo prima che lo zio si decidesse a far dare a Karl una sia pur fugace occhiata alla sua ditta, sebbene Karl glielo avesse chiesto tante volte. Era una ditta che operava nel campo delle commissioni e spedizioni, come forse in Europa non ce n'erano, a quanto Karl poteva ricordare. La sua attività consisteva infatti in un commercio di commissione, che però non trasferiva le merci dal produttore al consumatore o magari al commerciante, ma curava l'intermediazione di merci e materie prime per i grandi cartelli industriali. Era perciò un'attività che comprendeva acquisti, magazzinaggio, trasporti e vendite su scala gigantesca e che doveva mantenere con i clienti precisi e continui rapporti telegrafici e telefonici. La sala dei telegrafi non era più piccola, ma più grande dell'ufficio telegrafico della città natale di Karl, che lui una volta aveva traversato, condottovi da un compagno di scuola che vi conosceva qualcuno. Nella sala dei telefoni le porte delle cabine si aprivano e si chiudevano ovunque si guardasse, e gli squilli facevano uscir di cervello. Lo zio aprì la più vicina di queste porte, e nello sfavillio della luce elettrica si vide un impiegato, indifferente al rumore della porta, la testa stretta in un nastro d'acciaio che gli teneva premuto il ricevitore contro le orecchie. Teneva il braccio destro poggiato su un tavolino, come se fosse particolarmente pesante, e soltanto le dita che reggevano la matita sussultavano con una regolarità e una rapidità disumane.
Pronunciava al microfono solo pochissime parole, e spesso si capiva che avrebbe voluto obiettar qualcosa al suo interlocutore, rivolgergli una domanda più precisa, ma prima ancora di poter porre in atto il suo proposito determinate parole che ascoltava lo costringevano ad abbassare gli occhi e a scrivere. Anzi non doveva parlare, come lo zio spiegò sottovoce a Karl, perché le comunicazioni che riceveva venivano contemporaneamente ricevute da altri due impiegati e poi confrontate, per escludere il più possibile qualsiasi errore. Nello stesso istante in cui lo zio e Karl uscivano dalla porta, vi sgusciò dentro un praticante, e ne uscì col foglio che era stato scritto in quel mentre. C'era un continuo viavai di gente che si affannava da un punto all'altro della sala. Nessuno salutava, i saluti erano stati aboliti, ciascuno si uniformava al passo di chi gli camminava davanti e guardava il pavimento per cercare di avanzare il più rapidamente possibile, oppure catturava con lo sguardo qualche parola o qualche cifra sulle carte che teneva in mano e che svolazzavano ai suoi rapidi passi.
«Hai fatto davvero molta strada», disse Karl una volta durante uno di quei giri attraverso l'azienda, per visitare la quale occorrevano molti giorni, anche a voler gettare soltanto un'occhiata in ciascuno dei suoi reparti.
«E tutto questo l'ho messo su da solo trent'anni fa, devi sapere. A quel tempo avevo una piccola azienda nella zona del porto, e se venivano scaricate cinque casse al giorno era tanto, e io me ne tornavo a casa tutto superbo. Oggi al porto possiedo dei magazzini che sono i terzi per grandezza, e quel piccolo ufficio è la mensa e il deposito degli attrezzi del sessantacinquesimo gruppo dei miei scaricatori.»
«Ha del miracoloso», disse Karl.
«Qui gli sviluppi avvengono così rapidamente», disse lo zio troncando il discorso.
Un giorno lo zio si presentò poco prima dell'ora di cena, che Karl contava di consumare da solo come sempre, e gli disse di mettersi subito l'abito nero e di scendere a cena con lui, ci sarebbero stati anche due suoi soci d'affari. Mentre Karl si cambiava nella stanza accanto lo zio si sedette alla scrivania e diede un'occhiata al compito d'inglese appena fatto, batté la mano sul tavolo ed esclamò forte: «Davvero eccellente!».
Senza dubbio Karl riuscì a vestirsi meglio nell'udire questa lode, d'altra parte era anche già abbastanza sicuro del suo inglese. Nella sala da pranzo dello zio, che Karl ricordava ancora dalla sera del suo arrivo, si alzarono per salutare due signori alti e corpulenti, l'uno un certo Green, l'altro un certo Pollunder, come poi risultò dalla conversazione a tavola. Infatti lo zio aveva l'abitudine di dire appena poche parole sui suoi conoscenti, e lasciava sempre che Karl scoprisse da solo, osservandoli, quel che era importante o interessante sapere su di loro. Durante la cena vera e propria i signori parlarono soltanto di questioni d'affari riservate, il che costituì per Karl una buona lezione sulle espressioni commerciali, e Karl fu lasciato a occuparsi in silenzio della sua cena, come fosse stato un bambino il quale deve innanzitutto mangiare a sazietà, ma finito che ebbero il signor Green si chinò verso Karl e sforzandosi manifestamente di parlare un inglese il più chiaro possibile, gli chiese quali fossero in generale le sue prime impressioni sull'America. In un silenzio di morte, e guardando lo zio con la coda dell'occhio, Karl rispose abbastanza diffusamente, e per ringraziare dell'attenzione cercò di rendersi gradito usando dei modi di dire newyorkesi. A una di queste espressioni i tre signori scoppiarono a ridere, e già Karl temeva di aver commesso qualche errore grossolano; invece no, anzi aveva detto qualcosa di molto azzeccato, come dichiarò il signor Pollunder. Questo signor Pollunder sembrava che provasse una simpatia particolare per Karl, e mentre lo zio e il signor Green tornavano ai loro discorsi d'affari, Pollunder gli disse di avvicinare la sedia alla sua, e prima di tutto gli fece ogni sorta di domande sul suo nome, sul suo luogo d'origine, sul suo viaggio, e alla fine per farlo riposare raccontò ridendo, tossendo e parlando velocemente, di sé e di sua figlia, con la quale abitava in una piccola tenuta nei dintorni di New York, dove però poteva trascorrere solo le serate, perché era banchiere e la sua professione lo tratteneva a New York per l'intera giornata. Karl fu anche subito cordialmente invitato a recarsi in quella tenuta, un americano di fresca data come lui aveva sicuramente bisogno di riposarsi di New York, di tanto in tanto. Karl seduta stante pregò lo zio di fargli accettare quell'invito e lo zio, apparentemente contento, accordò il permesso, senza però fissare o prendere in considerazione nessuna data precisa, come Karl e il signor Pollunder avrebbero voluto.
Ma già il giorno seguente Karl fu chiamato in uno degli uffici dello zio (solo in quell'edificio lo zio aveva dieci uffici diversi), dove trovò lo zio e il signor Pollunder che sedevano, piuttosto silenziosi, nelle loro poltrone.
«Il signor Pollunder», disse lo zio, che si distingueva appena nella luce crepuscolare della stanza, «il signor Pollunder è venuto a prenderti per condurti nella sua tenuta, come avevamo detto ieri sera.»
«Non sapevo che sarebbe stato per oggi», rispose Karl, «altrimenti mi sarei già preparato.»
«Se non sei pronto, forse è meglio rimandare la tua visita a un po' più in là», propose lo zio.
«Ma che preparativi!», gridò il signor Pollunder.
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